La ripresa delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita segnano il fallimento del divide et impera israeliano

Il Ministero degli Esteri della Repubblica Islamica dell'Iran ha annunciato nei prossimi giorni la riapertura dell'Ambasciata iraniana a Riad, capitale dell'Arabia Saudita, dopo alcuni anni in cui le relazioni tra sauditi e iraniani avevano segnato il minimo storico. 

Infatti negli ultimi anni Iran e Regno saudita si erano affrontati anche militarmente in diversi contesti, dalla guerra in Siria dove gli iraniani avevano sostenuto il governo di Assad e i sauditi si erano schierati con gli oppositori del Presidente siriano; per non parlare poi del conflitto in Yemen, dove Riad sostiene il governo stanziato nel sud del Paese, e gli iraniani stanno dalla parte dei ribelli sciiti Houthi, i quali da alcuni anni controllano la capitale Sana. 

L'avversione dei sauditi nei confronti dell'Iran e della sua rete di alleanze regionali, ha portato i molti Paesi arabi ad avvicinarsi a Israele, legando così i due attori (Tel Aviv e la galassia dei Paesi arabi filosauditi) in una alleanza anti-iraniana su scala regionale. 

L'improvviso cambiamento di politica dei sauditi ha spiazzato molti commentatori, i quali non si aspettavano l'avvicinamento tra Riad e Tehran dopo anni di incompresioni e conflitti. In realtà l'avvicinamento dei due Paesi è stato il frutto dello sforzo di varie diplomazie, sia mediorientali, che extraregionali. Paesi come l'Iraq, l'Oman e soprattutto la Cina hanno cercato nell'ultimo periodo di avvicinare le posizioni dei due Paesi, riuscendo nell'impresa di ridimensionare le divergenze e istaurare una pace che si spera possa essere duratura. 

Questo non vuol dire che Iran e Arabia Saudita abbiano lo stesso punto di vista per quanto riguarda gli eventi internazionali, ma è chiaro che visto il peso specifico dei due Paesi, buone relazioni tra Iran e Sauditi possono garantire una parziale pacificazione regionale, questione fondamentale soprattutto per i cinesi i quali sono i principali partner economici di entrambi i contendenti. 

Una grande differenza tra la politica estera in Medio Oriente di paesi come Cina, Usa e Israele è proprio questo. I cinesi preferiscono la pacificazione della regione, consapevoli che il commercio internazionale, principale preoccupazione di Pechino, può crescere solo grazie alla pace regionale; per Washington e Tel Aviv invece, la priorità è sconfiggere l'asse regionale filo-iraniano, con ogni mezzo possibile. Questa divergenza tra la politica estera cinese e la politica estera di Stati Uniti e Israele ha come risultato il seguente fatto: per gli asiatici il Medio Oriente ideale è quello in cui la Repubblica Islamica e l'Arabia Saudita non inneschino conflitti, mentre per l'asse nord-americano e israeliano, l'interesse primario è fare la guerra agli iraniani, tramite sanzioni e atti di sabotaggio o tramite il sostegno a rivolte interne. 

In questo senso per i sionisti bisogna fare leva sul potenziale saudita in funzione anti-Repubblica Islamica. 

Proprio per questo l'avvicinamento tra Riad e Tehran è uno schiaffo alla politica del divide ed impera voluto da Washington e soprattutto da Tel Aviv in Medio Oriente. 

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