Ideologia della Resistenza nel mondo


L’islam rivoluzionario e il socialismo: per un asse mondiale della resistenza

di Ali Reza Jalali
Anche il più superficiale analista di politica internazionale o il meno preparato tra gli esperti di geopolitica si sarà sicuramente accorto che il mondo, soprattutto in questi ultimi anni, si sta muovendo verso una direzione ben precisa. Dopo gli anni della Guerra Fredda, e dopo il crollo del blocco sovietico, gli americani pensarono di istaurare un “nuovo ordine mondiale”, cosa che fu espressa apertamente nei primi anni ’90 del XX secolo da George Bush, all’indomani dell’operazione “Desert Fox”, nella quale gli USA e una “coalizione di volenterosi”, avevano cacciato l’esercito iracheno dal Kuwait. Quel conflitto fu probabilmente il primo dell’era post-Guerra Fredda, e successivamente, intellettuali nordamericani come F. Fukuyama e gli altri, misero nero su bianco il programma da attuare nei successivi decenni per garantire il primato mondiale agli USA anche nel XXI secolo. Ciò emerse con più chiarezza con i lavori ormai celebri dei neoconservatori americani, da Samuel Huntington al famoso “Project for the New American Century”, di cui tutti abbiamo sentito parlare.
Questo piano di egemonia mondiale, vede nelle varie regioni del globo, alcune forze impegnate in una strenua resistenza, dall’America Latina all’Estremo Oriente, passando per il Medio Oriente, vi sono delle formazioni politiche, dei gruppi di resistenza armata, e in alcuni casi dei governi e degli Stati che, in vario modo, e ricollegandosi a varie ideologie, cercano di mantenere la propria indipendenza rispetto alle politiche egemoniche della borghesia imperialista e dei gruppi di domino, con specifici appoggi in alcuni governi occidentali, e soprattutto negli Stati Uniti d’America. Questa situazione, mi ha fatto riflettere spesso, sulla bontà o meno di quelle analisi tendenti a considerare il mondo contemporaneo come un mondo unipolare.
In realtà, anche dopo la caduta dell’URSS, il mondo ha continuato ad essere un mondo con varie sfumature, e soprattutto negli ultimi anni, il carattere multipolare sta emergendo con più veemenza. Ma volendo semplificare il discorso, secondo me, dire che oggi abbiamo ancora a che fare con un mondo bipolare, non sarebbe completamente errato. Vi sono ancora due fronti che si combattono in vario modo, magari non esattamente come avveniva tra le due superpotenze nel dopoguerra, in quanto quello era uno scontro “convenzionale”, tra due potenze che ribattevano colpo su colpo, ed avevano dal punto di vista strategico molte similitudini. Il “nuovo” mondo bipolare non è basato su uno scontro convenzionale, e infatti noi dal crollo del Muro di Berlino non abbiamo mai assistito a un conflitto classicamente inteso, ma solo a guerre “non convenzionali”, tra un esercito formidabile (prevalentemente quello nordamericano) ed eserciti o gruppi armati infinitamente più deboli e meno armati.
La guerra in Somalia, le due guerre nei Balcani, la guerra contro l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, senza dimenticare le guerre di Israele del 2006 contro il Libano, o quelle contro Gaza nel 2008-2009 e quella dell’autunno scorso, per non dire poi dell’attacco terroristico su grande scala alla Siria, in corso ancora oggi, sono tutte dimostrazioni, a prescindere dal risultato dei conflitti, di tipologie di guerre “non convenzionali” tipiche del periodo post-Guerra Fredda. Questo nuovo mondo bipolare dunque, non solo è una guerra di dominio dell’imperialismo nordamericano e dei suoi intimi alleati (GB, Francia, Israele ecc.) contro altri paesi o contro gruppi armati di vario genere, ma è anche una guerra ideologica, tra il sistema borghese internazionale e i “ribelli” del mondo. Se la scuola di pensiero della borghesia rimane la liberal-democrazia, il capitalismo finanziario e il libero mercato, i “ribelli” del mondo poggiano, a seconda dei casi, i propri valori su diverse scuole di pensiero, come il “socialismo del XXI secolo” (i paesi del fronte ALBA in America Latina), il socialismo “Songun” della Corea Popolare, il socialismo cinese, il “socialismo arabo” della Siria, e altre nazioni e gruppi di resistenza che in ogni caso sembrano abbracciare una variante del “socialismo”.
Tra i “ribelli” del mondo inoltre, vi sono dei casi eccezionali, di gruppi di resistenza o Stati, che si rifanno ad un’altra scuola di pensiero, come alcuni gruppi della resistenza libanese (Hezbollah ne è il caso emblematico), alcuni gruppi della resistenza palestinese e la Repubblica islamica dell’Iran. Questi, dicono di aderire politicamente all’islam; ma che tipo di islam è mai questo, che di fatto è alleato delle forze “socialiste”, in una battaglia di livello planetario, contro i divoratori del mondo? L’alleanza tra paesi come il Venezuela, l’Iran, la Siria o la Corea del Nord, è dettata, come alcuni pensano, solo da una comune avversione nei confronti dell’imperialismo nordamericano, ho può avere anche delle basi ideologiche più salde? Per rispondere a questi quesiti, mi vedo costretto a rispolverare le idee dell’imam Khomeini, ovvero l’ideologo, o per meglio dire, il “nuovo” interprete, di un tipo di islam che sembrava essersi offuscato lungo i secoli, che è poi quell’islam dal quale trae linfa la resistenza libanese, quella palestinese, quella siriana e quella iraniana.
Una grande intuizione della guida della rivoluzione iraniana del 1979 fu il ribaltamento di alcuni concetti che sembravano abbastanza consolidati negli ambienti islamici, e derivavano da una lettura estremamente superficiale delle fonti islamiche. Questo tipo di lettura è ancora presente nel mondo islamico, sia in ambito sciita, che nel contesto sunnita, ovvero quello di vedere il globo suddiviso in due categorie, sul modello del mondo bipolare. Da un lato, in base a questa visione “conservatrice” della realtà islamica, vi sarebbe il dar al-islam (territorio dell’islam), e in contrapposizione a questo “polo” ci sarebbe il dar al-harb (territorio della guerra). Per cui il mondo bipolare sarebbe schematicamente e anche geopoliticamente suddivisibile in due ambiti, che quindi oggi andrebbero dal Marocco all’Indonesia, per ciò che concerne il territorio dell’islam, in contrapposizione al resto del mondo, ovvero i territori non islamici, nei quali sarebbe lecita la guerra (appunto, territorio della guerra).
L’imam Khomeini, come dicevo, ebbe la grande intuizione, in base ad una lettura “progressiva” delle fonti islamiche, di scardinare queste teorie, e di basare il proprio ragionamento politico a livello internazionale su un bipolarismo oppressi-oppressori (mustaz’afin-mustakbirin). In base a questo tipo di approccio bipolare, il mondo non è più un campo di battaglia tra musulmani e non musulmani, ma tra oppressi ed oppressori. In base a ciò, un musulmano potrebbe tranquillamente essere un oppressore, e un non musulmano un oppresso. Infatti, se noi analizzassimo la storia umana, ci renderemmo conto bene di come sia in passato, che oggi, il mondo bipolare non si caratterizza come uno scontro tra razze, etnie, religioni o classi sociali, ma vi è un eterno confronto tra popoli oppressi ed oppressori.
Un oppresso, potrebbe essere anche un ricco, anche se ciò sembrerebbe paradossale. Un oppresso poi, potrebbe appartenere a qualsiasi zona geografica del mondo, potrebbe essere un cristiano, un ateo, ecc. D’altronde un oppressore potrebbe essere un musulmano, sciita (Mohammad Reza Pahlavi) o sunnita (Abdallah Bin Abd al-Aziz) che sia. E’ proprio per questo che le forze islamiche rivoluzionarie, dalla Palestina all’Iran, passando per il Libano o la Siria (quelle alleate del governo siriano), sono alleate ed amiche del fronte antimperialista mondiale, dei cosiddetti paesi socialisti, a prescindere dalla variante di socialismo alla quale aderiscono. Questi sono temi importanti che uniscono l’asse della resistenza mondiale, e non solo un comune risentimento nei confronti di una potenza coloniale. I temi della giustizia sociale, non solo all’interno di ogni paese, ma anche a livello regionale e mondiale, sono argomenti che cimentano i rapporti tra i “ribelli” del mondo. Quando sentiamo i discorsi di grandi leader come Hugo Chavez e Ahmadinejad, vediamo una grande similitudine negli argomenti trattati e nelle tematiche affrontate, addirittura con una comune sensibilità. Ciò evidentemente è da riscontrare nella natura primordiale dell’essere umano, che tende in ogni caso verso la Giustizia.
L’essere umano è impegnato in una battaglia lungo i millenni e i secoli, e ciò continua ancora oggi, e durerà sino a quando vi saranno delle ingiustizie, in quanto, dove c’è un’ingiustizia vi è un oppresso che langue sotto il dominio diabolico degli oppressori, e dove c’è una situazione di questo tipo ci sarà sempre la lotta. Questa battaglia non è circosrivibile ad un luogo geografico o ad una scuola di pensiero, essa rappresenta la possibilità di riscatto per i diseredati, per gli abitanti delle periferie, per i senza scarpe, questo è in ultima analisi, l’islam delle masse oppresse, l’islam dei poveri, degli ultimi, l’islam che si contrappone ad un’altra concezione, anch’essa con sembianze islamiche, che è l’islam dei capitalisti senza scrupoli, l’islam propagato dai divoratori del mondo, un islam che è o indifferente rispetto alle sofferenze altrui, o che quando decide di essere militante, si schiera sempre con le forze reazionarie imperialiste, come è accaduto negli ultimi anni in Siria e in altri paesi islamici. D’altro canto esistono forze nel mondo, che pur non essendo formalmente islamiche, potrebbero tranquillamente esserlo sostanzialmente, e queste, anche dalla prospettiva islamica di chi scrive, sono di gran lunga migliori di tanti presunti musulmani.

Hasan Abbasi, stratega e intellettuale iraniano, disse in un discorso: “Che Guevara non era musulmano, ma i suoi sacrifici di uomo rivoluzionario sono più graditi a Dio dell’operato di migliaia o di milioni di musulmani.” Concludo questo articolo ricordando a tutti, musulmani e non, che la nostra battaglia è riconducibile alla natura primordiale dell’essere umano, quella che si basa sul perseguimento della Giustizia, e in questo tipo di impegno, non è ammesso alcun tipo di settarismo; gli esseri umani desti, che hanno lungimiranza, comprendono ciò in modo chiaro. Noi siamo gli oppressi del XXI secolo, e la nostra missione storica, a prescindere da chi è musulmano o aderente ad un’altra scuola di pensiero, ad esempio socialista o altro, è quella di lottare, con le nostre penne e i nostri calami, con la nostra propaganda culturale, contro gli oppressori e i divoratori del mondo, identificabili principalmente in un pugno di capitalisti senza etica, che riempiono le loro tasche, sulla pelle dei popoli del mondo.
L’imam Khomeini diceva: “La lotta e l’amore del benessere, lo slancio ed il gusto del lusso, la ricerca dell’Aldilà e quella del mondo sono categorie inconciliabili. Rimarranno al nostro fianco sino all’ultimo soltanto coloro che avranno sofferto le pene della miseria, della povertà, della fame, della privazione e dell’oppressione. La base di ogni rivoluzione è nel sorgere dei privi di mezzi. Con tutti gli strumenti a nostra disposizione, siamo tenuti a osservare il principio della tutela degli oppressi.”    

http://www.statopotenza.eu/6087/lislam-rivoluzionario-e-il-socialismo-per-un-asse-mondiale-della-resistenza

Commenti