Alcune considerazioni sulla figura di Ernesto Che Guevara





Roberto Occhi, Che Guevara. La più completa biografia, Verdechiaro, Baiso (RE) 2007.

di C. Mutti

Carlo Terracciano, che nel numero speciale di “Origini” dedicato a Cuba (aprile 1992) analizzava le motivazioni geopolitiche dell’imperialismo statunitense nei Caraibi e nell’America Centrale e identificava nella difesa dell’indipendenza cubana (“nel nome di Fidel e nella memoria del Che”) una battaglia necessaria nella lotta globale contro “la mostruosa prospettiva del Nuovo Ordine Mondiale”, già in occasione del ventennale della morte del Che aveva sviluppato alcune interessanti considerazioni circa l’uso e il consumo postumi dell’immagine del Guerrigliero eroico. Terracciano riteneva necessario domandarsi perché mai la grancassa mediatica continuasse a propinare, “ribaltato al negativo, lo stereotipo di un donchisciottesco Che Guevara ingenuo di politica, sprovveduto eroe romantico che, esaurita l’esperienza cubana (…) si abbandona impreparato all’ultima avventura boliviana, con la scontata elencazione di errori tattico-strategici, fino alla tragica morte eroica. Con la subdola aggiunta che vita e morte del nuovo Libertador latino-americano ‘dimostrerebbero’ l’inutilità di ogni lotta rivoluzionaria contro lo status quo dominante (e dominato dal mondialismo con base USA)” (C. Terracciano, Il gigante sull’altura, “Orion”, ottobre 1987, p. 10). La risposta a tale interrogativo era semplice; anzi, era implicita nella domanda stessa.
La lettura di Che Guevara. La più completa biografia può costituire un ottimo antidoto all'intossicazione prodotta dall'operazione mediatica denunciata da Terracciano, un'operazione che è culminata nella riduzione del Guerrigliero eroico a immaginario paredro di Madre Teresa di Calcutta.
Il profilo politico di Guevara che ci viene restituito da questa biografia non è infatti quello di un generico "combattente per la libertà" animato da astratti ideali umanitari. Da queste pagine emerge invece, in maniera chiarissima, un progetto guevariano di unità continentale: "Sono cubano e sono anche argentino e, se le illustrissime signorie dell'America Latina non si offendono, mi sento patriota dell'America Latina, nel modo più assoluto, e qualora fosse necessario sarei pronto a dare la mia vita per la liberazione di qualunque paese latinoamericano" (p. 204). E "qualunque paese latinoamericano" non è altro, secondo le parole dello stesso Guevara, che "un pezzo del nostro continente" (p. 78). La sua visione continentale è netta fin dal 1958, quando dichiara testualmente ad un giornalista argentino: "Io considero mia patria non solo l'Argentina, ma l'intera America. (...) Fidel non è comunista. Se lo fosse, quantomeno avrebbe un po' più di armi. Questa rivoluzione, invece, è esclusivamente cubana. O, per meglio dire, latinoamericana. Dal punto di vista politico, potrei definire Fidel e il suo movimento come 'nazionalista rivoluzionario'" (pp. 114-115). Nella prospettiva geopolitica del Che, dunque, la rivoluzione cubana non è affatto un'eccezione storica, ma il primo passo di un processo che dovrà coinvolgere tutta l'America latina: un suo articolo del 1961 "contesta l'idea che la rivoluzione cubana sia destinata a restare unica, e sostiene anzi che le Ande possono diventare la Sierra Maestra del continente" (p. 174).
D'altronde era profondamente radicata nel Che la coscienza dell'unità antropologica del grande spazio che dal Rio Grande si estende fino alla Terra del Fuoco. Nel 1952, festeggiando in Perù il proprio compleanno, il Che brindava all'unità continentale indiolatina con parole che riteniamo assai significative, anche se non sono riportate nella presente biografia: "Crediamo, e dopo questo viaggio più fermamente di prima, che la divisione dell'America in nazionalità incerte e illusorie sia completamente fittizia. Costituiamo una sola razza meticcia che dal Messico fino allo stretto di Magellano presenta notevoli somiglianze etnografiche". 
Il progetto continentalista del Che viene così ricondotto dall'Autore all'idea bolivariana di "Patria Grande" (p. 207), al "vecchio sogno bolivariano di liberare il continente" (p. 233). Ed è proprio a questa "concezione bolivariana" (p. 206) che si ispira la sua strategia di lotta, fondata sulla solidarietà con tutti i paesi latinoamericani attaccati dall'imperialismo: "Appoggiamo Panama, il cui territorio è stato in parte occupato dagli Stati Uniti. Chiamiamo Malvinas e non Falklands le isole del sud Argentina, e chiamiamo Isla del Cisne quella che gli Stati Uniti hanno strappato all'Honduras" (p. 178). E ancora: "Esprimiamo la nostra solidarietà al popolo di Porto Rico (...) I nordamericani si sono ostinati per anni a voler trasformare Porto Rico in una vetrina di cultura ibrida: lingua spagnola con inflessioni inglesi" (p. 202).
La lotta per la liberazione del continente latinoamericano venne inserita da Guevara, come è noto, nel più ampio contesto di una strategia tricontinentale di lotta contro quel comune nemico statunitense che egli stesso ebbe a definire "il grande nemico del genere umano" (p. 263). La linea guida di questa strategia di lotta antimperialista sui fronti dell'Asia, dell'Africa e dell'America latina è riassunta nella celebre parola d'ordine "Creare due, tre, molti Vietnam".
Ma questa opzione strategica doveva alienare al Che il sostegno dei Sovietici, i quali, nel quadro di un rapporto USA-URSS basato sul reciproco rispetto delle rispettive aree d'influenza, "si erano impegnati con gli Stati Uniti a non interferire nelle questioni dell'America latina, 'cortile di casa' di Washington" (p. 297). Nell'area latinoamericana, infatti, l'URSS si accontentava di mantenere in vita qualche docile partito comunista che non fosse d'ostacolo alla sua politica internazionale, "mentre il Che era giustamente convinto che l'unica possibilità per Cuba di sopravvivere, a lungo termine, era quella di conquistare ideologicamente l'America latina; strategia continentale, bolivariana, in coerenza con l'idealismo combattente" (p. 298).
Di qui il tradimento del filosovietico Partito Comunista Boliviano, che per "trenta denari" (p. 297) vendette Guevara ai gringos; di qui il disprezzo manifestato nei confronti del Che da parte di quei sostenitori della "coesistenza pacifica" che, come il comunista italiano Amendola, scrissero sulla sua tomba l'epigrafe oltraggiosa "stratega da farmacia". Un atteggiamento, questo, che il generale Peròn denunciò nella circolare inviata ai militanti giustizialisti il 24 ottobre 1967: "Mi è giunta la notizia che il partito comunista argentino suona la campana del disprezzo. Ciò non ci sorprende: essi hanno sempre marciato nella direzione opposta agli interessi nazionali. Sempre sono stati contro i movimenti nazionali e popolari, ciò può essere testimoniato da tutti i peronisti". Queste frasi della circolare di Peròn non sono riportate nel libro di Occhi, che si limita a citare la prima parte della circolare stessa, nella quale il Generale annunciava la "perdita irreparabile" (p. 307) subita dal movimento latinoamericano di lotta con la morte del Che e proponeva quest'ultimo come esempio per la gioventù giustizialista. 
Forse sarebbe stato opportuno che l'Autore si dilungasse un po' di più sul rapporto tra Guevara e il giustizialismo. I documenti in proposito non mancano: dalla lettera del 20 luglio 1955, nella quale il Che scriveva alla madre che "la caduta di Peròn [lo aveva] profondamente amareggiato" (E. Guevara, Scritti scelti, Roma 1993, p. 237), alla pagina di memorie in cui la moglie ricorda che "La caduta di Peròn fu per Ernesto un colpo molto duro, che lo convinse una volta di più che l'imperialismo nordamericano interveniva spudoratamente nel nostro continente e che bisognava battersi contro di esso, con l'appoggio del popolo" (Hilda Gadea, I miei anni con il Che, Roma 1995, p. 146). Ernesto Envar El Kadri, detto Cacho, uno dei fondatori della Juventud Peronista, intervenne a suo tempo su tale argomento con un lungo e documentato articolo intitolato Ernesto Guevara y el peronismo. L'approfondimento di questo tema costituirebbe un valido contributo "revisionista", utile a sottrarre la figura del Che all'imbalsamazione alla quale essa è stata condannata dal conformismo di sinistra.

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