Pregare in Iran


postheadericon Pregare in Iran (di M.Tilgher)

Riceviamo e pubblichiamo con grande interesse questa relazione che ci ha particolarmente colpito. Un viaggio (un vero viaggio, senza "turismo") in Iran; un contatto intimo con un mondo quasi "arcaico" che pone al centro della propria esistenza, la religiosità, forse anche la mistica e, comunque, il contatto con la trascendenza. E' inevitabile che tali descrizioni risveglino la malinconia per un occidente preindustriale cristiano... praticamente scomparso.
 
Amo l’Islam sciita; una passione che mi accompagna da quando, appena ventenne, un caro amico e maestro di vita mi introdusse al pensiero gnostico dell’imam Khomeini. Da qui il mio interesse per l’Iran: non per il mondo iranico in sé ma per il suo essere odierna culla dello sciismo. Ovviamente da giovane scapestrato quale ero (ora ahimè sono solo scapestrato) la mia attenzione si andò ad appuntare solamente sulle motivazioni politiche che condussero all’unica rivoluzione religiosa del ventesimo secolo e forse dell’intera storia moderna, per l’appunto la rivoluzione islamica iraniana; fu col tempo che mi trovai ad approfondire le siderali altezze dell’Amore sciita per il Dio unico, per i suoi dodici imam, e per il santo Profeta. Premetto, non sono uno specialista, un islamologo o islamista che dir si voglia; sono solo un amatore… o meglio… un amante! Ed è da amante che quest’estate, vincendo una viscerale ritrosia per l’aeroplano, ho deciso di raggiungere l’amato: il tanto bistrattato Iran khomeinista. Il preciso scopo del mio viaggio era vivere per un mese da musulmano sciita per sentire e comprendere dall’interno quello che si è rivelato un mondo palpitante di sfaccettata bellezza e fervorosa devozione il tutto immerso in una naturale dirittura tradizionale. E in principio parlerò delle moschee: non delle antiche, che ovviamente, provenendo da epoche intrise di coscienza spirituale ed estetica, sono stupende per antonomasia; parlerò delle nuove! Belle, colorate, costruite secondo canoni giammai pervertiti da astruserie intellettual-moderniste di occidentale memoria; esse appaiono al visitatore un poco accorto come delle autentiche preghiere che si ergono a quel Dio Clemente e Misericordioso cariche di gioia devota e policroma; in quelle strutture non v’è cupezza, né maestosa freddezza, ma caldissima grandezza… a vederle mettono quasi una sorta di sacrale allegria. E quel popolo che le frequenta, nelle ore canoniche della preghiera obbligatoria (salat) e non solo, è un popolo che ne rispecchia perfettamente il calore: amorevole con i poveri, solidale, scherzoso ed austero al contempo, sempre pronto a riferire l’infinitamente piccolo e l’immensamente grande al mistero dell’Amore Divino, con pregi e difetti (questo è ovvio) ma tutto imperniato sul cardine di una legge celeste che nella coscienza anche del più umile è anagogia vissuta nella carne del mondo (dunya).  
Era il mese di ramadan, il mese del digiuno, il mese in cui i cieli sono aperti, il mese che l’imam Khomeini definiva di invito e partecipazione alla mensa del Signore. Ho voluto vivere quest’esperienza ed, ebbene sì, ho pregato come loro e con loro. Posso dire che digiunare in una società in cui ognuno pratica il digiuno è qualcosa di molto particolare, ci si sente un corpo solo con tutti i fratelli, si avverte e si sperimenta una fratellanza spirituale anche con lo sconosciuto che oggi è difficile comprendere ed anche solo percepire in mondi “laicizzati” come il nostro. Ogni atto si fa preghiera, il corpo si purifica, la presenza di spirito nelle piccole cose come nelle grandi è serena e fissa come uno scoglio nelle acque; mi si perdoni la retorica da due tuman (la moneta in uso in Iran che vale molto meno dei nostri proverbiali due soldi) ma è l’impressione che ho avuto limpida nel mio cuore ritrovandomi nel caos di Teheran in mezzo a giovani studenti o lavoratori che sgranavano rosari (tasbih) o benedicevano un mendicante, donandogli denari con un’amorevolezza forse di manzoniana memoria. Era bellissimo vegliare la notte nelle case, con queste amorevoli famiglie, seduti su un soffice tappeto a leggere il Corano, consumando l’ultimo frugale pasto nell’attesa che il muezzin decretasse l’inizio del digiuno del nuovo giorno e chiamasse alla preghiera del mattino; era suggestivo vedere le case tutte illuminate poiché tutti intenti alla preghiera alla meditazione ed alla recita di un du à, una delle suppliche tramandate dai masùm (i dodici imam purissimi ed infallibili).
Ho visitato i santuari più importanti di quella terra: Qom e Mashad. Tralasciando la bellezza dei luoghi, in cui l’arte islamica da vita e forma al mistero dell’Uno e del suo Verbo disceso per l’uomo tramite l’uomo perfetto (al insàn al kamìl), quello che più mi ha affascinato ed innamorato in quegli spazi dell’anima erano i credenti stessi che li attraversavano e li vivevano con presente intensità! Innanzitutto il personale: dai custodi agli addetti alle pulizie, tutti volontari prenotatisi da anni per quel servizio, tutti consci di partecipare ad una liturgia collettiva di Amore e devozione che trova il suo culmine cosmico nelle cinque preghiere obbligatorie. E la gente… uomini, donne, bambini, anziani, intere famiglie che, steso un tappeto, consumavano il loro pasto frugale dinanzi al santuario passandovi spesso la notte intera in preghiera. Ed i giovani! Le meravigliose sale dei santuari ne traboccavano: c’era il religioso compito, il mistico estasiato, colui che si accingeva all’incontro col suo Creatore con un’attitudine guerriera, c’era anche lo spensierato che scherzava, rideva e poi entrava in rapporto col Signore offrendogli la sua giovialità.
 
E poi il grande rito della preghiera collettiva… quando San Paolo parla della Chiesa come il corpo mistico di Cristo e noi le sue singole membra pensavo di aver capito, ma era solo un’astrazione della mia mente ipertrofica. E’ stata proprio la partecipazione a questo meraviglioso, sublime rituale veritativo che mi ha fatto vivere e sperimentare l’esser membro di un corpo mistico: perché in quel momento l’individualità si scioglie in un sodalizio spiritualizzato che si schiude, come rosa mistica, alla Grazia celeste, alla Wilayat impropriamente traducibile come Amicizia con Dio. Ed i tuoi vicini di preghiera li senti e si comportano come veri fratelli anche se sarà la prima e l’ultima volta che li vedrai… perlomeno in questa vita.
Un’ ultima cosa, e mi si perdoni la prolissità: i musulmani sciiti piangono! Tutti i loro imam, con l’esclusione dell’ultimo (il Restauratore), hanno subito il martirio. E per il loro sacrificio, offerto per la conservazione e la tramandazione della retta religione, essi ancora oggi versano lagrime; non un pianto rituale! Vere calde lagrime di dolore, di amore, di offerta della propria vita per l’invisibile, per l’ineffabile, per ciò che sublima i limiti a volte vacui ma spesso perversi della manifestazione (il mondo di cui satana sarebbe il re). Stare di notte in una via di Teheran o su una piazza di Mashad, in mezzo a migliaia di persone e vederle piangere insieme, con partecipazione e grande compostezza, mi ha aperto il cuore e la coscienza al fatto che un vero sacrificio è reale sempre, anche oggi, anzi oggi più che mai! Poiché esso, offerto da chi legittimato, unisce cielo e terra per sempre; sta a noi percorrerne le vie recondite… ma neanche troppo.
E la meditazione non può che correre al nostro povero cristianesimo, bistrattato nel rito e depauperato da tutte quelle connessioni con il vivere quotidiano che ne facevano il perno dell’esistenza dei singoli e della collettività intesa per l’appunto come corpo vivo, magari piagato come il Cristo sulla croce, ma vivente, organico e palpitante di Amore devoto.
Detto questo mi vorrei congedare ringraziando la pazienza dell’eventuale lettore ed invitandolo a guardare con maggiore obbiettività una realtà che rischia di essere distrutta perché realmente alternativa al nostro mondo vuoto, materialista e più che mai svirilizzato. Assalamu alaykum o più cristianamente… che la Pace sia con voi!

tratto da http://www.simmetria.org

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