La rivoluzione islamica dell’Iran




Ali Reza Jalali

In questi giorni ricorre l’anniversario della Rivoluzione islamica dell’Iran, che nel 1979 portò lo Stato iraniano ad una grande trasformazione, sia a livello istituzionale, che come società. Alla fine degli anni settanta la società iraniana era attraversata da forti tensioni sociali determinate dagli squilibri introdotti dal processo di “occidentalizzazione” forzata.
Ciò aveva arricchito solo ristretti circoli di imprenditori e affaristi legati alla corte, mentre milioni di contadini sradicati dalle campagne per effetto delle riforme volute dallo scià affollavano le periferie urbane. Diversamente da quanto prevedevano i consiglieri statunitensi e israeliani dello scià, tuttavia, la scintilla rivoluzionaria scoppiò non per cause materiali e non negli ambienti più politicizzati che, in quanto tali, erano stati oggetto della più oculata vigilata.
Le radici della Rivoluzione vanno ricercate in primo luogo nelle credenze religiose del popolo iraniano, che grazie alle illuminanti indicazioni dell’imam Khomeini, riuscì a comprendere meglio il messaggio liberatore e progressivo dell’islam. Ormai il compromesso era diventato impossibile, e anche se alcuni personaggi vicini all’imam tentarono delle mediazioni tra la monarchia e il fronte rivoluzionario, alla fine il re Mohammad Reza Pahlavi dovette abbandonare l’Iran. Da allora sino ad oggi la Repubblica islamica dell’Iran ha vissuto momenti diversi, sia di grande gioia e splendore, sia di guerra e di terrorismo.
Gli anni ’80 in generale possono essere considerati quelli più problematici, viste le difficoltà derivanti sia dalla guerra con l’Iraq, che aveva invaso l’Iran nel settembre del 1980, sia per le attività dei gruppi controrivoluzionari in varie zone del Paese. Dopo la fine della guerra e la dipartita dell’imam Khomeini, gli anni ’90 si sono caratterizzati per un periodo di forte allentamento della carica rivoluzionaria, dovuto a diversi fattori: la guerra sembrava aver logorato il Paese, e i governi post-bellici (Rafsanjani-Khatami) cercarono di imborghesire le istituzioni per “normalizzare” il processo rivoluzionario.
Non a caso gli analisti sia in Iran, che all’estero, chiamarono il presidente riformatore Khatami, il “Gorbaciov” dell’Iran. Il punto principale è che in Iran, al contrario di quello che avvenne nell’ex URSS, dopo Gorbaciov non arrivo lo Eltsin della situazione, per dare il colpo di grazia allo Stato. In Iran anzi, dopo il periodo riformatore, si è arrivati all’elezione del presidente Ahmadinejad; la stessa guida della Rivoluzione, l’ayatollah Khamenei, al riguardo di quella svolta rivoluzionaria senza precedenti, disse apertamente: “il 2005 (anno dell’elezione di Ahmadinejad) rappresenta la rinascita del pensiero dell’imam Khomeini”.
Quindi, al contrario di quello che è accaduto in altre rivoluzioni, in Iran non abbiamo avuto la classica involuzione di altri processi storici, e al momento riformatore non è succeduto il crollo dello Stato, ma anzi, la carica rivoluzionaria è rinata con più forza e veemenza. Detto ciò bisogna anche ricordare che alcuni intellettuali occidentali ebbero inizialmente delle istanze di simpatia nei confronti della Rivoluzione in Iran nel 1979. Essi però, dopo non molto tempo, cambiarono idea, e divennero acerrimi nemici del nuovo Stato iraniano postrivoluzionario. Uno di questi famosi personaggi è indubbiamente il giurista americano Richard Falk. Egli promosse verso la fine degli anni ’70 delle campagne politiche negli USA, contro lo scià e a favore del movimento di opposizione guidato dall’imam Khomeini.
Questa simpatia di Falk si fece ancora più forte quando, per sua stessa ammissione, egli visitò l’imam Khomeini e i suoi collaboratori in Franca, poco prima della caduta della monarchia Pahlavi. L’imam si era stabilito vicino a Parigi, in un piccolo paesino, dopo essere stato espulso da alcuni Paesi musulmani. La sua permanenza in Francia fu abbastanza breve e nel febbraio del 1979, la guida della Rivoluzione tornò in patria, dopo molti anni di esilio. Falk, riguardo al movimento rivoluzionario in Iran disse: “la squadra di collaboratori [dell’imam Khomeini] è composta all’unanimità da persone moderate e progressiste”. Dopo l’istaurazione della Repubblica islamica e dopo alcuni anni, Falk, cambiando opinione disse: “Questo [Stato] è il più terroristico sistema dai tempi di Hitler.” Le questioni quindi possono essere le seguenti: A) La Rivoluzione aveva tradito gli ideali iniziali. B) Falk non aveva compreso la Rivoluzione. Per capire se la prima opzione sia valida oppure no, dobbiamo capire gli ideali della Rivoluzione, e comprendere se a distanza di oltre un trentennio dalla sua vittoria, la Repubblica islamica dell’Iran abbia o meno tradito i suoi ideali. Tutti concordano sul fatto che il leader indiscusso del movimento fu l’imam Khomeini; non che non ci fossero altre persone nel movimento, ma il capo e la guida, a detta di tutti, amici e nemici, era l’imam. Tutte le rivoluzioni hanno un leader, se non c’è un leader non possiamo nemmeno parlare di rivoluzione, ma al massimo di rivolta. Se una persona volesse capire la Rivoluzione russa, dovrebbe studiare le idee di Lenin, e lo stesso dicasi per quella cinese (Mao) e per le altre.
Per capire gli ideali della Rivoluzione islamica dell’Iran bisogna capire gli ideali dell’imam Khomeini. L’imam voleva l’istaurazione di una Repubblica islamica, sul modello della teoria del governo del giurisperito islamico, un sistema che prevedeva uno Stato basato su elezioni, ma con una legittimazione divina. In politica estera l’imam aveva sempre avuto istanze terzaforziste, e soprattutto antimperialiste e antisioniste. Non a caso, una volta che il movimento ebbe la meglio sullo scià, uno dei primi gesti, fu la chiusura dell’ambasciata di Tel Aviv a Tehran.
Successivamente venne chiusa anche l’ambasciata americana. L’Iran è ancora oggi un paese governato sul principio del governo del giurisperito islamico, come aveva indicato già negli anni ’60 l’imam Khomeini. Un paese in cui vi sono state circa una trentina di tornate elettorali, dove la partecipazione ha raggiunto anche l’85 % degli aventi diritto. Ancora oggi l’Iran è l’avanguardia dell’antimperialismo nel mondo islamico, insieme alla Siria, per non dire poi della sua indole antisionista. La dirigenza di Tel Aviv un giorno sì e l’altro pure, minaccia l’Iran di un conflitto. L’imam nei suoi discorsi, anche prima della Rivoluzione, si scagliava veementemente contro gli USA e Tel Aviv. Questo ruolo di antagonismo antimperialista gli è ancora riconosciuto da tutti, amici e nemici. Per cui, gli ideali della Rivoluzione sono ancora vivi, e aderenti col pensiero del fondatore e della guida di questa Rivoluzione. Sembra quindi evidente il fatto che Falk e gli altri intellettuali occidentali che inizialmente simpatizzarono per la causa rivoluzionaria, non avessero compreso bene la carica ideologica della Rivoluzione stessa.
Essi scambiarono la Rivoluzione iraniana per un processo liberaldemocratico borghese o qualcosa del genere, ignorando completamente la mentalità tradizionale e religiosa del popolo iraniano. Ma il fatto che Falk e gli altri, abbiano cambiato opinione, non vuol dire che la Rivoluzione ha tradito, ma solo che essi non avevano compreso la Rivoluzione, così come impostata dalla sua guida indiscussa, l’imam Khomeini. Nell’immaginario comune poi, un sistema dittatoriale, si caratterizza per una gestione autocratica del potere da parte della classe dirigente; in un sistema del genere, il popolo non ha voce in capitolo. Nelle democrazie invece il popolo è chiamato alle urne per eleggere i propri governanti. Il sistema iraniano si caratterizza per un modello unico al mondo, ovvero uno Stato religioso, nel quale vi sono libere elezioni concorrenziali, che vedono anche un ottima partecipazione popolare al voto. E’ un caso unico dicevamo: infatti i sistemi che normalmente prevedono la partecipazione popolare alle elezioni, non sono Stati in cui le istituzioni hanno una legittimazione divina.
D’altronde, i sistemi teocratici classici ancora esistenti, ad esempio l’Arabia Saudita, non prevedono le elezioni, o comunque non in una misura importante. Le uniche elezioni organizzate in quel Paese, l’Arabia, sono quelle per i consigli locali, alle quali tra l’altro sino ad oggi non hanno potuto partecipare le donne. In Iran invece, lo Stato, pur essendo a legittimazione divina, è organizzato in base a elezioni a suffragio universale, da alcuni decenni. Elezioni nelle quali diversi schieramenti si affrontano; interessante notare che secondo alcune statistiche, in Iran sono attivi circa duecento partiti politici. Detto ciò, essendo il 2013 l’anno delle elezioni presidenziali, è bene sottolineare le statistiche in nostro possesso sulla partecipazione al voto degli iraniani, dalle presidenziali del 1980 ad oggi. I numeri parlano chiaro: 1980- 68% (presidente eletto Bani Sadr); 1981- 65% (presidente eletto Rajai; elezioni anticipate per via della destituzione di Bani Sadr); 1981- 75% (presidente eletto Ayatollah Khamenei; elezioni anticipate per via dell’assassinio di Rajai); 1985- 56% (idem); 1989- 55% (presidente eletto Rafsanjani); 1993- 51% (idem); 1997- 80% (presidente eletto Khatami); 2001- 67% (idem); 2005- 63% (presidente eletto Ahmadinejad); 2009- 85% (idem).
Da questo elenco capiamo che nelle elezioni presidenziali iraniane, le più importanti in base alla forma di governo pseudo-presidenziale della Repubblica islamica dell’Iran, non è mai successo che la maggioranza assoluta degli elettori non si recasse alle urne. Ciò dimostra la credibilità del sistema. La media è di una partecipazione intorno al 67% degli aventi diritto. Nel Paese guida dell’Occidente democratico, gli USA, una media del genere non è concepibile. Negli Stati Uniti quando vota il 60% della gente, ciò è considerato un record assoluto. Spesso in America non vota nemmeno la metà degli aventi diritto. Per non parlare poi delle conquiste sociali in Iran, visto che in questo Paese, si è passati da un numero di circa 15 mila iscrizioni all’università negli anni ’70, agli attuali 1 milione e 200 mila. Per non dire del fatto che l’Iran è il primo Paese al mondo per numero di studentesse universitarie rispetto agli studenti maschi. Inoltre l’Iran, nell’ultimo decennio, è stato il Paese con la più alta crescita scientifica nel mondo. L’elenco dei successi della Rivoluzione sarebbe molto lungo, ma questi sono solo alcuni esempi che fanno capire come la propaganda massiccia dei media occidentali, voglia solo screditare una nazione in costante crescita, che tra molti problemi, riesce comunque non solo a sopravvivere, ma a rendersi sempre più forte ogni giorno che passa.


tratto da Rinascita e Italia Sociale

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