Dirittumanismo
WASP: “In Iran per evitare la Rivoluzione bisognava massacrare più gente”
Negli ultimi
anni, soprattutto in certi ambienti anglosassoni, circola un’interessante
interpretazione degli eventi che portarono alla caduta dello Shah e alla
Rivoluzione islamica in Iran. Gli americani e gli inglesi, all’unisono,
considerano la caduta dello Shah come una catastrofe, in quanto il colonialismo
ha perso, oggettivamente, la propria influenza su un Paese fondamentale per gli
equilibri regionali e globali.
Partendo da
questo fatto, e volendo fare una sorta di storia “con i se e con i ma”, gli
studiosi anglosassoni sono arrivati a questa conclusione: “se negli ultimi
giorni del premier Bakhtiar, capo dell’ultimo governo nominato dalla monarchia,
si fosse usato l’esercito con più veemenza non sarebbe scoppiata la
Rivoluzione”.
Questa
analisi, a prescindere dalla giustezza o meno, dimostra la grande vena
dirittumanista anglosassone. In pratica, siccome in Iran erano in pericolo gli
interessi coloniali degli americani e degli inglesi, un massacro poteva essere
giustificato, e questo, partendo dal fatto che in Iran in quel periodo di certo
i massacri non mancavano. Quindi, per mantenere la loro egemonia, gli
anglosassoni dovevano massacrare ancora più gente; ecco il grande “errore” del
colonialismo in Iran, quello di non aver ammazzato troppi oppositori.
Anche il
famoso militare americano, mandato a Tehran nel 1979 per fermare o deviare il
processo rivoluzionario, Robert Huyser, nel suo celebre libro “Missione a
Tehran”, dice apertamente e con un certo sarcasmo, ricordando i giorni della
caduta dello Shah e del premier Bakhtiar:
“Come sarebbe finita la vicenda se
Bakhtiar avesse fatto pieno uso delle sue forze armate nelle due settimane
decisive della seconda metà di gennaio, dopo la partenza dello scià?” (1)
Che “bello” questo tipo di dirittumanismo, un
dirittumanismo che anche in precedenza abbiamo avuto modo di ribattezzare come
“imperialista”: questo però in salsa esclusivamente anglosassone.
1- Robert Huyser,
Missione a Tehran, Mondadori, Milano, 1988, pag. 302.
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