L’Imam Hussain e i suoi seguaci
arrivarono nei pressi di Karbala (Iraq), nel mese islamico lunare di Muharram
del 682 d. C. A un certo punto l’Imam Hussain s’alzò in piedi, s’appoggiò sulla
propria spada, e ad alta voce disse all’esercito nemico: “Vi scongiuro in nome
di Dio di dirmi se mi riconoscete.” Essi risposero in modo affermativo dicendo:
“Tu sei il nipote dell’Inviato di Dio”. L’Imam allora elencò tutti i suoi
nobili parenti, dal Profeta all’Imam Ali alla sua nobile madre, Fatima
az-Zahra. Gli esponenti dell’esercito omayyade risposero che loro sapevano bene
chi era l’Imam Hussain, ma non avrebbero per questo risparmiato lui e la sua
famiglia dallo sterminio. A quel punto le donne della fazione dell’Imam Hussain
iniziarono a piangere e a lamentarsi, e l’Imam mandò alcuni suoi stretti
collaboratori per calmarle dicendo: “Calmate le donne, poiché giuro su me
stesso che avranno molto da piangere da ora in avanti”. Dopo di ciò le milizie
degli omayyadi iniziarono l’avanzata verso il piccolo esercito dell’Imam
Hussain. A quel punto uno dei leader dell’esercito del califfo omayyade Yazid
figlio di Muawiyah figlio di Abu Sufian (quest’ultimo fu uno dei principali
oppositori del Profeta Muhammad al tempo della sua missione profetica), ovvero
Shimr, si avvicinò all’accampamento della famiglia del Profeta, gridando: “Dove
sono i miei parenti?” (Shimr aveva un legame di parentela con alcuni
sostenitori dell’Imam Hussain, e voleva giocare questa carta per indebolire
ulteriormente l’esercito dell’Imam) A quel punto i suoi parenti risposero:
“Cosa vuoi?” Shimr disse: “Non seguite Hussain poiché egli verrà sconfitto,
unitevi a Yazid e vi salverete.” La risposta fu netta: “Ci chiedi di tradire
Hussain e di unirci ai maledetti figli di altri maledetti? Che brutta proposta
ci stai facendo.” Shimr montò su tutte le furie e ritornò dai suoi miliziani.
Quando l’Imam Hussain vide la fretta degli omayyadi nell’iniziare il conflitto,
disse a uno dei suoi collaboratori di chiedere ai nemici una tregua per una
notte, affinché ci si possa raccogliere in preghiera. La proposta fu accettata
e l’Imam si ritirò nella sua tenda a riposare. Dopo poco però si svegliò e
chiamò sua sorella Zainab, dicendogli: “Cara sorella, ho appena sognato mio
nonno, l’Inviato di Dio, mio padre (Imam Ali), mia madre (Fatima), mio fratello
(Imam Hasan). Mi hanno detto che presto li raggiungerò.” A quel punto Zainab si
disperò e iniziò a piangere. L’Imam Hussain disse: “Calmati, non fare che
questa gente gioisca per le nostre sofferenze”. Ormai si era fatta notte, e ci
fu una riunione dei compagni dell’Imam Hussain, per le ultime raccomandazioni e
per la preghiera. L’Imam allora prese la parola e disse ai suoi seguaci
irriducibili: “In verità io non conosco seguaci migliori di voi, e una famiglia
migliore della mia. Che Dio vi dia la giusta ricompensa. Ora è notte e
l’oscurità vi abbraccia. Usatela come un agile cammello; ognuno di voi prenda
uno degli uomini della mia famiglia, e si sperda nell’oscurità della notte.
Lasciatemi solo con questa armata, loro vogliono solo me.” Alcuni presero a
loro volta la parola e dissero: “Perché dovremmo fare ciò, forse per rimanere
vivi dopo di te? Dio non voglia.” Poi l’Imam si rivolse alla famiglia di un suo
stretto collaboratore, Muslim, che era stato martirizzato in precedenza, e
disse loro: “Il martirio di vostro padre è sufficiente, voi potete andare.”
Essi risposero: “No, cosa direbbero di noi gli altri; hanno lasciato solo il
nipote dell’Inviato di Dio, il nostro maggiore, il nostro signore, e non gli
hanno dato nemmeno una freccia. No, noi non ti abbandoneremo.” Molti altri
dissero le stesse parole, finché arrivò il momento della preghiera e della
meditazione. Si udivano anche in lontananza le preghiere dall’accampamento
dell’Imam; alcuni eseguivano le preghiere in piedi, altri in genuflessione,
altri in prosternazione. Quella notte una trentina di miliziani omayyadi
rinnegarono l’ipocrisia e si unirono all’Imam Hussain. La mattina seguente
l’Imam si svegliò, dopo un breve sonno, visto che aveva passato tutto il tempo
a pregare, e fece una lavanda e si profumò, preparandosi al martirio. L’Imam
cercò per l’ultima volta di scongiurare la guerra fratricida tra musulmani, ma
il suo appello fu vano. Allora rivolto ai nemici disse: “La sventura sia su di
voi, eravate smarriti e avete chiesto il nostro appoggio, e noi siamo venuti in
vostro aiuto. Voi però volete ucciderci con le stesse spade con le quali
avevate promesso di aiutarci. Oggi siete venuti in sostegno dei vostri nemici
per uccidere i vostri amici. Questa gente non vi ha aiutato e non vi ha
trattato con giustizia, ma voi volete servirli. Guai a voi! Non ci avete
aiutato nel momento del bisogno. Voi siete nemici della verità, avete
falsificato il Corano (per ciò che concerne l’interpretazione). Oh massa di
peccatori. Oh seguaci di Satana. Oh distruttori della tradizione del Profeta.
Possa la misericordia divina essere lontana da voi.” L’Imam parlò a lungo e
disse anche: “Dite a quelli che gioiscono per le nostre sofferenze, che anche
loro soffriranno, anche loro moriranno.” Dopo tutto questo iniziò la battaglia:
gli omayyadi reazionari erano tantissimi (alcuni parlano di decine di
migliaia), e la fazione rivoluzionaria dell’Imam Hussain aveva pochissime unità
(non arrivavano a cento). Il capo dell’esercito omayyade, Umar ibn Sad, scagliò
una freccia e disse: “Testimoniate al califfo che sono stato io il primo a
colpire la fazione avversaria.” La battaglia fu molto cruenta e nonostante
l’esiguo numero di combattenti, la fazione dell’Imam riuscì a resistere. Vi fu
anche un’eccellente defezione tra gli omayyadi, quella del valoroso Hurr che
decise in extremis di abbandonare le forze della reazione per unirsi all’Imam
Hussain. Si narra anche della presenza di cristiani tra l’esercito dell’Imam
Hussain.
A mezzogiorno entrambe le schiere eseguirono
l’orazione rituale in congregazione, guidate rispettivamente per le forze
reazionarie da Umar Ibn Sad, e per la Gente della Casa del Profeta, dall’Imam
Hussain. L’apparenza dei due eserciti era islamica, mentre il cuore degli
omayyadi era pieno di ipocrisia e crudeltà, mentre dall’altra parte l’unico
pensiero era la difesa della causa degli oppressi e l’amore per Dio
l’Altissimo. In quel terribile giorno vennero martirizzati uno dopo l’altro i
fedeli compagni dell’Imam e i suoi famigliari, come Ali Akbar, un adolescente
di bell’aspetto e forte, uno dei più amati dall’Imam Hussain. Dopo il martirio
di Ali Akbar per mano degli sgherri del regime, uno dopo l’altro i giovani
della fazione dell’Imam Hussain andarono incontro al martirio, con onore e con
fierezza. Fu il momento anche di un altro valoroso seguace dell’Imam, Ghasim,
suo stretto famigliare. Successivamente, la crudeltà delle milizie al soldo di
Yazid, raggiunse l’apice, con il martirio di un bambino in fasce, colpito alla
gola da una freccia scagliata da un certo Harmalah (che Dio l’Altissimo lo
stramaledica). Poi toccò anche ad Abbas, fratello dell’Imam, che si era recato
alla riva del fiume Eufrate, nei pressi del campo di battaglia, per prendere
dell’acqua e portarla ai suoi compagni. I miliziani di Yazid vedendo la scena,
colpirono con delle frecce Abbas, amputandogli le braccia e alla fine lo
colpirono a morte. Allora il nobile Imam Hussain (pace su di lui) entrò nel
campo di battaglia e disse ai nemici di Dio: “Guai a voi, non osate avvicinarvi
al nostro accampamento e non dovete toccare le nostre donne. Questa è una
guerra tra me e voi, non c’entrano le donne e l’accampamento”. Shimr, uno dei
leader dell’oppressione omayyade allora promise all’Imam di non toccare
l’accampamento, promessa di seguito non mantenuta. L’Imam e l’armata avversaria
si scontrarono, e alla fine il nipote del Profeta, quello per cui l’Inviato di
Dio aveva speso tantissime parole di affetto e stima, arrivando addirittura a
dire “Hussain mi appartiene e io appartengo a Hussain” e anche “oh Dio io sono
il Tuo messaggero e il Tuo servo, queste due persone (Imam Hasan e Imam
Hussain, figli dell’Imam Ali e di Fatima, figlia del Profeta) sono i puri della
mia famiglia, gli eletti della mia discendenza. Li lascio tra il mio popolo
come miei successori, l’angelo Gabriele mi ha informato che questa creatura
(Imam Hussain) sarà uccisa in un modo terribile. Oh Dio, rendigli fausto il
martirio, e non renderlo fausto ai suoi assassini”, fu martirizzato e
decapitato. Una volta che un musulmano comprende il significato di queste
parole, come può mettere sullo stesso piano l’assassino e la vittima? Come
possiamo dire di essere simpatizzanti dell’Imam Hussain e non maledire i suoi
assassini? Compiuto lo scempio le milizie del regime attaccarono
l’accampamento, bruciando le tende e imprigionando le donne. Poi, con la testa
dell’Imam come trofeo, le truppe di Yazid, con il bottino di guerra, ovvero le
donne della famiglia dell’Imam Hussain, partirono da Karbala verso Damasco,
capitale degli omayyadi. Prima però di arrivare a Damasco la carovana si fermò
a Kufa, non lontanissimo da Karbala, dove c’era la sede del governo locale. Lì
Zainab, la coraggiosa sorella dell’Imam Hussain pronunziò un sermone dicendo:
“Avete compiuto una turpe azione, avete commesso un terribile crimine grande
come la terra e i cieli. Non v’allieti il tempo che Dio vi sta concedendo in
quanto Lui non ha fretta di vendicarsi. Non ha paura che gli sfugga l’occasione
di punirvi. In verità il vostro Signore è in agguato!” Quando finalmente la
carovana giunse a Damasco, al cospetto di Yazid nipote di Abu Sufian, fu
mostrata la testa mozzata dell’Imam Hussain. Nel vedere la scena alcuni ebbero
un mancamento, e la stessa Zainab fu vittima di un malore. Allora Yazid, che
Dio lo maledica, quello che alcuni chiamano il “Principe dei credenti”, iniziò
con una canna di bambù a schernire la testa dell’Imam, il nipote prediletto del
Profeta, colpendolo sui denti. Allora Zainab, dopo essersi ripresa, disse al
califfo: “Oh figlio di Abu Sufian, anche se tu oggi sei contento di averci
uccisi e di averci preso in prigionia, e pensi quindi di aver vinto, devi
sapere che la pagherai, e ci sarà un giorno in cui non ci saranno buone azioni
che ti soccorreranno. Noi denunciamo le tue ingiustizie a Dio, l’unico nostro
patrono. Oh Yazid, trama pure, ma sappi che non riuscirai mai a farci
dimenticare la Rivelazione.” A distanza di 1400 anni da quell’episodio, noi
siamo ancora disposti a seguire la via maestra dei nobili seguaci dell’Imam
Hussain e di Zainab, contro ogni forma di oppressione e arroganza. Lottare per
la causa degli oppressi, come disse l’imam Khomeini, è il più alto atto di
adorazione di Dio l’Altissimo.
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