I sistemi giuridici nel mondo islamico


L’acculturazione, attraverso la recezione di modelli normativi di
organizzazione dello stato moderno, pone in contrapposizione lo stato islamico tradizionale, con i suoi canoni feudali diffusi collegati alla sostanziale sacralizzazione del potere costituito, e lo stato moderno a tradizione islamica. Se il conflitto tra i due modelli di stato, a livello teorico, appare radicale, molteplici soluzioni conciliative si riscontrano nella prassi costituzionale dei paesi islamici.
L’Iran, nel 1979, ha avviato per primo la costituzionalizzazione dello stato islamico, creando un modello di “democrazia islamica” estremamente interessante soprattutto per lo studio degli strumenti di partecipazione pubblica e di sindacato islamico sull’attività legislativa e amministrativa 17.
Gli stati musulmani dell’area mediterranea, dopo aver conseguito la loro indipendenza, hanno continuato ad attingere all’esperienza costituzionale europea e ai locali sistemi compiuti di istituzioni, modellati sulle ideologie liberali e socialiste. La profonda diversità dei presupposti che caratterizzano tali nuovi ordinamenti, rispetto a quelli in cui le istituzioni prese a modello operano, non hanno impedito ai diversi costituenti di adattare queste soluzioni istituzionali, già ampiamente collaudate, al proprio contesto ideologico e culturale.
L’eterogeneità dei risultati del processo di adattamento può essere analizzata attraverso i due principi astratti e generali che stanno alla base del moderno costituzionalismo: il principio di legalità, da un lato, e il principio di democrazia o di sovranità popolare dall’altro.
Il principio di legalità richiede che l’esercizio del potere politico nel
complesso e in ogni parte di qualsiasi sistema di cooperazione politica, sociale ed economica a legittimazione costituzionale debba essere esercitato in conformità e attraverso un sistema generale di principi, regole e procedure. La “costituzione” diviene la chiave di volta essenziale in questo sistema di principi, regole e procedure che sostiene la coerenza delle altre leggi, delle istituzioni e degli organi amministrativi. In un senso più ampio la “costituzione” è essa stessa il sistema di principi, regole e procedure, operante da filtro verso altri sistemi di principi, esterni e metapositivi, che influiscono direttamente sul fondamento ideologico-culturale che sta alla base delle azioni del legislatore, del governo, dei giudici e dei cittadini. L’evoluzione giurisprudenziale, in questi casi più recenti, ha consentito di chiarire la distinzione tra quella parte della šarī‘a la cui interpretazione è oggetto di unanime consenso universale di tutta la umma (in pratica quasi soltanto le regole in
materia di atti di culto o ‘ibadāt) e quella parte sulla quale invece l’intepretazione non è stata univoca nel corso della storia (la stragrande maggioranza delle regole che disciplinano i rapporti intersoggettivi ovvero le mu‘amalāt).
La conseguenza principale è l’apertura di una spazio laico di interpretazione della šarī‘a – cioè non fondato su canoni ermeneutici elusivamente giuridicoreligiosi – che amplia le tradizionali frontiere dell’iğtihād.
Questa estensione della legittimazione all’iğtihād dalla classe dei fuqahā’ religiosi alla giurisprudenza statale, pone il giurista laico – come nuovo faqīh – in competizione con il faqīh tradizionale nel processo di elaborazione delle regole giuridiche.
In questo senso, giacché è da considerarsi irreversibile il processo che ha portato alla superiorità della legge statale in tutti quei contesti in cui il processo di codificazione è avanzato, lo storico bagaglio di regole che ogni rinvio alla šarī‘a sottintende può essere considerato espressione del sostrato giuridico, del commom core delle società islamiche e della loro tradizione in un’ottica di sostanziale discontinuità rispetto al diritto dei fuqahà’ classici.

tratto da G. M. PICCINELLI – Diritto musulmano e diritti dei paesi islamici, IURA ORIENTALIA I/1 (2005), 131-143

Commenti