A caccia in paradiso. Arte di corte nella Persia del cinquecento


Un prezioso tappeto persiano del XVI secolo ed una dinastia di sovrani illuminati, che protessero le arti e animarono una corte raffinata e colta. Sono questi gli ingredienti della mostra che si tiene in contemporanea a Palazzo Reale e al museo Poldi Pezzoli. La corte è quella persiana dei safavidi e tra questi di Shah Thamasp, il cui lungo regno (1524-1576) fu caratterizzato da un grande sviluppo delle arti. Il Tappeto di caccia del Poldi Pezzoli è uno dei preziosi oggetti frutto di questa complessa cultura.
Ritrovato a Roma nel 1870, tagliato in sette pezzi e non completo, fu ricomposto e restaurato. Fu donato dalla Pinacoteca di Brera (nelle cui collezioni era affluito) al Poldi Pezzoli in cambio di una parte di un polittico. Rappresenta una battuta di caccia reale con figure e animali che fluttuano in uno sfondo blu profondo decorato da fiori e arabeschi. E' un oggetto raro, uno dei pochi tappeti antichi che rechi la firma dell'autore e la data di realizzazione (il 1542-43 dell'era cristiana). E' il centro ideale dell'esposizione che intende ricostruire l'ambiente sfarzoso della corte safavide mostrando manoscritti, armi, fogli di calligrafia, porcellane, oggetti in metallo cesellati. 
Al Poldi Pezzoli è presentato un piccolo, ma raffinato gruppo di oggetti con tema 'la caccia'; lotta tra animali e cavalieri, la caccia evoca lo scontro di forze cosmiche, la vittoria del bene sugli spiriti del male. Tutte le manifestazioni artistiche del periodo safavide hanno complessi significati simbolici e sono pervase da un sincero sentimento religioso. Il tappeto stesso è visto come spazio magico che rappresenta il paradiso terrestre sulla terra.
arte persiana XVI secolo esercizio di calligrafia
A Palazzo Reale l'esposizione è più ampia; l’allestimento, pareti rivestite da drappi di seta giallo oro evoca una tenda nomade, luogo nel quale la corte trascorreva la maggior parte del tempo. Il percorso espositivo è suddiviso in sei sezioni tematiche (la calligrafia, la miniatura eroica, la guerra, la vita di corte, il giardino animato, la diffusione dello stile safavide) e dominato dai colori azzurro e oro dei fogli miniati e degli esercizi di calligrafia.
Tra le opere in esposizione 14 fogli miniati del preziosoShahnamehIl libro dei re, storia leggendaria degli eroi della Persia pre-islamica. Re, cavalieri e animali selvaggi galleggiano su sfondi dorati oppure ai piedi di montagne dai colori irreali. Piccole figure definite con accuratezza di dettagli, volutamente bidimensionali e inserite in uno spazio senza prospettiva perché all'arte islamica è vietato imitare la realtà oggettiva. Sultani, cavalieri e cortigiani che affollano miniature, tappeti, appliqué (da non perdere l'appliqué in seta e cuoio con scena di corte, proveniente da Budapest) le scene di caccia e i banchetti reali non intendono essere realistici, ma creare un'atmosfera di sogno, nella quale le figure diventano "immagini archetipiche, rappresentano l'essenza immutabile delle cose".
Come nei tappeti, anche nei fogli minati l'immagine al centro è racchiusa da una cornice decorata con arabeschi, motivi geometrici e floreali che si intrecciano senza soluzione di continuità, con quell'horror vacui che sembra così tipico di questa cultura. La cornice come una "scatola magica che enfatizza la scena e non la rende concreta" (Eskenazi), collocando l'immagine in un fastoso giardino dell'Eden.
Il visitatore è colpito dall'uniformità di quest'arte, maschere da guerra (molto bella quella in ottone con intarsi in argento proveniente da Vaduz) miniature, versatoi hanno tutti decorazioni simili, sembrano frutto della medesima mano di artista. Un'uniformità voluta e ricercata dagli artisti di corte, coloro "che preparavano i disegni per i manoscritti li fornivano anche a gioiellieri, tessitori, intagliatori di pietre, ceramisti e altri artigiani; in questo modo veniva mantenuta in ambiti diversi un’unità stilistica".
Interessante coincidenza quella che porta a Palazzo Reale in contemporanea il mondo fluttuante del Giappone (l’Ukiyo-e) e l’arte della corte persiana del XVI secolo. Due mondi distanti nel tempo e nello spazio, culture diverse (esaltazione dell’effimero nell’una, ricerca di una verità eterna nell’altra) che produssero oggetti d’arte che non sono poi così dissimili; sfondi dorati che allontanano l’immagine dalla realtà del quotidiano, figure sottili e prive di corporeità che fluttuano in un modo irreale, sognato e seducente.

http://www.exibart.com/notizia.asp?idnotizia=9386

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