Ma cosa sta veramente succedendo in Siria?

di A. Curino 

Non più la guerra sciiti-sunniti, ma un conflitto in cui le sette più radicali e pericolose hanno preso il controllo della fazione anti-Assad. Gruppi legati ad al-Qaeda e ai paesi del Golfo e all’inizio tollerati dai servizi segreti occidentali. A Ginevra le alleanze cambieranno?
Estremisti islamici in Siria che combattono non solo contro il regime di Assad

Estremisti islamici in Siria che combattono non solo contro il regime di Assad

100mila morti. Cinque o sei milioni di profughi, tra gli sfollati interni e quanti sono scappati nei paesi limitrofi. Questi sono i numeri agghiaccianti di quasi tre anni di guerra senza esclusione di colpi in Siria. Guerra che ha colpito indiscriminatamente civili, giornalisti, soccorritori, religiosi. Guerra di cui ancora non si vede una fine certa: gli unici dati sicuri sono la distruzione in Siria e l’instabilità che rischia di essere esportata in tutta l’area vicino-orientale.
Se all’inizio il conflitto armato siriano era stato messo in fretta e furia nel conto delle cosiddette primavere arabe, oggi c’è molta più cautela a livello internazionale: piano piano si sta facendo strada nell’opinione pubblica l’idea secondo la quale i ribelli siriani non sarebbero poi quei “partigiani della libertà” tanto decantati all’inizio. Come anche la semplificazione, tutta occidentale, della guerra di religione tra sciiti e sunniti è sempre più chiaramente messa in discussione. Addirittura, notizia pubblicata dall’Indipendent, l’esercito libero siriano sarebbe pronto ad allearsi con le truppe fedeli al governo di Assad per combattere le infiltrazioni terroristiche di al-Qaeda che si stanno facendo sempre più strada nelle file ribelli. I nodi, evidentemente, stanno venendo al pettine. Ma cosa sta succedendo in Siria? 
Cercando su internet e non sui media main-stream, si scopre che in realtà anche i sunniti sono nell’occhio del ciclone, sono perseguitati e uccisi da alcuni gruppi armati ribelli: un evidente corto circuito nella vulgata comune dell’equazione sciiti-Assad, sunniti-ribelli. Gli esempi sono tantissimi. Il gruppo “Stato islamico dell’Iraq e del Levante”, la filiale di al-Qaeda in Siria, si è fregiato a ottobre di avere distrutto le tombe e i santuari sufi, addirittura riesumando i corpi e registrando il tutto con la telecamera. Come si sprecano su youtube le immagini di chiese distrutte e statue cristiane fatte a pezzi, da Damasco ad Aleppo. O ancora, in tante occasioni, il mausoleo di al-Sayyeda Zainab, luogo sacro per l’Islam Sciita, è stato attaccato con colpi di mortaio.
Oltre i simboli, nella Siria un tempo rispettosa di tutte le confessioni, anche i religiosi che non accettavano le idee dei gruppi ribelli, in gran parte formati da combattenti stranieri qaedisti, sono diventati un obiettivo. Shaykh Mohammad Sa‘id Ramadan al-Buti, guida dell’Islam Sunnita in Siria, è stato ucciso nella moschea di al-Iman a Damasco, da un attacco kamikaze dove sono morte complessivamente 49 persone. Al-Buti era famoso per la sua moderazione, ma soprattutto per aver denunciato le correnti salafite e takfirite (il “takfir” è l’accusa di miscredenza (kufr). Chi ne è colpito, secondo l’idea fanatica degli accusatori, può essere ucciso ndr), ovvero proprio quei gruppi che spalleggiano al-Qaeda. Gruppi che sono delle sostanziali sette, che dal punto di vista dottrinale e operativo non hanno nulla a che vedere con l’Islam tradizionale e maggioritario.
Ma la lista degli omicidi dei religiosi è tristemente lunga. Lo Shaykh Abd al-Latif al-Shami è stato sequestrato, in moschea, ad Aleppo, mentre conduceva la preghiera del venerdì. I rapitori hanno sparato alcuni colpi di avvertimento per impedire ai presenti di aiutarlo. Poche ore dopo è stato trovato senza vita nel parco Sayf al-Dawlah. Chi lo ha giustiziato lo ha fatto perché lo Shaykh aveva partecipato, a fianco di sacerdoti cristiani, ad alcune manifestazioni per una Siria laica e unita. L’imam della moschea di Sayyada Zaynab, shaykh Naser al-‘Alawi, noto sapiente sciita, ha trovato la morte con un’esecuzione mentre tornava a casa dopo le preghiere serali. Il sacerdote cristiano Fadi Haddad è stato rapito e poi mutilato e ucciso, mentre cercava di salvare la vita a un ostaggio della sua congregazione religiosa. 
Si potrebbe andare avanti a lungo, raccontando le storie di chi ha trovato la morte per motivi religiosi: sciiti, sunniti e cristiani che sono stato uccisi dai gruppi ribelli più oltranzisti, che oggi detengono la forza militare sul campo. Alla luce di questi fatti, l’idea sulla crisi siriana ovviamente cambia. Non più la guerra sciiti-sunniti, ma un conflitto in cui le sette più radicali e pericolose hanno preso il controllo della fazione anti-Assad. Gruppi legati ai paesi del Golfo e all’inizio quanto mento tollerati dai servizi segreti occidentali. 
Tornano alla mente le polemiche dei media inglesi, francesi e statunitensi di oltre un anno fa, ovvero quando i giornalisti ponevano la seguente domanda ai rispettivi governi: siamo sicuri di star aiutando i gruppi giusti? Non rischiamo di foraggiare fazioni che un giorno potrebbero attaccarci? Ecco, forse proprio dalle risposte a questi interrogativi bisognerebbe ripartire, anche in vista dei colloqui di Ginevra. Per cercare di fermare prima possibile un massacro senza precedenti e un’instabilità che rischia di espandersi velocemente ai Paesi confinanti: l’attacco terroristico all’ambasciata iraniana di Beirut ne è, drammaticamente, un chiaro esempio.

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