Continua l’integrazione eurasiatica


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Tra la nuova “Via della Seta” e gasdotti: continua l’integrazione eurasiatica
di Ali Reza Jalali
Carovane di mercanti e artisti di ogni genere l'hanno solcata per 1.500 anni o anche più. La Via della Seta ha rappresentato la rete dell'economia del mondo che ha fatto grande Roma, la Cina, la Persia, l'Impero mongolo, Venezia. Poi il mondo è cambiato, l’Eurasia progressivamente ha perso la centralità e vi fu l’ascesa dell’Atlantico settentrionale; quindi il canale fu ostruito. Ma oggi diversi Paesi dell'Eurasia spingono per riaprirla e, tra questi, anche la Cina, che sta tornando a essere la potenza globale di un tempo. "La costruzione del grande passaggio eurasiatico sta accelerando", ha detto il primo ministro cinese Wen Jiabao parlando a Urumqi, la capitale della provincia del Xinjiang, secondo quanto riferisce l'agenzia di stampa ufficiale cinese Xinhua. "Una 'Via della seta' multidimensionale, che consiste di strade, ferrovie, voli aerei, oleodotti e gasdotti, sta prendendo forma", ha continuato il capo del governo cinese, in un suo intervento di qualche mese fa.
Per Pechino l'apertura della via occidentale è strategicamente fondamentale. In primo luogo perché permette di evitare che i suoi rifornimenti debbano passare prevalentemente dal mare, con i rischi connessi alle vie marittime nel sudest asiatico, dove i "competitor" regionali e globali della nuova potenza emergente potrebbero riuscire, in caso di conflitto, a creare blocchi. In secondo luogo perché accrescerebbero l'influenza di Pechino in Asia centrale, una regione ricca di risorse energetiche. In terzo luogo perché renderebbero più diretti, costanti e meno costosi i commerci con l'Europa.
Albertas Aruna, segretario dell'Associazione trasporti Est-Ovest, ha spiegato che l'obiettivo immediato è quello accrescere fortemente la quota di merci che vanno dalla Cina all'Europa via terra. "Oggi il corridoio di trasporto terrestre vede solo il 2 per cento del commercio tra l'Unione europea e l'Asia. Noi puntiamo al 10 per cento", ha spiegato. Accanto a questo, la speranza dei sostenitori del progetto è quello che lo sviluppo porti anche stabilità regione. L'instabilità s'è manifestata negli ultimi decenni in particolare in Afghanistan e Pakistan, ma ha anche pericolosi potenziali in diversi Paesi dell'Asia centrale. La stessa Cina, d'altronde, è preoccupata della situazione in Xinjiang, una provincia a maggioranza islamica, in cui esiste un movimento autonomista uiguro.
"La stabilità dovrebbe definitivamente emergere con la crescita del commercio regionale indotta dal grande passaggio eurasiatico", ha sostenuto Shi Lan, capo dell'Istituto di studi sull'Asia centrale della Accademia di scienze sociali dello Xinjiang. Una stabilità necessaria per una Cina che – col Giappone e gli Stati Uniti che fanno da blocco nel Pacifico – ha necessità di avere aperto il suo occidente se non vuole rischiare l'isolamento. Agganciare l'Asia centrale a un flusso commerciale e di idee che dall'Europa alla Cina e dall'Asia centrale ex sovietica verso sud, all'India (per esempio, col gasdotto Tapi Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India), potrebbe anche voler dire coinvolgere anche gli altri attori regionali, come la Russia, l’Iran e la Turchia.
A una riunione a fine 2011 dell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO), il primo ministro russo (poi ritornato alla presidenza) Vladimir Putin - ricorda il sito internet Eurasianet.org - ha proposto d'investire 500 milioni di dollari nel progetto CASA-1000, che dovrebbe portare elettricità dall'India al Pakistan. D'altronde Mosca promuove un'Unione euroasiatica e ha sostanzialmente costituito un mercato unico con Bielorussia e Kazakistan. Oltre a godere indirettamente di un ritorno alla stabilità di una regione per lei fondamentale, Mosca si troverebbe, insomma, in pieno lungo la Nuova Via della Seta e potrebbe cogliere importanti opportunità economiche.
Il Kazakistan, dal canto suo, è da sempre un grande promotore della riapertura della Via della Seta e, in particolare, sta investendo sul suo tratto del corridoio autostradale Europa-Cina, che sarà lungo oltre 8.400 chilometri (2.700 dei quali in Kazakistan, che costeranno in tutto 6,7 miliardi di dollari). Le istituzioni finanziarie multilaterali ci stanno mettendo risorse, dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo alla Banca di sviluppo asiatico (Adb, con forte presenza giapponese e cinese), passando per la Banca di sviluppo islamico. Secondo l'Adb, se si aprisse il Corridoio Europa-Cina, entro il 2020 il Pil kazako crescerebbe del 68 per cento e quello degli altri paesi della regione del 43 per cento. Astana, peraltro, si sta mettendo avanti con il lavoro. A cavallo del confine con la Cina è in via di costruzione - tra Khorgos e il Xinjiang - una zona di libero scambio frontaliera con la Cina. L'idea di Astana - scrive Eurasianet - è quella di imitare il percorso della cosiddetta "Tigri asiatiche" per diventare il "Leopardo delle nevi dell'Asia centrale".
In questo quadro vuol poi rientrare anche un altro importante attore della geopolitica regionale: la Turchia. In una visita ad Astana a fine 2011 il presidente turco Abdullah Gul ha ribadito il ruolo turco di ponte tra Europa e Asia. "Oggi Turchia e Kazakistan devono avere un ruolo importante e assumersi una responsabilità storica nel promuovere i nuovi corridoi per il trasporto, le comunicazioni e l'energia, in altre parole, creare una nuova Via della Seta che unisca Europa e Asia", ha affermato. "Il continente eurasiatico - ha proseguito - continua ad avere un ruolo storico strategico, che è stato rafforzato grazie alle ricche risorse dell'Eurasia". Il capo di stato turco ha sottolineato l'importanza del completamento della ferrovia Baku-Tbilisis-Kars, a suo dire "un passo cruciale verso il nostro scopo di far rivivere la storica Via della Seta" (1).
In tutto ciò dobbiamo ricordare che il Presidente dell’Iran e il Presidente del Pakistan hanno inaugurato la fase finale del gasdotto tra i due Paesi. Mahmoud Ahmadinejad e Asif Ali Zardari si sono stretti la mano nella località iraniana di confine di Chabahar per dare il via ai lavori in territorio pakistano. Già completato nel tratto iraniano, il gasdotto – che corre su un totale di circa 1.800 chilometri – dovrebbe entrare in funzione il prossimo anno. Da costruire mancano i quasi 800 chilometri che uniscono la frontiera alla località pakistana di Nawabshah (2). Il progetto del "Peace pipeline" era stato avanzato da alcuni esperti negli anni 90, tuttavia solo dopo 10 anni di discussioni era finalmente stato posto all'attenzione dei governi ma il processo che ne seguì si dimostrò piuttosto tortuoso. A causa delle pressioni degli Usa, l'atteggiamento indiano era sempre stato passivo e alla fine l'India aveva annunciato in modo ufficioso di volersi ritirare dal progetto. Tuttavia l'Iran e il Pakistan non hanno rinunciato e l'atteggiamento del primo in particolare è sempre stato molto positivo. Forse l’India potrà tornare in gioco un domani. Nel 2007 l'Iran ha iniziato la costruzione del gasdotto sul proprio territorio e, secondo quanto riportato dai media locali, le spese di costruzione sono ammontate a circa 2 miliardi di dollari. Per aiutare il Pakistan ad accelerare la costruzione del gasdotto, l'Iran gli ha concesso un prestito di 500 milioni di dollari. Gli accordi di cooperazione del progetto sono stati firmati alla fine del mese scorso in occasione della visita di Zardari in Iran, durante la quale i due paesi hanno concordato di concludere la costruzione del gasdotto nel 2015. Considerato dal Pakistan come un mezzo per fare fronte alla cronica carenza di energia, è inviso agli Stati Uniti a causa del programma nucleare iraniano. A più riprese Washington ha cercato di dissuadere Islamabad, paventando anche possibili sanzioni (3). Ma a quanto pare gli interessi dei vari attori regionali, principalmente Cina, Russia, India, Pakistan, paesi dell’Asia centrale, Iran, Turchia e senza dimenticare i benefici per l’area mediterranea, vanno oltre le minacce nordamericane. Un nuovo mondo sta nascendo, il baricentro delle dinamiche globali si sta muovendo, dopo qualche secolo, dall’Occidente all’Asia (Eurasia).
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