Il “Consiglio per gli Affari
Internazionali della Russia" ha pubblicato recentemente una relazione
nella quale si dice che le elezioni presidenziali del 2013 in Iran e
Azerbaigian creeranno le condizioni per fare dell’anno corrente un periodo
importante nella regione del bacino del Mar Caspio. Questa area geografica include
5 diversi paesi, con le proprie etnie, religioni e strutture politiche. I
sondaggi sembrerebbero premiare Ilhem Aliyev, presidente uscente, che grazie
alla riforma costituzionale del 2009, potrà ripresentarsi alle elezioni. Il
gasdotto attualmente in costruzione, che porterà le risorse energetiche dell’Azerbaigian
verso ovest, è a buon punto. Il varo da parte della Commissione Europea di un
progetto per la diversificazione delle fonti di approvvigionamento di gas,
grazie allo sfruttamento dei giacimenti dell’Azerbaigian (con cui Bruxelles ha
già stretto accordi) ha aperto nel vecchio continente una vera e propria
contesa infrastrutturale. Da un lato, l’Esecutivo UE cerca di costruire
gasdotti che permettono l’importazione diretta in Europa di risorse energetiche
azere; dall’altro, la Russia cerca con proprie condutture alternative di
mantenere la propria egemonia energetica su un’Unione Europea debole e divisa
al suo interno. Austria, Ungheria, Romania, Turchia e Bulgaria avevano infatti firmato
un accordo intergovernativo in sostegno del gasdotto Nabucco: infrastruttura
dalla portata di 30 miliardi di metri cubi di gas all’anno, concepita dalla
Commissione Europea per trasportare in Europa gas dall’Azerbaigian senza
transitare per il territorio russo, né dipendere da condutture controllate da
Mosca. Nabucco, che sul piano economico è compartecipato dalla compagnia
austriaca OMV, dalla Romania, dall’ungherese MOL e dalla tedesca RWE,
nell’estate del 2012 ha ricevuto il sostegno politico anche di Polonia,
Repubblica Ceca e Slovacchia: Paesi dell’Europa Centrale che hanno individuato
nei piani energetici della Commissione Europea una priorità di interesse
strategico nazionale. L’accordo intergovernativo in sostegno al Nabucco è una
risposta al supporto politico di Italia, Grecia e Albania al Gasdotto
Transadriatico (TAP): infrastruttura dalla portata di 21 miliardi di metri cubi
all’anno, compartecipata dal colosso norvegese Statoil, dalla compagnia
svizzera EGL, e dalla tedesca E.On. La TAP è progettata per veicolare il gas
del giacimento azero Shakh-Deniz – da cui è previsto lo sfruttamento di 16
miliardi di metri cubi di gas all’anno – dal confine greco-turco alla Puglia
attraverso il territorio albanese. Interesse nei confronti del Gasdotto
Transadriatico è stato espresso dal colosso britannico British Petroleum, e
dalla seconda compagnia energetica italiana Enel.
Nabucco e TAP fanno parte del
Corridoio Meridionale UE: fascio di gasdotti progettato dalla Commissione
Europea per aggiungere una fonte di rifornimento di gas supplementare a quelle
russe e nordafricane, da cui l’UE dipende oggi per circa il 50% del suo
fabbisogno complessivo. La realizzazione del progetto della Commissione Europea
è messo a serio repentaglio dalla Russia. Il Cremlino è intenzionato a
mantenere la leadership nelle forniture di gas all’Europa e, per questo, è
contrario alla realizzazione di infrastrutture che consentono all’UE di
diminuire la quota di oro blu importato da Mosca. Per impedire a Bruxelles
l’importazione diretta di gas azero, Mosca ha progettato il Southstream:
conduttura dalla portata di 63 miliardi di metri cubi di gas, compartecipata
dal monopolista russo, Gazprom, dal colosso italiano, ENI, dalle compagnie
tedesche e francesi Wintershall ed EDF, dalla greca DEPA e dagli enti
energetici nazionali di Montenegro, Slovenia, Serbia e Macedonia. Il gasdotto
ortodosso (com’è altrimenti noto il Southstream) è concepito per rifornire di
oro blu russo l’Europa Sud-Occidentale e Balcanica direttamente dalle coste
della Russia sul Mar Nero. Nel contempo, il Southstream consente alla Russia di
isolare Paesi politicamente osteggiati dal Cremlino, come Romania, Polonia,
Moldova ed Ucraina, attraverso i quali oggi Mosca esporta in Europa Occidentale
il suo gas. La costruzione del Southstream rientra in una precisa strategia
geopolitica, almeno secondo alcuni, volta all’utilizzo del gas da parte della
Russia come strumento per dividere il Vecchio Continente al suo interno (1).
D’altronde
quando si parla di gasdotti che partono dalla regione del Caspio, non possiamo
non ricordare l’Iran, anche se questo paese esporta il suo gas naturale
principalmente dall’area meridionale del Golfo Persico. L'eventuale costruzione
di un gasdotto capace di collegare l'Iran alla Siria e passante per l'Iraq
divide gli esperti e le opinioni dei media tra coloro che vedono in tale
progetto una nuova rotta energetica capace di favorire lo sviluppo della
regione mediorientale e coloro invece che registrano tale gasdotto come una
minaccia per i progetti di sicurezza energetica europea e come la volontà
iraniana di estendere la propria influenza ed il proprio controllo sui paesi
del Medio e Vicino Oriente, considerando anche il fatto che questo progetto
dovrebbe un domani estendersi anche all’Europa meridionale (Grecia). Iran, Iraq
e Siria stanno lavorando congiuntamente al progetto che vede la realizzazione
del gasdotto capace di trasportare il gas naturale dal deposito meridionale di
Pars nella città di Assalouyeh della Repubblica Islamica dell'Iran fino a
Damasco e al Mediterraneo orientale attraversando l'Iraq. La notizia è stata
comunicata inizialmente dall'agenzia di informazione “Fars Press Agency” che ha
parlato di una rete di trasporto capace di trasferire circa 100 milioni di
metri cubi di gas al giorno una volta completata. Per il governo iracheno e
quello iraniano il progetto prende il nome di "friendship pipeline"
mentre per alcuni media tale gasdotto è stato soprannominato "Islamic
pipeline" e l'utilizzo di uno dei due appellativi deriva anche dalla
visione che si ha di tale struttura: nel primo caso si premia l'alternativa via
di trasporto energetica che si sta creando nella regione mediorientale,
prospettiva che vede maggiore riscontro negli ambiti iraniani, mentre nel
secondo caso si punta l'attenzione sulla capacità della struttura di ampliare
la sfera di influenza dell'Iran. La discussione di un simile progetto era
iniziata il 25 luglio 2011, data che vide la firma di un accordo preliminare
nella città di Assalouyeh, facente parte della provincia iraniana meridionale
di Bushehr, che prevedeva la costruzione di un gasdotto capace di trasportare
il gas naturale prodotto nel deposito meridionale di Pars verso Damasco
passando per l'Iraq e favorendo il congiungimento del Libano e della Giordania.
Il 31 gennaio 2013 Alireza Nikzad Rahbas, portavoce del Ministro del Petrolio
iraniano, ha annunciato che l'Iran incomincerà le esportazioni di gas naturale
verso Baghdad previste per l'estate 2013 attraverso la costruzione di un
sistema di trasporto tra i due paesi, ulteriore notizia che confermerebbe
l'ipotesi dell'inizio della costruzione di una rete di collegamento che,
congiungendosi con quella siriana, avrà la capacità di trasferire il gas
naturale dall'Iran verso la Siria e, chissà, forse anche ai paesi dell’altra
sponda del Mediterraneo. Il deposito meridionale di Pars, nell’Iran
meridionale, il più grande al mondo con i suoi 9.700 chilometri quadrati, è
condiviso dall'Iran e dal Qatar e secondo le stime presentate dalla Pars Oil
and Gas Company, compagnia sussidiaria della National Iranian Oil Company,
secondo le analisi effettuate possiede 14 trilioni di metri cubi di gas
naturale, fattore che lo rende 12 volte superiore il deposito nel settore azero
del Mar Caspio (1.2 trilioni di metri cubi di gas naturale) considerato
fondamentale per la sicurezza energetica europea. Con il costo di 10 miliardi
di dollari ed una rete di trasporto lunga 1.600 chilometri, il gasdotto
Iran-Iraq-Siria è considerato più vantaggioso e più redditizio nei confronti
dei progetti di trasporto energetico che si stanno attualmente sviluppando in
Occidente per il rifornimento dei paesi europei attraverso lo sfruttamento dei
depositi del Mar Caspio e quindi rappresenterebbe una "minaccia" dal
punto di vista concorrenziale nel mercato energetico e favorirebbe lo sviluppo
economico dell'Iran e la sua affermazione all'interno della regione
mediorientale, eventualità resa possibile dalla situazione di instabilità che
si sta andando sempre più configurando in Siria (2).
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