Sionismo, ideologia razzista, pulizia etnica e apartheid


(Questo articolo non è necessariamente in linea con la politica editoriale di "iran mondo", ma è solo uno spunto per la riflessione)

http://www.radioislam.org/islam/italiano/sionismo/natura.htm

Sionismo, ideologia razzista, pulizia etnica e apartheid.


 di M. Manno
Si dice che il sionismo non sia altro che la forma di nazionalismo adottata dal popolo ebraico. In realtà, non tutti gli ebrei sono sionisti e molti non sono nemmeno nazionalisti. Vi sono ancora ebrei internazionalisti o marxisti come Bertell Ollman i quali rifiutano ogni forma di nazionalismo in quanto ideologia borghese e reazionaria. Molti di più erano gli ebrei comunisti e internazionalisti nel passato, al punto da far dire ai nazisti che il comunismo era un complotto ebraico. I nazisti preferivano gli ebrei sionisti e li aiutarono a colonizzare la Palestina. Non riuscivano invece ad accettare gli ebrei comunisti o internazionalisti. Ma non solo quelli. Dopo i comunisti, i nazisti perseguitavano gli ebrei assimilazionisti, cioè quelli ebrei che avevano famiglie miste e si consideravano tedeschi, polacchi, italiani ecc., a secondo dei paesi dove vivevano. I sionisti, invece, erano accettati ed è chiaro perché: nazisti e sionisti si trovavano d’accordo su una cosa: la concezione del nazionalismo. Secondo i sionisti, la Germania apparteneva ai tedeschi, alla razza ariana e gli ebrei avevano bisogno di separarsi da loro, fondare uno stato popolato esclusivamente da ebrei, uno stato che non esisteva e che andava fondato in Palestina. Questo avveniva primadell’Olocausto quando i sionisti collaborarono con tutti i dittatori allora esistenti, non solo i nazisti, ma anche i fascisti, gli ultranazionalisti antisemiti polacchi e perfino con l’impero del Sol Levante. Tutto questo è confermato da due libri di un internazionalista ebreo che vive in America, Lenni Brenner, il quale ha raccolto i documenti storici che gli hanno permesso di ricostruire questa pagina vergognosa del sionismo. La ricerca storica minuziosa è contenuta nei due libri “Zionism in the Age of the Dictators” (1982) e “51 documents of the Collaboration of Zionism with Nazism” (2004). Questi libri fondamentali non sono stati tradotti in italiano ma almeno uno dei due, il primo, si può trovare in inglese sul web. I sionisti odiavano gli ebrei internazionalisti perché essi non volevano « una patria ebraica » e perché, per esempio, erano pronti a dare la loro vita per la libertà della Spagna durante la guerra civile spagnola invece di sacrificarsi per costruire lo stato sionista. I sionisti consideravano gli internazionalisti dei pazzi  idealisti che  lottavano  per  tutta l’umanità e in quanto pazzi idealisti erano irrecuperabili. Ma i sionisti odiavano più di ogni altra cosa quegli ebrei che non volevano emigrare in Palestina ma desideravano integrarsi nel paese in cui erano nati, magari sposare una donna o un uomo non di razza ebraica e vivere come un qualunque cittadino di quel paese. Erano gli assimilazionisti, i quali quando erano nazionalisti lo erano nel senso che sostenevano la nazione del paese in cui vivevano. Molti furono gli ebrei che partirono volontari nella prima guerra mondiale e si sacrificarono per unire all’Italia le terre irredente. Vi furono addirittura ebrei fascisti che sostenevano l’espansione coloniale italiana in Africa e sostenevano il nazionalismo revanchista di Mussolini. Uno di questi era, per esempio, il rabbino di Padova Felice Ravenna  che si incontrò a Tripoli con il governatore Balbo. Alla fine dell’incontro fu emesso il seguente comunicato:

S.E. il Governatore della Libia ha ricevuto in lungo e cordiale colloquio l’avvocato Felice Ravenna, Presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, ed ha esaminato con lui le condizioni degli ebrei della Libia. Il governatore ha espresso all’avvocato Ravenna viva simpatia per la laboriosa, disciplinata e morale popolazione ebraica, che partecipa attivamente alla vita della nuova Italia mussoliniana d’Oltremare. (Citato in Renzo De Felice, Storia degli ebrei Italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1993, p. 203)

Ancora più decisa era la posizione del generale Liuzzi che nel 1936 in un opuscolo intitolato ‘Per il compimento del dovere ebraico nell’Italia Fascista’ attaccava i suoi correligionari con queste parole:

E’ indispensabile e urgente che le nostre Comunità abbiano nell’Unione una superiore autorità responsabile del loro risanamento e che pertanto alla loro testa vengano messi uomini nuovi che posseggano le capacità di sapere e di voler fare, che dispongano cioè di un’anima ebraica non soltanto italiana del passato, ma profondamente e sicuramente fascista dell’avvenire. Equivoci e malintesi, vecchie radici massoniche e vincoli internazionali devono essere sicuramente banditi da tutti noi quali errori e tradimenti superati o trapassati. Anche qui si tratta di lottare e vincere nell’interesse della Patria [italiana] oltrechè nostro. (Ibidem, p. 225)

Dire che sionisti e nazisti avessero concezione del nazionalismo assai simili è un’accusa grave. Non la lanciamo con leggerezza o per puro intento  di  propaganda.  Approfondiamo l’argomento.  Nel periodo  in  cui nacque il sionismo, alla fine del XIX secolo, in Europa vi erano due concezioni contrapposte dell’idea di nazione e di nazionalismo. Da una parte vi era la concezione democratica nata durante la rivoluzione francese e figlia in via diretta dell’illuminismo. Secondo questa concezione, era compito di tutti i cittadini costruire nella propria nazione un ordine sociale che garantisse i principi di libertà, fratellanza e uguaglianza. Questi erano i principi democratici condivisi della nazione e su questi principi ogni cittadino doveva concorrere a costruire un ordine sociale razionale e giusto, indipendentemente da sesso, razza, lingua, religione, provenienza, ecc. Lo stato-nazione, non più proprietà del re per grazia divina, veniva quindi edificato su un accordo consensuale di tutti i cittadini, i quali erano considerati, sulla base egualitaria, i suoi elementi fondanti. L’uguaglianza veniva intesa esclusivamente in termini di diritti civili e politici e non economici e quindi era foriera di disuguaglianze sostanziali dovute alla ricchezza e all’influenza che la ricchezza porta con sé. La teoria marxista affronterà questo punto e cercherà di porvi rimedio sostenendo che l’uguaglianza politica debba essere fondata sull’uguaglianza economica e che questa è realizzata con l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione. Ma essendo il capitalismo un fenomeno internazionale, i proletari di tutti i paesi si devono unire e giungere all’abolizione dei mezzi di produzione in tutti i paesi capitalisti, da qui la parola d’ordine ‘proletari di tutti i paesi unitevi!’ Così la nazione stessa perde significato e viene sostituita dal concetto di internazionalismo proletario. Comunque, la teoria dello stato-nazione nata dalla rivoluzione francese costituiva pur sempre un enorme passo avanti nella storia dell’umanità e ci si sarebbe aspettato che diventasse presto patrimonio comune dell’Europa intera. Gli ideali della rivoluzione francese furono sparsi su tutto il continente dalle armate napoleoniche e produssero una serie di rivoluzioni nazionali nel corso del secolo. Ma verso la fine del secolo, come reazione all’illuminismo e al razionalismo, si andò lentamente affermando in Germania e nell’est europeo un’altra concezione di nazione, non democratica e non egualitaria ma romantica, secondo la quale non tutti gli individui nascono uguali ed essi sono uniti tra loro da legami più profondi, più naturali, rispetto all’accordo consensuale della concezione democratico-rivoluzionaria francese. Secondo la concezione romantica, l’individuo è parte di una comunità organica, unita da una storia, una lingua, una religione, un folklore,  una  origine,  un  sangue comuni.  Ogni  comunità  o  nazione  di questo tipo deve essere riunita sotto uno stato comune che esclude altre comunità o individui non corrispondenti alle caratteristiche dominanti. Vi sono ragioni storiche di questa diversa evoluzione ad ovest e ad est del fiume Reno.

Nell’Europa occidentale, – scrive lo storico Zeev Sternhell –  il nazionalismo è comparso subito nella sua forma politica e giuridica. La nazionalità si è affermata con il lungo processo di unificazione dei regni. I popoli ai quali questi regni davano un potere centrale e una stessa capitale, erano di fatto composti da popolazioni così differenti quanto potevano esserlo dei vicini di religioni, culture, lingue ed etnie diverse. Anche le frontiere erano funzione della potenza. E se i relativi tracciati, nel caso di trattati – di pace o d’altro, - finivano con il separare popolazioni di una stessa lingua, di una stessa cultura, questo destino era accettato. La Francia, la Gran Bretagna e la Spagna costituiscono gli esempi più rappresentativi di una tale situazione. A est del Reno invece, i criteri di appartenenza nazionale non erano politici ma culturali, linguistici, etnici e religiosi. Le identità polacca, rumena, slovacca, serba o ucraina non si sono determinate come espressione di una fedeltà ad un’autorità centrale ma hanno preso forma intorno alla religione, alla lingua e al folklore sentiti come altrettante manifestazioni delle caratteristiche biologiche o razziali specifiche. A differenza di paesi come la Francia, la Gran Bretagna o la Spagna, qui la nazione ha preceduto lo stato.  In questi paesi si capiva il pensiero di Herder, non quello di Locke, Kant, Tocqueville, John Stuart Mill o Marx. (Z. Sternhell,Sionismo e Nazionalismo, in Giancarlo Paciello, La conquista della Palestina, C.R.T., Roma, 2004, p. 136-7).

Questa concezione era gravida di conseguenze nefaste. Si può rintracciare in essa l’origine del pangermanesimo e, aggiungendovi, anzi semplicemente accentuando, il concetto di razza, vi si può scoprire l’origine del nazismo (un popolo, una nazione, una lotta). Il sionismo nascente aderì a questa concezione. Secondo Theodor Hertzl, il fondatore del sionismo, gli ebrei, ovunque essi si trovassero, non appartenevano alle nazioni in cui vivevano e non dovevano aderire al patto democratico dei cittadini della loro nazione, ma dovevano far valere la loro origine, la loro storia, il loro sangue e prestare fedeltà solo alla nazione ebraica, indipendentemente dalla lingua che parlassero e dalla cultura a cui appartenessero. La nazione ebraica doveva quindi separarsi dalle altre e fondare un proprio stato. Questo stato si  pensò di fondarlo in Argentina, in  Africa, poi, infine, si decise per la Palestina. Il sionismo non era in origine un movimento religioso ma tuttavia scelse la Palestina proprio per il richiamo religioso che la « Terra di Israele » esercitava sugli ebrei di fede giudaica. Lo studioso sionista tedesco Hans Kohn riconosce apertamente la derivazione del sionismo dalla concezione di nazione di origine germanico-romantica. Egli afferma che il pensiero di Hertzl derivava proprio dalle « fonti germaniche » che egli così sintetizza:

Secondo la teoria tedesca, la gente di origine comune (…) dovrebbe formare uno stato comune. Il Pan-Germanesimo si fondava sull’idea che tutte le persone di razza, sangue e origine germanici, ovunque vivessero e a qualunque stato appartenessero, dovevano la loro fedeltà principalmente alla Germania e dovrebbero diventare cittadini dello stato tedesco, la loro vera patria. Essi, e addirittura i loro padri e antenati, potevano essere vissuti sotto cieli ‘stranieri’ o in ambienti ‘diversi’, ma la loro ‘realtà’ interiore profonda rimaneva tedesca. (Hans Kohn, citato in Norman Finkelstein, Op. Cit., p.8).

Si provi ad immaginare per un attimo a cosa sarebbe successo se tutti i popoli avessero adottato questa concezione. Non sono bastate le innumerevoli guerre etniche fratricide che hanno avuto luogo nei Balcani da oltre un secolo? L’esempio della Jugoslavia tra il 1990 e il 2000 è ancora vicino a noi e ci permette di comprendere l’assurdità di questa concezione. Non per niente la comunità internazionale si è mobilitata per ripristinare (assai ipocritamente in verità) il rispetto delle minoranze, l’inammissibilità delle pulizie etniche e il principio degli stati multi-etnici. Si pensi al Ruanda e al genocidio dei tutsi da parte degli hutu. Si pensi allo sterminio degli armeni da parte dei turchi. Cosa succederebbe oggi se il principio degli stati etnici fosse seguito in Cina, in India e nella stessa Europa? Il sionismo ha seguito questo principio. La storia successiva della pulizia etnica dei palestinesi era già inscritta in questo tipo di nazionalismo  dall’inizio.

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