Emanciparsi dal colonialismo nel XXI secolo


Emanciparsi dal colonialismo nel XXI secolo


Il colonialismo, prima di essere un fenomeno tangibile, materiale, economico, militare ecc., è un morbo che si insinua nelle nostre menti, e ci costringe a pensare che non vi sia alcuna via d’uscita rispetto ad un certo modello egemonico. Il colonialismo ci vuole costringere a negare il nostro “modus vivendi”, e ha considerare l’emancipazione un qualcosa di utopico ed irrealizzabile.
Oggi, un mio caro amico mi ha mandato un messaggio sul telefonino; in questo SMS c’era scritto: “Frase presidente Ecuador: una volta in America Latina si parlava in spagnolo, ma si pensava in inglese. Ora siamo patrioti!” A quel punto, leggendo questo messaggio e questa meravigliosa frase del presidente ecuadoregno Correa, rieletto alla carica presidenziale del suo Paese di recente, mi è venuta in mente una frase dell’imam Khomeini, presente nel suo testamento politico-spirituale: “La mia ultima parola è una esortazione a procedere verso una maggiore autocoscienza e l’indipendenza nei propositi.” Un popolo, a prescindere dalla sua cultura, dalla sua lingua, dalla sua etnia o dalla religione che professa, fino a quando non metterà in pratica, o quantomeno non tenterà di mettere in pratica questo principio, non potrà mai emanciparsi completamente.
Le nazioni oggi si sono destate, dopo secoli di torpore e assoggettamento, e questo vento di indipendenza e dignità, che soffia dall’America Latina all’Asia, passando per le altre zone del mondo, sta mettendo a dura prova il colonialismo egemone della nostra epoca, quello nordamericano e occidentale. Un popolo prima di emanciparsi politicamente, economicamente o militarmente, deve emanciparsi culturalmente e spiritualmente, altrimenti ogni progetto di rinascita è destinato a fallire miseramente. I colonialisti della nostra epoca lo sanno bene, ed è per questo che cercano di umiliare i popoli del mondo, ledendo la loro dignità e la loro sovranità culturale, ancor prima che politica ed economica.
Per colonizzare un popolo bisogna umiliarlo, ledere la sua autostima, i suoi propositi di sovranità ed indipendenza. Fino a quando un popolo avrà una buona impressione della propria identità, difficilmente potrà esserci il dominio coloniale. Ma l’emancipazione dal giogo deve essere principalmente un qualcosa che riguarda le nostre menti. Indubbiamente il domino egemonico imperialista lede la capacità di creare qualcosa in modo autonomo, l’imperialismo vuole sempre dare l’impressione al popolo assoggettato che senza di lui non vi è prospettiva, non vi è futuro, non vi è alternativa. Ma come può nascere l’autostima, dopo che è stata distrutta?
Rispondere a questa domanda è fondamentale, in quanto non c’è alcuna speranza di riscatto per chi voglia rimanere ingabbiato nel modo di pensare del colonialismo; nessun popolo si è emancipato o sta provando a emanciparsi usando gli slogan del colonialismo, basati principalmente su una triade: democrazia, libertà, diritti umani. Non a caso, i pochi Paesi indipendenti oggi esistenti sulla faccia del globo, sono, chi più chi meno, accusati di ledere questi principi. Da Cuba, alla Cina, passando dall’Iran, il tormentone è lo stesso: questi Paesi non rispettano i principi democratici, i diritti dell’uomo (addirittura recentemente un leader politico della sinistra italiana ha criticato pesantemente Cuba per la questione dei diritti umani) e la libertà. Se un popolo quindi vuole emanciparsi, non può usare questi slogan, in quanto, questo è il motto del colonialismo. Poi evidentemente questi sono solo principi che i divoratori del mondo, ogni qual volta vogliono massacrare mediaticamente una nazione (ma non solo, come le esperienze delle guerre umanitarie insegnano), usano per i loro interessi. Ciò è indiscutibile e se volessimo basarci sulle problematiche dirittumaniste, potremmo dire molte cose su quello che avviene a Guantanamo o quello che fanno i soldati americani in giro per il mondo, dai soprusi alle violenze sessuali, o altri abusi del genere. Per non dire poi delle bombe atomiche di evidente matrice dirittumanista che sono piombate sugli inermi abitanti del Giappone nel 1945, o altri crimini, per i quali non esiste alcuna giornata della memoria.
Il colonialismo vuole solo umiliare, come ha umiliato i popoli dell’America Latina, che progressivamente, grazie in primo luogo ad una ritrovata autostima, si stanno muovendo verso quello che l’imam Khomeini chiamava appunto “autocoscienza” o “autosufficienza e indipendenza nei propositi”. E’ bene che ogni nazione che si voglia emancipare dal giogo coloniale, riesca a creare una condizione spirituale ancor prima che sociale, per emergere e distruggere le catene dell’ignoranza e dell’umiliazione. Come diceva un saggio, la peggior condizione per un essere umano, è quella di trovarsi schiavo e pensarsi libero.
Nel momento in cui un essere umano comprende il proprio stato di schiavitù, allora vi è una speranza per l’emancipazione, a patto di non cadere nell’errore madornale di alcuni popoli del passato, di voler emanciparsi scimmiottando le idee del colonialismo, in quanto, facendo ciò, in poco tempo si tornerebbe al punto di partenza. Un popolo non può emanciparsi se non ha prima trovato una sua via allo sviluppo, una sua logica all’indipendenza, a prescindere da modi di pensare che a loro volta sono stati creati dai colonialisti per soggiogare nuovamente i popoli. Un grande limite che noi oggi vediamo in certi contesti, è proprio l’incapacità di elaborare una scuola di pensiero che sia autonoma rispetto agli standard del colonialismo. C’è sempre l’ossessione, tipicamente terzomondista, di voler trovare una soluzione ai propri mali, attingendo da logiche create dallo stesso colonialismo.
Quando un “rivoluzionario” si rivolge al suo ex padrone e gli dice: “non ti preoccupare, io voglio emanciparmi, ma seguendo una via ideologica che tu stesso hai creato”, questo di certo non può preoccupare l’ex padrone, in quanto esso è perfettamente conscio del fatto che presto tornerà a essere il “dominus”. Ora, è evidente che le culture del mondo non sono uguali; proporre una lotta di liberazione, può avere dei punti in comune in tutto il mondo, e ciò emerge chiaramente dalle parole dell’imam Khomeini che ho citato nelle righe precedenti, che sono applicabili in ogni contesto ed in ogni tempo. Ma nel momento in cui bisogna istaurare un governo e delle istituzioni autenticamente rivoluzionarie ed indipendenti ciò non basta: a questo punto ogni popolo, in base alla propria cultura, può trovare la propria via all’emancipazione dal colonialismo.
In America Latina il processo di emancipazione dal giogo nordamericano ha avuto dei momenti importanti, come la Rivoluzione castrista e soprattutto, la Rivoluzione bolivariana di Hugo Chavez, che rappresenta indubbiamente un modello per la regione. Ma la scuola di pensiero di Chavez, che ha influenzato direttamente contesti come la Bolivia e l’Ecuador, e indirettamente Paesi come il Brasile, si basa appunto su una scuola di pensiero socialista, patriottica, indipendentista, nazionale, progressista e rivoluzionaria proiettata nel XXI secolo, in un contesto tipicamente latinoamericano. L’esperienza bolivariana, è applicabile in quel contesto, quella islamico-rivoluzionaria è peculiare dell’Iran e di Hezbollah, quella nazionale e socialista, con un’influenza islamico-resistente, è tipica del contesto siriano ecc. In questa situazione, cosa può fare l’Europa o l’Italia e il suo popolo per liberarsi dal colonialismo nordamericano?
Elaborare una strategia di liberazione nazionale, che prima di tutto deve essere culturale e spirituale. Un problema oggettivo, che mi pare di vedere con chiarezza anche in questa campagna elettorale, è la difficoltà oggettiva della gente, influenzata da settant’anni di propaganda, di riconoscere le radici della crisi in cui viviamo oggi in questa parte del mondo. Per usare sempre un gergo tipico dell’imam Khomeini, bisogna riuscire a identificare “la madre della corruzione”, la radice del problema. Fino a quando il “Problema” verrà identificato in una delle forme secondarie di corruzione, e non nella sua origine fondamentale, qualsivoglia processo di emancipazione rischia di fallire.
Il nemico non può essere identificato semplicisticamente in un altro Paese europeo (il nome più gettonato che ho sentito ultimamente è la Germania), e nemmeno astratte realtà finanziarie di cui non si capisce bene l’entità, per non dire poi della ultra insultata Unione Europea. La “madre della corruzione” non è nessuno di questi, ma quell’entità geopolitica ed istituzionale che chiamiamo Stati Uniti d’America; questo governo, e non di certo il popolo, anch’esso soggiogato, col suo apparato militare, con la sua propaganda mediatica, con il suo evidente imperialismo economico, e anche con i suoi capitalisti, ha reso il continente europeo, una colonia di lusso, la vetrina del capitalismo, e non il retrobottega, come lo era una volta l’America Latina.  

http://www.statopotenza.eu/5986/emanciparsi-dal-colonialismo-nel-xxi-secolo

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