I “saraceni di Zio Sam”
La primavera araba sembrerebbe incarnare la politica di
regime change voluta dagli americani qualche anno fa, soprattutto al tempo del
governo di G. W. Bush. Al contempo è cresciuta nella regione l'influenza dei
gruppi salafiti, grazie ai soldi, alla propaganda mediatica, e ai "preti
cortigiani" per usare un gergo caro all'imam Khomeini, ovvero quei
sapienti religiosi legati ad un islam reazionario, da collocare come alleati,
consapevoli o no, dell'imperialismo americano.
Dalla Tunisia all'Egitto, passando alla Libia, i gruppi
radicali salafiti si sono moltiplicati negli ultimi anni. Obama aveva parlato
di "sconfitta" per il radicalismo dopo la morte di Bin Laden, ma da
allora i gruppi islamisti salafiti, invece di dissolversi, sembrano aver preso
nuova linfa e si sono diffusi in molti contesti, anche quelli dove storicamente
avevano fatto meno presa, come Libano, Siria e Palestina.
L'unica differenza col passato recente sembra essere il fatto
che i gruppi radicali e salafiti si sono rinvigoriti, ed è entrata in azione
una nuova generazione di miliziani e militanti vicini al qaidismo. I soldi per
questi gruppi arrivano dallo stesso luogo di trent'anni fa, ovvero dalla
penisola araba; la manodopera è la stessa, geograficamente parlando, di quella
di trent'anni fa, ovvero proveniente da uno spazio che va dal Maghreb al
Pakistan. I progettisti sembrano gli stessi, ovvero i servizi occidentali. Il
nuovo attore, è la Turchia, che sostituisce il Pakistan nel ruolo di protettore
e addestratore materiale. Il "nuovo" Afghanistan sembra essere la
Siria, ovvero il luogo dove i salafiti, per conto dei governi arabi e degli
occidentali, combattono un governo filorusso. Vi è anche qui però un nuovo
attore: l'Iran, contro il quale si è mobilitato un asse arabo-occidentale, da
Riadh a Washington.
Come aveva detto un mio amico qualche tempo fa, i “saraceni
di Zio Sam” sono tornati in azione.
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