L'Iran entrerà direttamente in guerra contro Israele?

 La scorsa settimana gli israeliani avevano ucciso il generale dei Pasdaran Musavi in Siria, a Damasco, personaggio considerato come anello di congiuntura tra iraniani, siriani e libanesi (Hezbollah). Ieri sera il bis a Beirut con l'omicidio di Arouri, sempre per mano di Israele. Egli era a sua volta l'uomo di fiducia degli iraniani all'interno dell'ufficio politico di Hamas. Egli, ad esempio, aveva curato il processo di pace tra l'ala politica di Hamas e l'Iran dopo la crisi siriana che aveva incrinato le relazioni tra Hamas e gli iraniani, per via del supporto del gruppo islamico palestinese ai ribelli anti Assad. Oggi (non c'è due senza tre) un attentato che al momento non ha rivendicazioni ufficiali  contro civili inermi in Iran, con più di 100 morti. Nessuna rivendicazione come detto, ma è chiaro a tutti che i mandanti morali sono a Tel Aviv. In una settimana tre atti provocatori anti iraniani col chiaro tentativo di coinvolgere gli iraniani nelle ostilità. 

È bene ribadirlo; la Repubblica Islamica dell'Iran è già in guerra contro Israele per interposta persona: Hamas, Hezbollah e Ansarullah colpiscono direttamente il territorio, i militari e gli interessi dei sionisti a Gaza, nel nord di Israele e nel Mar rosso. E tutti e tre i gruppi sono sostenuti militarmente dagli iraniani. Esattamente come gli israeliani, che sono sostenuti dagli USA. Sia Israele che i tre gruppi menzionati senza il sostegno di USA e dell'Iran non andrebbero da nessuna parte. Però un conto è la guerra indiretta tra USA e Iran o tra Israele e Iran, e un altro conto è l'ingresso diretto iraniano e di conseguenza americano su ampia scala. 

Una parte della dirigenza israeliana spinge per l'allargamento del conflitto all'Iran (soprattutto Netanyahu) ma in Iran la Guida Khamenei non vuole l'avverarsi di questo scenario. Egli preferisce lo scontro indiretto che garantisce maggiore sicurezza da un lato e diminuisce drasticamente il rischio di bombardamenti nelle città iraniane dall'altro. 

Il problema per l'Iran è che i fatti del 7 ottobre scorso se hanno dimostrato le falle del sistema di sicurezza sionista, hanno però scatenato una reazione veemente di Tel Aviv e per ora Washington sostiene la politica israeliana, nonostante qualche mal di stomaco. 

È difficile pensare a un attacco aereo o missilistico dei sionisti in Iran sul modello di Gaza, della Siria o di Beirut, ma ormai siamo entrati in una logica di escalation permanente, per cui a priori non si può escludere nulla. 

L'Iran dal canto suo cercherà di tenersi fuori dalla contesa diretta. Per Soleimani nel 2020 la reazione è stata limitata, ma ora la situazione sta cambiando e le provocazioni sembrano non finire. Secondo alcuni se l'Iran non reagisce il rischio è che Israele alzi il tiro. Ma nonostante ciò Khamenei promuove la "pazienza strategica", e rimanda la guerra diretta con Tel Aviv a data da destinarsi, prediligendo che la reazione a Israele arrivi da parte degli Hezbollah o da chi per loro. Con buona pace di Netanyahu. 

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