I rapporti controversi tra Turchia e Iran hanno caratterizzato gli avvenimenti degli ultimi anni nel Vicino Oriente. Si passa da momenti di tensione, come la crisi siriana, ad atteggiamenti più concilianti, sottolineati dall'aumento della cooperazione economica bilaterale negli ultimi tempi.
Confrontando l’attuale
carta geografica del Vicino-Medio Oriente con quella della fine del Settecento,
notiamo immediatamente che lo spazio e il territorio di due Stati, Impero
ottomano e Regno di Persia, oggi è occupato da almeno una ventina di Paesi:
Turchia, Siria, Libano, Palestina occupata, Iraq, Giordania, Egitto, Stati della
Penisola araba, Iran, Paesi del Caucaso meridionale, Afghanistan e Pakistan. I
motivi di questa frammentazione della regione possono essere molteplici,
principalmente riconducibili a due fattori: esogeni ed endogeni. I primi sono
figli della debolezza delle istituzioni turche e persiane, ormai obsolete e
restie a cambiamenti, riforme e ristrutturazioni di apparati
burocratico-finanziari anacronistici rispetto ad altre zone del mondo,
principalmente all’Europa, dove le ingenti ricchezze accumulate grazie ad una
rete egemonica sugli oceani, garantiva un approvvigionamento monetario sicuro.
Di certo le risorse economiche all’Impero ottomano e al Regno di Persia non
mancavano, ma queste ricchezze non venivano utilizzate per promuovere la ricerca
scientifica, base dello sviluppo di qualsiasi civiltà, sia per le questioni
economiche, sia per quelle militari. Questo fatto invece in Europa era assodato.
Il capitale era investito sistematicamente nello sviluppo, che poi porterà alla
Rivoluzione industriale, grazie al lavoro di grandi scienziati, cosa che in
Oriente, dopo il Cinque-Seicento non si era più visto. Se da un lato la
grandezza ottomana, aveva raggiunto il suo apice tra questi due secoli, che dal
punto di vista simbolico, ma non solo, era stato caratterizzato dal duplice
assedio di Vienna (1529 e 1683), la grandezza persiana in epoca moderna era
dovuta alla dinastia Safavide (fine Cinquecento-metà Settecento) e
principalmente al regno di Abbas il Grande (metà Seicento). Ma oltre queste
carenze interne, l’impatto di tali potenze islamiche con le avventure coloniali
europee, principalmente di inglesi e francesi, causò un ulteriore trauma, che
ebbe come risultato l’implosione di ottomani e persiani e la progressiva
deflagrazione della regione Vicino-Medio orientale in quello che conosciamo
oggi, ovvero una zona a forte instabilità politica, con regimi che potrebbero
cadere dall’oggi al domani. Ovviamente questi cambiamenti epocali si sono
concretizzati nel giro di alcuni secoli (Ottocento e Novecento), dimostrando la
vulnerabilità di Paesi arretrati, incapaci di arginare l’avanzata imperiale
delle potenze occidentali.
Avendo descritto in modo sommario le
vicende di questa regione tormentata del mondo, si nota come anche oggi la
situazione non sembra essere cambiata molto, almeno per la maggior parte dei
Paesi dell’area, assolutamente incapaci di circoscrivere eventuali prove di
forza del mondo occidentale, oggi capeggiato dagli USA. Lo abbiamo visto bene
con le guerre degli ultimi dieci anni, dall’Afghanistan alla Libia, passando per
l’Iraq; la facilità con cui la macchina militare occidentale schiaccia i propri
avversari nel mondo islamico è sconcertante. La NATO e gli USA "asfaltano" i
propri nemici in poche settimane e se rimane qualche problema nel gestire la
guerra non riguarda il momento del conflitto propriamente detto, ma la fase
postbellica, di gestione dell’emergenza e del caos. Nella regione Vicino-Medio
orientale, le cose non sembrano cambiate molto rispetto a duecento anni fa, se
non fosse per la consapevolezza di Turchia e Iran di essere eredi di un grande
passato, che progressivamente sta portando le principali potenze del mondo
islamico a ricreare una zona di influenza diretta ai propri confini, una sorta
di "revival" della grandezza ottomana e persiana.
Ciò è visibile soprattutto in due
Paesi della regione, cioè Siria e Iraq, dove ognuno dei principali attori
regionali pretende di avere una sorta di "diritto di influenza". I turchi
ritengono la Siria e l’Iraq come il proprio giardino privato, ma anche l’Iran
pretende la stessa cosa ed entrambi hanno buone motivazioni storiche, culturali
e religiose per portare avanti tali pretese. L’Iran e la Turchia in questo
momento storico, sembrano essere gli unici Paesi del mondo islamico a portare
avanti politiche orientate ad un confronto diretto col mondo sviluppato e
industrializzato, rappresentato principalmente dall’Occidente. Non è un caso
che, sulla carta, gli unici Paesi ad avere serie possibilità di difesa contro un
eventuale attacco militare occidentale, siano proprio gli eredi dell’Impero
ottomano e del Regno di Persia. Quindi, gli alleati di queste due potenze, si
sentono più protette rispetto ad altri attori regionali. Ovviamente, nel
contesto storico attuale, un attacco militare contro la Turchia da parte
dell’Occidente, è "fantapolitica" allo stato puro, essendo Ankara parte
integrante della NATO. Ma lo stesso non si può dire per Tehran, sempre alle
prese, per via delle istanze anti-imperialiste e antisioniste del proprio
governo, con il rischio di un attacco israelo-americano. Dal canto suo l’Iran ha
già dimostrato in questi anni di sapersi difendere: in Libano nel 2006, la
resistenza libanese patrocinata dall’Iran ha inflitto la prima seria sconfitta
militare a Israele, avanguardia occidentale nel Vicino Oriente. Lo stesso dicasi
per il conflitto di Gaza nel 2008-2009, quando i miliziani palestinesi con
l’aiuto di agenti e armi provenienti principalmente dalla Repubblica islamica,
si difesero egregiamente dall’aggressione sionista. Anche oggi, il principale
deterrente ad un attacco della NATO nei confronti della Siria filoiraniana,
sembra essere la paura di una reazione di Tehran, e degli Hezbollah libanesi in
funzione antisionista (oltre evidentemente all’appoggio sino-russo al governo di
Damasco). In questa delicata partita siriana, fondamentale per gli equilibri
mondiali nel XXI secolo, la Turchia gioca un ruolo importante, essendo il
principale sponsor delle milizie anti-Assad (cosiddetto Esercito Siriano
Libero). Le due principali potenze islamiche, Turchia e Iran, stanno quindi
cercando un proprio spazio vitale, che in caso consolidamento, potrebbe mettere
a rischio l’egemonia occidentale nella regione, che si protrae dai primi del
Novecento in modo netto, prima con l’influenza anglo-francese, e poi con
l’ingresso dell’espansionismo americano. Il problema principale è che, in questa
fase, un’egemonia turca dal punto di vista americano e israeliano, è preferibile
rispetto all’egemonia iraniana, visto che la Repubblica turca è membro della
NATO, riconosce l’esistenza di Israele ed ha normali rapporti diplomatici,
economici e politici con Tel Aviv, ha delle istituzioni politiche simili ai
Paesi occidentali e guarda con favore all’allargamento della NATO e della stessa
UE. L’Iran invece è un avversario dichiarato dell’espansionismo americano ed
atlantista, guarda con timore ad un allargamento della NATO e alle basi
americane ai propri confini (comprese quelle in Turchia), non riconosce
l’esistenza di Israele e promuove la resistenza all’occupazione sionista non
solo a parole, ma con armi e operazioni di intelligence, e si rifà a delle
istituzioni politiche e ideologiche antitetiche rispetto a quelle occidentali.
Gli stessi intellettuali iraniani definiscono il modello della Repubblica
islamica come una "democrazia religiosa", in antitesi rispetto alla democrazia
liberale dell’Occidente.
Per i piani dell’egemonia atlantista
e sionista, ovviamente l’ideale sarebbe poter esercitare un’influenza diretta
negli affari regionali, ma se, per qualsiasi motivo, ciò non fosse più
possibile, sarebbe preferibile l’influenza turca, come ultima possibilità per
arginare l’avanzata iraniana nella regione, il controllo della quale, per via
delle ingenti risorse energetiche, determinerà una capacità senza precedenti
nell’influenza delle relazioni internazionali per tutto questo secolo. Non è un
caso quindi, che la propaganda mediatica occidentale, negli ultimi tempi stia
cercando in tutti i modi di proporre alle masse arabe il "modello turco", in ciò
coadiuvati da alcuni gruppi politici protagonisti della cosiddetta "Primavera
araba" e dagli stessi media atlantisti del mondo arabo (Al Jazeera e Al Arabya
in primis).
sito-fonte: www.italiasociale.net
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