Il conflitto in corso in Siria, che vede il governo siriano,
l’esercito e milizie volontarie fronteggiare le bande armate di miliziani, in
buona parte provenienti dall’estero, ha dei risvolti internazionali di primo
ordine. Di fatto, la guerra e la tensione crescente nel Paese arabo, si sono
trasformate in un banco di prova senza precedenti per quelli che saranno le
principali “guerre fredde” dei prossimi decenni, segnando in modo indelebile le
sorti del XXI secolo. Una prima interpretazione che si può dare al conflitto,
fuori dai confini nazionali della Repubblica Araba di Siria, è l’antagonismo
cronico tra Stati Uniti e Occidente (compreso anche Israele) da una parte e l’Iran
dall’altra. L’attacco delle bande armate contrarie all’attuale regime siriano,
sostenute apertamente dagli USA, non solo a livello mediatico e diplomatico, ma
anche con finanziamenti ufficiali e rifornimenti militari, con l’appoggio
logistico della Turchia, trasformatasi in questi mesi nel principale alleato
degli USA nel mondo islamico, senza dimenticare il ruolo economico di Qatar e
Arabia Saudita, stanno portando la Siria verso una pesante guerra di terra, sul
modello di quello che accadde in Afghanistan negli anni ’80 in funzione
antisovietica. L’amministrazione americana, nella persona di H. Clinton, ha
ammesso di auspicare la creazione di una zona franca in alcune regioni siriane,
come capitò per Bengasi in Libia, al tempo della cacciata di Geddafi dal potere
nel Paese nordafricano. La guerra alla Siria rappresenterebbe quindi il
tentativo americano e israeliano di ridurre lo spazio vitale iraniano e di
rompere l’asse della resistenza che lega l’Iran alla Siria e quest’ultima alle
milizie libanesi e palestinesi. Non bisogna dimenticare il ruolo dell’Iraq,
come collante geografico tra Siria e Iran. Il pericolo di un Iraq filoiraniano
e filosiriano è all’ordine del giorno e le posizioni estremamente critiche
degli alleati regionali degli USA, ovvero Turchia, Qatar e Arabia Saudita nei
confronti del premier iracheno Maliki sono la dimostrazione di questa
inquietudine. I viaggi provocatori del Ministro degli Esteri turco e di uno dei
leader dell’opposizione siriana nella regione autonoma del Kurdistan iracheno,
trasformatosi in una roccaforte antigovernativa per le autorità irachene,
dimostrano la preoccupazione degli Stati Uniti per l’eccessiva vicinanza tra
Baghdad, Damasco e Tehran. Alcuni, ed in primis il Re della Giordania, avevano
in precedenza parlato di una “mezzaluna sciita”; questo termine però non è
corretto, visto che l’alleanza tra l’Iran (Repubblica islamica a maggioranza
sciita), l’Iraq (dominato da un governo prevalentemente sciita), la Siria
alawita degli Assad e il libanese-sciita Hezbollah, comprende anche un’importante
componente prevalentemente sunnita, ovvero la resistenza palestinese
(principalmente la Jihad islamica, la sinistra progressista, senza dimenticare
il ruolo di Hamas, nel quale sembrano esserci più anime, alcune critiche nei
confronti della Siria, ma altre, più vicine a Damasco, come ha confermato uno
dei leader storici del movimento islamico, cioè M. Zahhar, che in una recente
intervista rilasciata al canale iraniano IRINN ha apertamente detto: “quella in
corso in Siria non è una rivoluzione, ma un complotto ordito da potenze
straniere per abbattere un baluardo dell’antisionismo”). In definitiva, l’assalto
dell’asse arabo-occidentale alla Siria è un tentativo di colpire al cuore la
sicurezza iraniana, indebolendo un fronte eterogeneo di forze antiamericane e
antisioniste. Oggi, i confini strategici della Repubblica islamica dell’Iran
vanno ben al di là dei suoi confini geografici e si concentrano prevalentemente
in Siria, punto di incontro dei vari arti dell’asse della resistenza. Ma la
guerra alla Siria, non preoccupa solo l’Iran, visto che Russia e Cina,
attraverso l’uso reiterato del diritto di veto in seno al UNSC, e all’invio di
navi da guerra nel Mediterraneo, vogliono dimostrare che in Siria si sta
giocando una vera e propria guerra mondiale tra le principali potenze
occidentali da un lato e quelle orientali o eurasiatiche dall’altro. La Russia
in particolare, ha timore di un effetto domino ai propri confini meridionali.
In pratica, l’analisi del governo russo si basa sul fatto che, una volta
eliminata la Siria, l’Occidente cercherebbe di risolvere anche, una volta per
sempre il problema iraniano. A quel punto la Russia avrebbe al ridosso del
Caucaso a maggioranza musulmano una componente filoamericana e probabilmente
turcofila che punterebbe alla destabilizzazione delle Repubbliche a maggioranza
islamica della Russia meridionale, come già avvenne negli anni ’90, dopo il
crollo dell’URSS. Non a caso Mosca considera, in questo momento storico, i
propri confini strategici posti sull’asse Damasco-Tehran sotto attacco. Vi
sarebbe quindi una visuale simile a quella iraniana; Tehran considera i propri
confini strategici in Siria, mentre Mosca considera la propria “profondità
strategica” legata alle sorti della Repubblica islamica. Bisogna anche
sottolineare che le alleanze, in questa regione tormentata del mondo sono molto
volatili; la situazione può cambiare da un momento all’altro, ma oggi vi è una
grande vicinanza tra Mosca, Tehran e Damasco. E poi non possiamo dimenticare la
potenza economica cinese. Pechino, nella vicenda siriana ha una visione simile
a quella russa, con l’aggiunta del timore che nella regione estremo orientale,
in un futuro non molto lontano, potrebbe ripetersi quello che oggi sta
accadendo nel Medio Oriente. Nel contesto attuale, alcuni Paesi come Turchia,
Qatar e Arabia Saudita, stanno combattendo una guerra antisiriana e anti-iraniana
per conto terzi (USA e UE); nulla però impedirebbe al governo nordamericano e
agli alleati europei di ripetere questo scenario ai confini della Cina,
utilizzando un asse composto dal Giappone, dalla Corea del Sud, da Taiwan,
senza dimenticare le posizioni ambigue dell’India. Tutti questi fattori,
confermati anche da un documento del gennaio 2012 del governo americano, nel
quale si diceva apertamente che una volta risolta la crisi permanente
mediorientale, gli USA dovevano impegnarsi seriamente per il controllo dell’Eurasia
e dell’Estremo Oriente, fanno pensare che sotto la crisi siriana si nasconda un
progetto di egemonia mondiale nordamericano-occidentale, che giustamente tiene
in apprensione non solo l’asse della resistenza, basato sui pilastri
siro-iraniani, ma anche Cina e Russia.
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