La Scuola di Imam Hussein


Nessun'altra scuola di pensiero al mondo ha continuato ad essere così viva come quella di Hussein bin Ali. Se voi siete in grado di trovare un esempio di questo spirito manifestato da Hussein bin Ali nel corso dei fatti di Ashurà, nelle identiche condizioni sopportate, del senso del Tawhīd, di fede, di conoscenza di Dio, di perfezione, di fede luminosa nell'altro mondo, di sopportazione e rassegnazione, di coraggio, di fermezza e di animo saldo, di onore e dignità, di amore e ricerca di libertà, di profonda cura per l'umanità, di questa passione nel servirla, se voi siete in grado di trovare un solo esempio nel mondo intero, voi potete allora porvi la domanda su quale sia il bisogno di commemorare questo avvenimento ogni anno. Ma è unico, è incomparabile. La finalità di preservare viva la memoria del suo nome e del suo movimento è quella di illuminare il nostro spirito della luce dello spirito di al- Hussein bin Ali (AS).
Se la lacrima che noi versiamo per lui ha solo il significato di un'armonia tra la nostra anima ed il suo spirito, si tratterebbe allora di un viaggio fugace del nostro spirito in direzione del suo. Se la lacrima creasse in noi una breve incandescenza del suo coraggio, una particola della sua natura libera, una particola della sua fede, della sua pietas, una scintilla del suo mettere in pratica l'Unicità di Dio, una lacrima simile avrebbe un valore infinito. Si direbbe il valore del mondo intero, anche se fosse piccola come l'ala di un moscerino. Credetelo! Ma non è una lacrima versata per una morte inutile, è una lacrima per la gloria di Hussein (AS) e per il suo nobile spirito, una lacrima simile significa armonia con Hussein (AS) e l'adottare la sua via. Una lacrima simile ha un valore incalcolabile.
Gli Imam hanno voluto che quest'ideologia pratica continuasse ad esistere per sempre, per testimoniare che la famiglia del Profeta è una prova, una testimonianza del Profeta stesso. Se si dicesse che un certo combattente mussulmano ha mostrato una grande fede e coraggio nella tale o tal altra battaglia contro l'Iran e Bisanzio, per esempio, non sarebbe una prova evidente della veridicità del Profeta. Ma quando noi osserviamo la sua stessa famiglia, alla più alta sommità della fede e della sincerità, noi abbiamo prova evidente e ben migliore della veridicità del Profeta.
Non vi fu persona più vicina al Profeta di Ali. Crebbe al suo fianco. Non vi fu persona che confidò nel Profeta tanto quanto lui, o gli fu devota più di lui. È la prima prova evidente della veridicità del Profeta. Hussein bin Ali è il figlio del Profeta. Quando manifesta la sua fede negli insegnamenti del Profeta, è una manifestazione del Profeta stesso. Le cose che da sempre sono predicate dagli esseri umani senza che siano messe in pratica, sono in maniera chiara e distinta visibili nell'esempio di Hussein (AS). Cosa è mai a rendere invincibile un uomo?
Gloria a Dio! Vedete dunque a quali vertici può giungere l'essere umano! Vedete dunque l'invincibilità dello spirito di un essere umano il cui corpo ha sopportato sofferenze infinite, i pargoli furono massacrati davanti ai suoi occhi, egli ha sofferto di sete indicibile e quando volgeva lo sguardo al cielo, non vedeva che tenebra, sapeva che i membri della sua famiglia sarebbero stati catturati. Egli ha perduto tutto quello che aveva, non gli restò che il proprio spirito invincibile.
Mostratemi dunque un avvenimento in cui la grandezza umana sia stata celebrata all'istessa maniera, ed io ne celebrerò la memoria al posto di Karbala. È per questa ragione che noi dobbiamo preservare nella memoria un simile accadimento, ricordarci di un gruppo di settantadue persone che schiacciò e dominò lo spirito di un'armata di trentamila uomini. E come inflissero loro una simile disfatta? In primo luogo, pur essendo una minoranza davanti alla morte, nessuno di loro si schierò col nemico. Viceversa uomini appartenenti al gruppo dei trentamila li raggiunsero, compreso uno dei comandanti, Hurr bin Yazid Riyahi, insieme con altri trenta. Questo fatto è indice di vittoria morale della minoranza, e sconfitta degli altri. Umar bin Sa'd prese certe misure, a Karbala, che sono testimonianza della sua disfatta morale. Ai suoi uomini fu proibito di battersi in duello, com'era costume, prima di ingaggiare battaglia collettiva e di scoccare frecce. Dopo che molti uomini erano stati uccisi affrontando in duello i compagni dell'Imam Hussein (AS), Umar bin Sa'd pose termine a questa forma di lotta.
Abu Abd Allah (AS) partecipò alla battaglia finale. Era ormai il pomeriggio del giorno di Ashurà. Sino a quel momento egli si era trovato, con parecchi compagni, in preghiera. Dal mattino sino a quell'ora era stato molto impegnato. Si era fatto carico di ricondurre i corpi dei compagni per deporli nella tenda dei martiri. Si precipitava verso altri suoi compagni per essere loro vicino nei loro ultimi istanti, consolò e rassicurò i membri delle loro famiglie. Senza dimenticare l'afflizione che egli stesso provava nell'averli perduti. Egli fu l'ultimo a fare il suo ingresso nel campo di battaglia. E ci s'immaginava sarebbe stato compito ben facile battersi contro di lui, in simili circostanze. Ma egli non lasciò un attimo di tregua e respiro ai nemici che osavano avvicinarglisi, alle spalle. Umar bin Sa'd gridò allora: "Attenti a voi! Sapete voi chi combattete? Egli è il figlio del guerriero più fatale di tra gli Arabi. È il figlio di Ali bin Abi Talib (AS). Per Dio! L'anima di suo padre è in lui. Non combattetelo in singolar tenzone."
E questa non è forse un'indicazione di disfatta? Trentamila uomini contro uno solo, solo e solitario, che ha già dovuto soffrire tutti i mali e tutte le prove, e che aveva, in quella giornata penosa e massacrante, sete e fame. Egli inflisse loro la disfatta e li spinse alla fuga.
Furono sconfitti non solo dalla spada di Abu Abd Allah (S), ma in eguale maniera dalla sua logica e dalla sua eloquenza. Egli aveva pronunziato due o tre allocuzioni in quel giorno di Ashurà, prima che il combattimento avesse inizio. Questi sermoni sono davvero stupefacenti. Coloro che posseggono l'arte oratoria sanno bene che a nessuno è dato, trovandosi in uno stato eccezionale e fuori dell'ordinario, proferire qualcosa di sublime, poiché lo spirito dovrebbe trovarsi in fervide condizioni. Soltanto con un cuore che freme e ribolle di sentimenti l'individuo può pronunziare una valida elegia.
Quando l'Imam diede inizio al suo sermone, fattispecie quello consacrato al giorno di Ashurà, Umar bin Sa'd si allarmò per l'effetto che avrebbe potuto avere sul morale delle sue truppe. L'Imam cambiò cavalcatura, passando dal cavallo al dromedario, più in alto, affinché la sua voce potesse giungere più lontano. Il suo discorso ricordò quello di Ali (s). Al momento del secondo sermone, Umar bin Sa'd domandò ai suoi uomini di abbandonarsi a grida e ululati per impedire che la voce dell'Imam si facesse intendere.
Non è forse questo il segno della loro disfatta, e quello della vittoria di Hussein (AS)?
Se un uomo ha fede in Dio, nella Sua Unicità, se ha un legame con Dio e una fede nell'altro mondo, egli è in grado di infliggere - da solo - una disfatta morale ad una armata di trentamila uomini. E non è forse questa una lezione per noi? Possiamo noi trovare altri esempi? Chi è in grado di produrre due frasi che si rassomiglino a questi sermoni, nelle circostanze in cui si trovò Hussein (AS)? O parimenti due frasi simili ai sermoni pronunciati da Zaynab alle porte di Kūfa? Sei nostri Imam ci hanno chiesto di commemorare il lutto ogni anno e di mantenere in vita questo episodio, è perché noi completassimo la grandezza di Hussein (AS).
La nostra conoscenza di Hussein (AS) ci innalza di livello. Ci fa esseri umani, uomini liberi, discepoli della verità e della giustizia, dei veri Musulmani. La scuola di pensiero di Hussein (AS) forma l'essere umano. Hussein (AS) è il bastione della retta condotta e non una cittadella per il peccato e gli errori.
Gli storici tramandano che al cadere della notte di Ashurà, dopo aver pregato con i suoi compagni, l'Imam si voltò verso di loro e disse: "Compagni, siate pronti. La morte non è altro che un ponte che vi fa traversare questo mondo verso l'altro, questo mondo, che è assai ordinario, duro e basso, verso un altro che è dolce e nobile." Queste le sue parole.
Ma osserviamo la sua condotta. Ciò che ci è stato tramandato non lo fu da Hussein (AS) bin Ali stesso, ma da cronisti, e questo episodio - in particolar modo - fu riferito da Hilal bin Nafi, che accompagnava Umar bin Sa'd nella sua qualità di cronista.
Egli riferisce: " Hussein bin Ali fu stupefacente. Nel momento in cui il suo martirio andava avvicinandosi, e le sue sofferenze sempre più dolorose, la sua espressione sembrava essere più radiosa e viva, come qualcuno che si accingesse ad incontrare colui che ama."
E persino negli ultimi istanti, quando il maledetto si avvicinò alla sua testa benedetta, egli non poté trattenersi dal dire: "Quando fui vicino ad Hussein bin Ali ed i miei occhi caddero su di lui, la luce e lo splendore del suo volto mi distrassero e dimenticai che ero lì per ucciderlo."
I cronisti riferiscono che Abu Abd Allah aveva scelto, per combattere, un punto vicino alle tende della famiglia. Ciò per due motivi, il primo è che conosceva il carattere disumano del nemico, che aveva persino perso il senso dell'onore e avrebbe potuto attaccare le tende. Egli voleva allora che il campo fosse difeso per lo meno finché era in vita ed aveva la forza di bloccarlo. Avrebbe dunque protetto l'accampamento dall'attacco nemico. In seguito, sempre finché era in vita, voleva che i membri della sua famiglia lo sapessero.
La sua voce era in grado di arrivare sino alle tende, durante tutta la battaglia, egli gridava: "Non c'è potere né forza se non in Dio Magnifico".
Attraverso questo grido egli confortava e rassicurava la sua famiglia, che sapeva allora ch'egli era ancora in vita. L'Imam aveva chiesto ai membri della famiglia di non uscire dalle tende fin quando egli era vivo. E nessuno si permise di farlo. Aveva raccomandato loro di non fare alcuna dichiarazione che potesse diminuire la loro ricompensa al cospetto dell'Altissimo.
In quei tempi gli Arabi addestravano i cavali ad essere avvezzi ai campi di battaglia. Un cavallo simile aveva una reazione particolare quando il suo padrone veniva ucciso.
I membri della famiglia di Abu Abd Allah erano nelle loro tende, in attesa dell'Imam, quando, all'improvviso, sentirono il nitrito del suo cavallo. Si precipitarono verso l'ingresso della tenda pensando che l'Imam avesse fatto ritorno, ma videro il cavallo senza cavaliere.
I bambini e le donne gridarono: "Per Hussein, per Muhammad", attorniando il cavallo e piangendo la sua morte. L'Imam aveva raccomandato loro di non piangere, né di lamentarsi, fino a quando fosse rimasto in vita. Ma, di certo, lo piangessero nella sua morte, e cominciassero le lamentazioni funebri.
Si narra che Hussein bin Ali avesse una figlia di nome Sukayna, ch'egli amava davvero molto. In seguito ella divenne una donna saggia, venerata e rispettata dagli eruditi e gli uomini di cultura. Era una bimba assai cara a suo padre, a cui ella portava affetto immenso. I cronisti riferiscono che questa bimba pronunciò alcune parole, in segno di lutto, che spezzano il cuore. Ella si rivolse al cavallo, domandandogli: "O cavallo di mio padre, gli diedero da bere o morì assetato?"
Preghi Iddio su Muhammad e sulla sua Famiglia Immacolata.
Non v'è potere né forza se non in Dio Magnifico.

vedi http://italian.irib.ir/radioislam/conoscere-lislam/item/86390 

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