Natale: una festività eurasiatica?


Natale: una festività eurasiatica?

di Ali Reza Jalali

Ci avviciniamo a quella che è considerata la principale festa della cristianità, ovvero il Natale di Gesù Cristo (pace su di lui). D’altronde molti commentatori religiosi, sia in ambito cristiano, sia in altri contesti, ritengono la data del 25 dicembre una sorta di convenzione, visto che la data precisa della nascita di Gesù Cristo non è identificabile in modo preciso. In questa sede evidentemente non intendiamo soffermarci su queste discussioni, ma semplicemente vedere come lo spazio eurasiatico, prima di essere un’entità geografica, prima di poter divenire uno spazio geopolitico coeso, è senza ombra di dubbio una casa comune di popoli e di culture diverse, indubbiamente peculiari e non omologabili in modo semplice, ma che hanno delle radici comuni molto forti. Ciò è dimostrato non solo, ma anche, da una serie di usanze comuni, che pur avendo cambiato nome e forma durante lo scorrere dei secoli e dei millenni, hanno mantenuto una continuità storica innegabile. Una di queste usanze, o per meglio dire festività, è proprio il Natale. Non è una novità affermare che la festa del Natale di Gesù Cristo è stata probabilmente mutuata dalla festività romana del “Sol Invictus”; ciò ovviamente non vuol dire che, come alcuni erroneamente sostengono, Gesù Cristo non sia esistito, ma semplicemente che la sua data di nascita non è sicura, e che verosimilmente, le autorità del clero per evitare di dover abolire una festa fortemente sentita dalla popolazione un tempo pagana, l’abbiano “trasformata” in una festa cristiana, facendo diventare quella ricorrenza il “Natale” di Cristo. Ma anche questo non è il punto del nostro discorso. Pochi infatti sanno che l’origine della festività romana del “Sol Invictus” è da riscontrare nelle tradizioni di molti popoli del continente eurasiatico, dall’India all’Irlanda, e che soprattutto in Iran questa festa ha delle radici molto antiche, che non si sono esaurite nemmeno oggi. Infatti, proprio in questi giorni, gli iraniani festeggiano il “loro” Natale, e non ci riferiamo evidentemente al Natale festeggiato dai cristiani iraniani, ma ad una festa, denominata in farsi “Yaldà”, letteralmente “Natale”. Questa festa segna il “Natale” del Sole, visto che dal solstizio del mese di dicembre nell’emisfero boreale le giornate si allungano e tendono a “crescere” giorno dopo giorno. “Yaldà” quindi, è una festa che gli iraniani festeggiano dai tempi più remoti, ma la sua radice, dal punto di vista linguistico deriva non dal farsi, ma dal siriaco. Il sapiente persiano Biruni, vissuto intorno all’anno 1000 d. C., descrisse questa tipica festa iranica come il “Grande Natale” (Yaldà-e Akbar) o il “Natale del Sole” (Yaldà-e Khorshid). Questa festa accomuna tutti i popoli di origine indoeuropea, e attraverso queste popolazioni, si è poi diffusa in diverse zone dell’Europa e dell’Asia. D’altro canto, con le sue caratteristiche originarie, si è mantenuta in modo diffuso solo in Iran, mentre nei Paesi Europei e nel mondo cristiano, ha “mutato” forma e nome diventando il “Natale” che noi tutti conosciamo. Nella cultura dell’antica Persia, soprattutto nell’epoca preislamica, possiamo trovare dei riferimenti a questa festa, che secondo alcuni preannunziava l’arrivo dell’anno nuovo, esattamente come oggi il Natale, secondo la cristianità occidentale, cade di pochi giorni prima rispetto all’inizio del nuovo anno. La parola “anno” per gli antichi persiani, si diceva “sareda”; nel persiano moderno invece il simile vocabolo “sard”, indica il “freddo”, confermando quindi l’ipotesi secondo cui l’inizio dell’anno coinciderebbe con il “Yaldà”, ovvero col “Natale del Sole”, momento in cui inizia anche la stagione del freddo, ovvero l’inverno. D’altronde non si può negare nemmeno il fatto che in base alla cultura tradizionale persiana, l’anno nuovo coinciderebbe con il primo giorno della stagione primaverile, il celebre “Nowruz”, nuovo giorno. Quindi, il termine “sareda”, che indica l’anno nelle lingua avestai degli antichi persiani, lingua nella quale è scritto l’Avesta, testo sacro per i zoroastriani, e che come detto, vuol dire freddo, più che indicare l’inizio del freddo, potrebbe riferirsi invece alla fine della stagione fredda, ovvero il termine dell’inverno e l’inizio della primavera. I festeggiamenti della notte di “Yaldà” sono tra le più importanti tradizioni iraniane. Siccome questa è la notte più lunga, e la notte è caratterizzata dal buio, ed esso era per gli antichi persiani, simbolo di Ahriman (Satana) e dei demoni, essi accendevano dei falò per allontanare le tenebre e la malvagità. Inoltre venivano apparecchiate delle tavole con vari tipi di frutta, fresca e secca, come un dono per Ahura Mazda (Dio). C'era pure chi aspettava il mattino per vedere l'arrivo del sole, facendo delle preghiere. Tutte queste usanze, sono rimaste intatte attraverso i secoli, e ancora oggi gli iraniani, custodi di una delle più antiche civiltà del mondo e dell’Eurasia, festeggiano il “Natale del Sole”, la notte di “Yaldà”.   


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