Il messaggio rivoluzionario dell’Imam Hussain





Il decimo giorno (Ashura) del mese lunare islamico di Muharram, ricorre un’importante evento storico, che senza esagerazione, può essere definito come uno di quegli accadimenti cruciali per la storia dell’umanità. In quel giorno del 682 d. C., nella piana desertica nei pressi di Karbala (odierno Iraq), le truppe del califfo omayyade Yazid sbarrarono la strada all’Imam Hussain e alla sua famiglia, insieme al suo piccolo numero di seguaci fedeli, compiendo un massacro spaventoso, che nessuna lingua e nessuna penna saranno in grado di spiegare in modo completo. Tra le vittime di quell’eccidio possiamo menzionare anche bambini in fasce. Una volta avvenuta la strage il corpo senza vita dell’Imam fu vilipeso; i miliziani degli omayyadi arrivarono a decapitare l’Imam Hussain, nipote del profeta Muhammad, che in diversi discorsi, riportati sia dagli sciiti che dai sunniti, elogiò Hussain arrivando anche a dire: “Hussain mi appartiene e io appartengo a Hussain”, oppure “invero Hussain è la Luce che guida e l’Arca della salvezza”, come dire che l’unico modo per salvarsi dalla depravazione è seguire l’Imam Hussain, non di certo massacrarlo.  Allora una persona potrebbe chiedersi: perché tutta questa ferocia? Cosa aveva fatto l’Imam Hussain per meritarsi tutto ciò? Se il Profeta Muhammad aveva speso queste parole per l’Imam, allora perché alcuni musulmani lo martirizzarono in quel modo cruento? La risposta è semplice: l’Imam Hussain volle ribellarsi contro una tirannia, che usava l’Islam come pretesto per opprimere la gente e per giustificare le proprie malefatte. L’Imam Hussain per sostenere la causa degli oppressi era disposto a qualsiasi cosa, anche al sacrificio estremo, per abbeverare attraverso il suo nobile sangue, l’albero puro dell’autentico messaggio civilizzatore, per essere un esempio per tutti i rivoluzionari della storia, affinché non si scenda a patti scelerati, quando il nemico vuole la distruzione della Verità, o cosa ancora più grave, quando il nemico vuole abusare della Verità per confondere le idee alle masse, giustificando così il dominio dell’imperialismo e dell’arroganza, in tutte le epoche storiche. Il decimo giorno (Ashura) di ogni Muharram quindi, tutti gli amanti della Giustizia ricordano questo drammatico evento, piangendo, lamentandosi, battendosi il petto. Interessante notare come anche molti non musulmani abbiano avuto parole lodevoli per l’Imam Hussain. Uno scrittore cristiano originario della Siria, che ha scritto un libro meraviglioso sulla figura dell’Imam Hussain disse: “mi criticano dicendo: sei forse musulmano che scrivi riguardo a Hussain? Io ho risposto: come può un essere umano non meravigliarsi e non rimanere affascinato di fronte a una personalità come Hussain, quel nipote del Profeta e figlio di az-Zahra (figlia del Profeta e moglie dell’Imam Ali), del quale in tutta la sua vita non puoi trovare un segno di debolezza o umiliazione? E non sono soltanto io ad essere innamorato di Hussain. Che osservino Ghandi, che come indù affermò che se si vuole trionfare bisogna percorrere lo stesso cammino di Hussain. Inoltre egli disse: io, da Hussain, ho appreso che devo essere oppresso per trionfare. Era forse egli musulmano da pronunciare simili belle parole? O Khalil Gibran, quella grande personalità cristiana, che dice: Hussain è la torcia radiante di tutte le religioni; e io l’ho descritto così: Hussain è la coscienza eterna delle religioni e la coscienza delle religioni è una” (1). Detto ciò dobbiamo capire il messaggio del martirio dell’Imam Hussain. Se noi ci battessimo il petto, ci lamentassimo e ci rammaricassimo di quell’evento, senza attuare concretamente l’esempio dell’Imam, la nostra condotta sarebbe ipocrita. L’Imam Hussain lungo la sua esistenza ebbe due tipi di nemici: i primi erano i governanti omayyadi, apertamente ostili nei suoi confronti, in quanto per ovvi motivi, un reazionario odia un rivoluzionario, un bugiardo odia la verità, un oppressore odia un oppresso. E fin qui nulla di particolare. Ma vi era una seconda categoria di persone che di fatto si schierarono contro l’Imam, ovvero molti suoi presunti seguaci, che nel momento del bisogno lo abbandonarono meschinamente, per eccessiva paura o perché non volevano avere problemi con le autorità, seguendo il principio “vivi e lascia vivere”, massima molto gradita agli oppressori e agli arroganti di tutte le epoche. L’Imam Hussain invece disse “no” al compromesso con le forze della reazione, volendo lanciare un grido che è rimasto vivo per 1400 anni. Ora, cosa dobbiamo fare noi per tenere in vita questo messaggio, nel presente e nel futuro? Vi è una massima persiana che dice “adab ra az ki amukhti? Az bi adaban”, ovvero “da chi hai imparato l’educazione? Dai maleducati”. In pratica, una persona desta, nel momento in cui nota un atteggiamento negativo da parte di un suo simile, capisce che è bene non comportarsi allo stesso modo. Detto in modo semplicistico, anche noi, avendo presente il comportamento dei nemici dell’Imam Hussain, non dobbiamo comportarci allo stesso modo. Se vediamo ancora oggi i divoratori del mondo sgomitare, per accaparrarsi i beni della nazioni oppresse, se vediamo che i colonialisti e gli imperialisti non si fanno scrupoli e gettano nello scompiglio interi Paesi, con la guerra o col sostegno a gruppi terroristi reazionari, allora capiamo che dobbiamo opporci a tutto ciò, ognuno coi propri mezzi, e il nostro compito principale nell’epoca contemporanea, nella quale ogni individuo con un computer e una connessione a internet, può essere un piccolo canale di informazione, è quello di destare le persone dal torpore, per far capire agli uomini e alle donne di buona volontà, da dove vengono i problemi del mondo, passo fondamentale per mettere in discussione l’egemonia dei divoratori del mondo. D’altronde, vedendo l’esempio dei finti seguaci dell’Imam Hussain, capiamo anche che dirsi a parole rivoluzionari non basta, bisogna applicare la propria fede rivoluzionaria nella vita di tutti i giorni, attraverso la controinformazione e la presenza fisica dove c’è bisogno, senza paura di nasconderci. Questo è quello che vuole da noi l’Imam Hussain; lamentarsi e non fare nulla non rientra nell’insegnamento di questo grande martire della causa rivoluzionaria, che ha conquistato i cuori delle persone libere, non solo degli sciiti e non solo dei musulmani, ma anche di tanti cristiani, che come accennato in precedenza, hanno scritto e detto cose stupende riguardo all’Imam. Egli pretende da noi, a prescindere dalla nostra appartenenza religiosa o ideologica, di non stare zitti dinnanzi alle ingiustizie, e di non confondere il Bene col Male, vizio diffuso ancora oggi, dove i tiranni vogliono farsi passare per liberatori, e i combattenti della dignità vengono spesso dipinti come canaglie o cose simili. “Egli, ha fatto ciò che doveva esser fatto! In un solo giorno ha dimostrato un livello di amore e sacrificio verso Dio che difficilmente troverebbe paralleli in qualsiasi altro avvenimento nella storia dell’umanità. Egli gridò apertamente la sua insoddisfazione per quanto stava accadendo nel nome del Signore: un grido che ancora oggi può essere udito attraverso il lungo tunnel della storia” (2), come ha ricordato un intellettuale e sapiente religioso iraniano. Saremo noi in grado di definirci, non solo a parole, ma soprattutto nei fatti, seguaci dell’Imam Hussain? Questa è la domanda alla quale tutti gli esseri umani coscienziosi dovrebbero rispondere. L’unico modo per definirci rivoluzionari è denunciare i crimini degli oppressori, come oggi noi denunciamo il grave massacro di civili inermi compiuto dai sionisti, contro l’oppresso popolo palestinese, dimenticato e tradito sia dagli imperialisti, sia dai finti rivoluzionari, che come in passato, a parole sostengono una causa, ma nei fatti non muovono un dito contro le ingiustizie. Come disse il dott. Ali Shariati, sociologo ed intellettuale iraniano, “ogni giorno è Ashura, ogni luogo è Karbala”. Adesso è Ashura, non lasciamo che Gaza diventi la nuova Karbala.

(1) www.islamshia.org
(2) Ibidem

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