I media occidentali sembrano
sicuri di un imminente caduta del regime siriano. Secondo lei, quanto questa
ipotesi è realistica ed eventualmente quali sono le potenze sullo scacchiere
internazionale che possono risolvere la questione?
L’attuale crisi siriana
rappresenta il principale scontro geopolitico del Medio Oriente, con importanti
ripercussioni sulla stabilità delle relazioni internazionali, sia nella regione
che a livello mondiale.Come abbiamo potuto apprezzare negli ultimi mesi, le
relazioni tra i Paesi membri del UNSC si sono logorate parecchio, portando al
delineamento di un asse occidentale (USA, Gran Bretagna, Francia) contrapposto
ad un asse eurasiatico (Russia, Cina). Il primo gruppo di Paesi sostiene
l’opposizione siriana e il secondo gruppo il governo.D’altro canto, a livello
regionale, abbiamo la contrapposizione tra due alleanze ben marcate: Arabia
Saudita, Turchia e Qatar, contro l’asse della resistenza, ovvero Siria, Iran,
Hezbollah e alcuni gruppi palestinesi.Il Qatar e l’Arabia Saudita si occupano
della propaganda mediatica contro il governo siriano, mentre la Turchia offre
all’opposizione le armi e il denaro. Tra i gruppi di opposizione possiamo
citare Al Qaida, la Fratellanza musulmana siriana, i liberali, ed in generale
terroristi da diversi Paesi arabi, Afghanistan e anche dall’Europa. In generale
possiamo analizzare la vicenda da due punti di vista: a livello mediatico, il
governo siriano sarebbe ormai alla fine, anche se è più di un anno che i media
arabi e occidentali parlano di una imminente caduta di Assad. Uno dei leader
dell'opposizione siriana (Burhan Ghalioun) parlava l'estate scorsa (2011) della
fine del governo a settembre, e oggi, a un anno di distanza, Assad è ancora al
potere. Questa propaganda mediatica è talmente forte a livello globale, che
l'opinione pubblica mondiale è stata influenzata in modo massiccio. La capacità
di influenza mediatica occidentale ha raggiunto nella vicenda siriana delle
cime che non aveva mai raggiunto nel recente passato; in ciò, il sostegno dei
media arabi come Al Jazeera e Al Arabya non è da sottovalutare, visto che la maggioranza
assoluta degli arabi, si informane grazie a questi canali. possiamo dire
apertamente che per ciò che concerne la guerra mediatica, la sfida è impari e
il dominio occidentale è netto. Ma da un'altra visuale, la sfida si gioca
principalmente sul terreno. Le varie battaglie degli ultimi mesi (Homs a
febbraio-marzo, Damasco e Aleppo questa estate), dimostrano fino ad ora il
prevalere del governo siriano sull'opposizione armata, senza dimenticare le
elezioni del parlamento, svoltesi in un clima di multipartitismo che hanno
visto una buona partecipazione popolare e la vittoria dei gruppi vicini ad
Assad. A livello mediatico gli occidentali sono in vantaggio, ma sul campo (ed
è questo che conta concretamente), fino ad oggi Assad ha prevalso. Solo il governo
siriano può risolvere definitivamente la situazione, con l'aiuto del popolo,
senza dimenticare l'aiuto di paesi come la Russia, la Cina e l'Iran. Ma alla
fine il colpo definitivo all'eversione araba e occidentale in Siria, è
prerogativa del governo e del popolo siriano, non di potenze straniere. L'unica
soluzione è la repressione del terrorismo e le riforme sociali, per il dialogo
con l'opposizione democratica e non violenta. L'unicasoluzione è siriana, non imposta da
forzestraniere.
Ci sarà a suo modo di vedere un
intervento armato Americano per far cadere il regime di Assad, o gli USA
manterranno le distanze per evitare rischi ed un coinvolgimento deleterio? Se
dovesse prevalere l’ipotesi interventista, che conseguenze ci potrebbero essere
per l’America stessa?
L'obiettivo degli USA in Siria è
principalmente la rottura dell'asse della resistenza contro il regime sionista,
di cui la Siria è il perno (come ha detto Nasrallah, l'Iran è la spalla, la
Siria è il braccio e Hezbollah è il pugno per colpire i sionisti). Senza
dimenticare in prospettiva una guerra all'Iran e l'accerchiamento geopolitico
di Mosca e Pechino. Un intervento americano in Siria c'è già, grazie
all'appoggio mediatico, diplomatico, finanziario e militare all'opposizione
siriana. Fino ad oggi però, gli USA hanno lasciato l'attuazione del piano ad
alcuni attori regionali (Turchia, Qatar, Arabia Saudita e dietro le quinte il
regime sionista). secondo me se gli USA o la NATO volevano l'intervento armato
diretto avrebbero già agito, a prescindere dalla situazione di stallo in seno
alla UNSC. Il problema per loro è che la Siria non è la Libia, e la forza
militare di Damasco, grazie allo stretto legame soprattutto con Russia, Iran e
Hezbollah, rappresenta un deterrente molto forte. In caso di attacco alla
Siria, ci potrebbe essere un bombardamento a tappeto della Palestina occupata;
il regime sionista ha dovuto desistere dopo solo 33 giorni nel 2006 contro un
piccolo gruppo come Hezbollah, figurarsi contro una Siria che grazie all'aiuto
di Mosca e Tehran è molto diversa dai Paesi arabi che a più riprese sono stati
umiliati dai sionisti nei decenni precedenti. Gli USA non possono permettersi
un ulteriore indebolimento di Tel Aviv, senza dimenticare il caos che
scoppierebbe in Turchia, dove la guerriglia curda non aspetta che un occasione
per sferrare un duro colpo al governo di Erdogan. L'attacco alla Siria
porterebbe al caos nella regione senza dimenticare le rotte petrolifere nel
Mediterraneo orientale e nello stesso golfo persico, facili obiettivi per i
missili siriani, che hanno un livello di precisione enorme, come abbiamo visto
nella vicenda dell'abbattimento dell'aereo militare turco qualche mese fa.
tutto ciò fa pensare che gli USA non attaccheranno la Siria direttamente, ma
solo attraverso l'opposizione armata e gli alleati regionali, come fatto
nell'ultimo anno e mezzo.
Come valuta la posizione russa in
questa vicenda? La Russia scenderà a compromessi, come suggerito da H. Clinton,
per la creazione di una zona demilitarizzata in Siria? Dopo la situazione
libica, i russi saranno ancora disponibili a vicende di quel tipo?
Prima di tutto bisogna
comprendere la posizione della Russia riguardo alla cosiddetta primavera araba.
Sin dall'inizio delle rivolte, il presidente Putin e i suoi stretti collaboratori
hanno bollato questi fenomeni come rivoluzioni colorate, simili a quelle della
Georgia e dell'Ucraina. In Libia però, la Russia ha sottovalutato
l'amministrazione Obama, ritenendo probabilmente questa non guerrafondaia come
quella di Bush. I russi si sono fidati degli occidentali, pensando che essi non
avrebbero forzato la mano. Ma la fiducia di Mosca è stata ripagata con
l'intervento armato diretto della NATO, che ha aperto la strada, come vediamo
anche in questi giorni, alla destabilizzazione della Libia e alla guerra
civile. L'esperienza maturata in quella vicenda, e l'inizio dell'attacco
terroristico in Siria, senza dimenticare la ripresa di alcuni attacchi
terroristici nel Caucaso russo, hanno convinto Mosca all'intransigenza nei
confronti di un'eventuale attacco militare occidentale contro Damasco. Dire che
la Russia sostiene Assad solo perché in Siria c'è l'unica base militare russa
nel mediterraneo non è esatto. A prescindere da questo fatto, il governo russo
probabilmente ragiona in questo modo: la NATO continua la sua espansione ai
confini russi e ha installato un sistema radar molto sviluppato nell'Europa
orientale e in Turchia, con una evidente intensione di intimidire Mosca e
Tehran. La cosiddetta primavera araba sta mutando rapidamente la regione del
Medio Oriente, fornendo una spinta forte ai partiti islamici come la
Fratellanza musulmana, attiva anche in Russia, con intenti di destabilizzazione
nel Caucaso. L'attacco alla Siria potrebbe essere la base per un attacco
all'Iran, e se Tehran cadesse tutta la fascia meridionale della Russia sarebbe
in mano agli occidentali, con un grande danno geopolitico per il governo russo,
che si troverebbe schiacciato da un mondo musulmano completamente allineato
alla NATO. Questo innescherebbe un processo di disgregazione, simile a quello
dell'Unione sovietica, ma con la differenza che sta volta la Russia per
rialzare la testa dovrebbe aspettare qualche secolo, e non qualche decennio
come è avvenuto negli ultimi venti anni. Questa è probabilmente l'analisi
russa, e Putin non vuole che accada tutto ciò. Resistere in Siria per i russi
vuol dire una guerra preventiva alla disgregazione della Federazione russa,
come stato sovrano e indipendente, e come attore importante nelle dinamiche
regionali e globali. Per cui mi sembra improbabile che Mosca possa accettare
proposte americane che portino a uno scenario libico. Per i russi, ma anche per
gli iraniani, è fondamentale che Aleppo non diventi Bengasi e che Assad non
faccia la fine di Gheddafi. Resistere nel mondo arabo per Mosca e Tehran vuol
dire evitare di fare i conti con la NATO in casa propria.
Come sarà la situazione dopo la
caduta di Assad, secondo la sua opinione? I media riportano diverse
catastrofiche ipotesi al riguardo.
Premetto che secondo me Assad non
cadrà visto che gode di un sostegno diffuso nell'esercito e tra la popolazione.
Le minoranze etniche e religiose lo sostengono in modo compatto e anche la
maggioranza dei musulmani sunniti non vuole una Siria sotto il controllo
occidentale. In Siria c'è una diffusa minaccia terroristica, non una
rivoluzione, come ha avuto modo di sottolineare anche Mahmoud Zahhar, uno dei
padri fondatori di Hamas, in un'intervista al canale iraniano IRINN, qualche
tempo fa. E la guerra contro il terrorismo vede un generale vantaggio del
governo, come dimostrano i combattimenti recenti ad Aleppo e Damasco. Nessuna
città importante è in mano ai ribelli. Quindi la Siria continuerà ad essere
governata da persone che hanno un orientamento antisionista, malgrado la
pressione di alcuni governi islamici e degli occidentali. Ma se volessimo
analizzare l'ipotesi remota della caduta di Assad, lo scenario internazionale
sarebbe: A) l'indebolimento dell'asse della resistenza e dell'Iran. B) il
rafforzamento nella regione della NATO e del regime sionista. C) un'ulteriore
sconfitta per Russia e Cina, dopo la vicenda libica. Mentre in Siria vi
sarebbero instabilità politica, guerra settaria e Libanizzazione del Paese, con
diverse zone geografiche fuori dal controllo del governo centrale. A ovest si
creerebbe una zona alawita, a sud una zona drusa e a nord una zona curda.
Damasco e Aleppo sarebbero in mano ad alcuni gruppi fondamentalisti e i sunniti
moderati sarebbero perseguitati per il loro sostegno a Assad. Questo sarebbe
solo il primo passo per una eventuale cancellazione della Siria dalle carte
geografiche e la nascita di alcuni Paesi piccoli e deboli, che non
rappresenterebbero alcuna minaccia per la sicurezza del regime sionista.
Una possibile opzione da prendere
in esame sarebbe la possibile divisione della Siria in tre parti. ChagryErhan,
direttore del Centro per la Ricerca Strategica dei popoli europei, pensa che il
Partito Baath, una volta perso il potere, tenterà di creare una zona alawita
autonoma sulla costa mediterranea, per poi portare un attacco ai sunniti e
distruggerli. L’idea di creare una regione autonoma è accarezzata anche dai
curdi. L’unico modo per evitare questo scenario, secondo Erhan, sarebbe quello
di un bagno di sangue voluto dal regime per annientare l’opposizione e così
facendo il Baath potrebbe mantenere il potere ancora a lungo, anche se il costo
sarebbe una carneficina. Qual è la sua opinione al riguardo?
Il primo passo, dopo un'eventuale
caduta di Assad, come ho detto prima, è la libanizzazione della Siria, ovvero
non la secessione in diversi stati sovrani (balcanizzazione), ma semplicemente
l'indebolimento del governo centrale finalizzato al rafforzamento delle bande
armate locali. La balcanizzazione è uno stadio successivo e da prendere in
considerazione, ma solo dopo un periodo di tempo. Fino a oggi, le etnie e le
confessioni religiose hanno convissuto pacificamente in Siria, grazie alla
tolleranza del governo capeggiato dal Baath e dalla famiglia Assad. Nel momento
in cui cadesse questo equilibrio, scoppierebbe il caos, e a quel punto non si
può escludere la violenza settaria e le vendette per motivi religiosi e etnici,
come è accaduto in Jugoslavia dopo la caduta di Tito, o più di recente in Iraq
e Libia. Quando cade un potere forte, si sprigionano forze radicali e
fondamentaliste, rimaste represse in precedenza. Se cadesse il governo siriano
ci sarebbe una terribile guerra civile, che avvantaggerebbe solo i nemici della
Siria e della regione, ovvero la NATO e il regime sionista. Tutto quello che
noi stiamo vedendo oggi in Siria e ai confini del regime sionista è un progetto
americano e sionista per trasformare alcuni importanti e grandi paesi del mondo
islamico in piccoli stati deboli e senza eserciti forti in grado di mettere in
discussione la potenza bellica di Tel Aviv. Gli USA vogliono un regime sionista
che controlli la regione e non un paese musulmano che sia leader nel Medio Oriente.
Il progetto di balcanizzazione non riguarda solo Iraq, Libia, Siria o Iran, ma
anche importanti alleati degli USA come la Turchia. Erdogan sta facendo cadere
Ankara in una trappola, con la quale vuole creare un Kurdistan autonomo tra
Iraq e Siria, senza pensare che se il Kurdistan iracheno e siriano si unissero,
anche i curdi di Turchia vorrebbero unirsi a questo grande Kurdistan. Purtroppo
i leader turchi sono troppo preoccupati della Siria, e si sono dimenticati dei
loro problemi interni, favorendo la destabilizzazione della regione, con danni
gravi per tutti i paesi musulmani, dall'Iran alla Siria, passando per la stessa
Turchia, senza dimenticare i rischi in futuro per Russia e Cina. Chi ci
guadagna sarebbero solo Tel Aviv e gli USA. Per evitare tutto ciò il governo
siriano sta combattendo i terroristi, anche grazie all'aiuto di milizie
volontarie, e sta riformando il sistema politico verso la democrazia e il
multipartitismo, come abbiamo visto nelle elezioni del parlamento. Questa è
l'unica via che potrà salvare la Siria dalla disgregazione.
Tratto da http://granews.info/
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