Considerazioni sullo Stato





Lo stato rappresenta per Hegel il momento culminante dell’eticità, ossia il riaffermamento dell’unità della famiglia (tesi) aldilà della dispersione della società civile (antitesi). Lo stato è la sostanza etica consapevole di sé , la riunione del principio della famiglia e della società civile. Di conseguenza lo stato non implica una soppressione della società civile, ma lo sforzo di indirizzare i particolarismi verso il bene collettivo. Questa concezione etica dello stato prevede una assoluta supremazia delle leggi sulla morale: sono le leggi  a fondare la morale. Il modello statale di Hegel si differenzia dai modelli liberali di Locke e Kant che vedono nello stato lo strumento per garantire sicurezza e diritti ai singoli cittadini, e dal modello democratico di Rousseau che fonda la sovranità nel popolo. Avendo consapevolezza di sé come totalità etica, ciascuno stato non riconosce al di sopra di sé nessun’ altra autorità e la guerra diventa uno strumento necessario per riaffermare il proprio diritto e per difendere la propria sicurezza.       
La concezione marxista dello Stato ci insegna che lo Stato è nato come esigenza imprescindibile di una società divisa in classi: da quando nella società sono sorte le classi è sorto lo Stato. Nella società divisa in classi, la classe che detiene il potere economico ha bisogno dello Stato come strumento per organizzare il potere politico a difesa del potere economico.
Lo Stato è lo strumento della dittatura di una classe sull'altra; lo Stato esiste solo nella misura in cui è necessario poiché esiste la lotta di classe e la divisione in classi, nella misura in cui è necessario per una classe opprimerne un'altra per realizzare i suoi fini. Solo con l'eliminazione della divisione in classi lo Stato scomparirà.
La lotta fra le due classi è una lotta che si svolge su tutti i fronti della società, e lo Stato, strumento di potere di una classe, si organizza in modo da esercitare il potere di questa classe contro la classe avversa in tutti i campi della società. Lo Stato è dittatura ed esercita questa dittatura sul piano militare e politico: lo Stato è una forza organizzata preparata per respingere la rivolta della classe non al potere, per reprimerla, neutralizzarla. Lo Stato viene usato dalla classe dominante per esercitare una mediazione nei confronti della classe oppressa ai fini di contenere la sua lotta e ricercare costantemente una situazione di normalità sociale perché il sistema stesso possa funzionare.
Pasolini al riguardo denuncia l’Italia e lo stato borghese, il ceto allora dominante, e lo fa sul finire degli anni Cinquanta del Novecento, ossia all’alba del boom economico, proprio quando la borghesia inizia la marcia trionfale nell’ebbrezza consumista. Dunque il poeta, nella tradizione che rappresenta, sente di non poter accostare a una simile classe dominante la parola «Italia», disconoscendo la borghesia in quanto «patria».

Il punto di vista sciita 

 Il fatto che lo Stato islamico autentico debba sostenere gli oppressi contro gli oppressori è evidenziato bene da diversi sermoni del Nahj ul-Balagha, e soprattutto dal seguente: “Io non ho pretese per ciò che concerne la politica; quello che mi preme è il fatto che Dio ha preteso dai saggi di ogni comunità di denunziare le prevaricazioni degli oppressori e di combatterli, e di sostenere gli oppressi e gli affamati e di soccorrerli.” 

L’Imam Ali ha sottolineato questo fatto anche in punto di morte come eredità spirituale ai propri figli. Nel paragrafo 53 della “Lettera a Malik Ashtar” (recentemente stampata in italiano dalle Edizioni Irfan), l’Imam Ali dice che è bene per un leader politico dedicare del tempo ai bisognosi e agli umili, spalancando le porte del palazzo anche ai ceti più disagiati della società, per avere diretti colloqui e cercare così di risolvere i loro problemi in modo più diretto. L’Imam Ali (Pace su di lui), il Principe dei Credenti, disse inoltre a Malik Ashtar, suo fidato compagno: “Il Messaggero di Dio diceva ripetutamente: giuro su Dio! Se un popolo non si ribella agli oppressori per sostenere la causa degli oppressi, non conoscerà mai la purezza e la beatitudine.” 

 Tutta la vita dell’Imam Ali è stata dedicata a questa nobile attività ed egli non ha risparmiato un solo istante della sua esistenza a questa causa, ovvero il soccorso e la difesa degli oppressi. In un altro punto del Nahj ul-Balagha, l’Imam Ali (Pace su di lui) esprime questi concetti in modo ancora più commovente: “Invero io ho l’obbligo di prendere in considerazione il lamento dell’oppresso contro l’oppressore, e se necessario per far comprendere la Verità a questi individui sarei disposto anche a usare la forza.” 

Questo è un principio sancito anche nel Sacro Corano, dove Iddio l’Altissimo impone a tutta l’umanità di soccorrere gli oppressi contro gli oppressori, se necessario anche con l’uso della forza. Bisogna sempre avere in mente il fatto che la ratio dell’istituzione di uno Stato islamico ed in generale dell’attività politica nell’Islam, è la difesa dei diritti degli oppressi e la lotta alle ingiustizie; tutte le norme islamiche (sia quelle di matrice divina, sia quelle approssimative emanate dall’uomo), hanno la finalità di adempiere a questo sacro scopo. Tutto ciò è necessario visto che la natura degli oppressori e dei prevaricatori è quella di chiedere ciò che va ben al di là dei loro normali diritti di esseri umani. Se le norme non favorissero in qualche modo i deboli e i disagiati, nella società vi sarebbe un caos costante e una situazione favorevole per i prepotenti.

Se lo Stato islamico non aiutasse gli oppressi, perderebbe la sua essenza e la sua filosofia vitale, decadendo in una volgare forma di governo influenzata dalla classe reazionaria e tirannica. Ed è per questo che l’Imam Ali (Pace su di lui) ha accettato di divenire il capo politico della comunità, solo ed esclusivamente per riuscire ad attuare politiche in favore degli oppressi, e non di certo per brama di potere o ricchezza. Nelle società in cui la legge dello Stato è influenzata non da fattori “divini” (principalmente la causa per la difesa degli oppressi), ma dalla prepotenza o dalla ricchezza di alcuni gruppi di pressione, gli ideali giusti vengono completamente rovesciati. In tali società deviate, il governo è solo un pretesto per favorire alcune classi sociali a scapito dei più deboli; non possiamo dimenticare d’altronde che a molti individui egoisti un governo etico che lotta per la giustizia può provocare parecchio fastidio, e che la lotta comporta molte difficoltà.

Le persone che fanno leva sulla propria ricchezza per influenzare le attività della politica non vedono di buon occhio le riforme per la giustizia sociale, e combattono con ogni mezzo illecito i politici di ispirazione divina, per indurli a piegarsi alle loro richieste ingiuste. Per questi individui la parola equità non ha alcun significato, anzi, è un concetto offensivo. Erano proprio tali individui a intralciare le politiche “divine” dell’Imam Ali, al tempo del suo califfato.

Per concludere possiamo citare un brano tratto dall’opera di Allamah Majlisi (“Bihar ul-Anwar”), nel quale un certo Ali ibn Ja’d riporta quanto segue: “Il principale motivo per cui gli arabi non sostennero l’Imam Ali era l’economia, visto che il Principe dei Credenti non favoriva i privilegiati contro i non-privilegiati e non favoriva gli arabi contro i non arabi. Egli inoltre non considerava gli uomini politici come persone speciali rispetto al popolo, e non facilitava i ricchi a discapito dei poveri; invece il suo avversario Muawiya si comportava esattamente al contrario dell’Imam Ali.” 

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