“Non è una questione interna, ma una lotta tra l’asse della resistenza [anti-israeliana] e i nemici di questo asse”. “[l'Iran] non permetterà in alcun modo che l’asse della resistenza venga rotto e la Siria ne è un perno essenziale”.
Said Jalili, segretario del Supremo Consiglio per la Sicurezza Nazionale della Repubblica islamica dell'Iran
“La primavera araba e in particolare la crisi siriana, sono
stati la base per dei cambiamenti significativi nella regione mediorientale e
nel bilanciamento delle potenze in competizione. In base a quanto riferisce un
accademico di un Paese arabo del Golfo Persico, l'Iran, il più fermo alleato
internazionale del presidente siriano Assad, ha dovuto sostenere molte perdite
negli ultimi due anni. Il soft power messo in campo da Tehran per guidare
l'asse della resistenza è stato dissipato. Se il regime di Assad cadesse, l'influenza
di Hezbollah diminuirebbe in modo drastico. La decisione di Hamas di
abbandonare la Siria è una cosa che va letta proprio in questo senso. Deve
essere messo più accento sul fatto che ormai l'asse della resistenza è in fase
di declino. Inoltre le capacità militari dell'Iran sono sempre state
sovrastimate.”
“Vi è un problema ideologico, ovvero il fatto che contro
l'URSS c'era un collante tra Occidente, Israele e Paesi arabi del Golfo
Persico, vi era un nemico comune da un punto di vista ideologico. Contro l'Iran
ciò non è così sentito, anche se dovrebbe essere così.”
“In molti Paesi della regione c'è un sentimento antisciita
mai riscontrato prima.”
“Il pericolo iraniano è molto sentito da noi, anche grazie
alla propaganda americana; ormai senza lo spauracchio iraniano noi non potremmo
concepire le questioni regionali.” (1)
Queste sono alcune questioni analizzate recentemente in un
meeting che riuniva alcuni intellettuali occidentali e arabi. L’analisi
complessiva dell’evento è stata fatta dal centro di ricerca americano “Brookings”,
e vuole essere una sorta di studio dei rapporti tra UE e mondo arabo,
principalmente i Paesi del Golfo Persico. Emerge una grande inquietudine dietro
alle frasi degli intellettuali e degli analisti che hanno partecipato all’evento.
Un’ansia e un’ossessione: l’Iran.
In tutto questi due anni, i Paesi arabi, principalmente Qatar
e Arabia Saudita, hanno messo in piedi, grazie alle loro risorse economiche,
una guerra mediatica e sul terreno contro la Siria, per eliminare il principale
alleato regionale dell’Iran, e indebolire l’asse della resistenza. L’obiettivo
finale di questo progetto sarebbe la guerra contro l’Iran, con il sostegno
evidentemente di Israele e dei Paesi NATO (quanto meno alcuni di essi).
Il problema però è che fino quando la Siria resiste,
qualsiasi progetto di questo tipo è destinato a fallire. Innanzi tutto il
tessuto sociale siriano, multiconfessionale, ha retto bene dinnanzi alla
propaganda settaria. Il popolo non si è ribellato al governo, e gli apparati di
sicurezza comunque hanno garantito la permanenza dello status quo. Inoltre,
cosa da non sottovalutare, da diverso tempo il popolo siriano ha deciso di
impugnare le armi e organizzarsi in comitati popolari, per difendere il proprio
territorio dagli attacchi terroristici dei miliziani provenienti da diversi
Paesi arabi, che hanno l’intento di sconfiggere il governo e far cadere Assad,
alleato dell’Iran. Dalla Siria dipendono i rifornimenti verso Hezbollah; senza
la Siria l’asse della resistenza sarebbe sconfitto. Questo a Riadh, a Tel Aviv
e in altre capitali lo sanno bene. Per questo il conflitto andrà avanti,
purtroppo; la posta in gioco è troppo alta. Se i Paesi arabi del Golfo Persico
non sconfiggeranno l’asse della resistenza, in Bahrain la situazione potrebbe
progressivamente degenerare, e non è detto che gli Al Saud possano sentirsi
così sicuri. Per questi Paesi fare fuori Assad vuol dire anche garantirsi il
futuro. O loro sconfiggono oggi la Siria, perché non è detto che un domani ci
possa ancora essere la possibilità, o la situazione sociale in quei Paesi, dove
vi sono sacche di povertà, miseria e discriminazione inverosimili degenererà. E’
anche per questo che all’istituto “Brookings” c’è tutta questa ansia.
(1) Vedi al riguardo “TOWARD A STRATEGIC PARTNERSHIP? THE
EU AND THE GCC IN A REVOLUTIONARY MIDDLE EAST”
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