Tramonto dell’Occidente?


(Questo articolo non rappresenta necessariamente la line editoriale di questo blog, ma è solo uno spunto per la riflessione) 




Tramonto dell’Occidente?

Leonardo Marchettoni

L’affermazione a più livelli di nuove potenze regionali e globali (Cina, India, Brasile) 
pone il problema di una riflessione che aggiorni la categoria di Occidente – e quelle a 
essa collegate di razionalità, progresso, Stato, diritto, ecc. Tuttavia, sarebbe 
semplicistico interpretare univocamente questi fenomeni nei termini di un declino delle 
strutture politiche, economiche e concettuali dell’Occidente a favore dell’affermazione 
di modelli alternativi non-occidentali. Per questo motivo si è scelto di presentare 
l’ipotesi del tramonto dell’Occidente (Spengler 1922) in forma interrogativa, non come 
un dato da assumere, ma come un’ipotesi da discutere criticamente. Oggetto della 
presente ricerca saranno pertanto alcuni aspetti della complessa interazione, dialettica, 
tensione fra fenomeni di cambiamento/recesso delle tradizionali categorie e dei 
tradizionali istituti “occidentali” e il recupero di forme variamente “creolizzate” in 
relazione ai paesi emergenti.
Si enucleano qui di seguito, senza alcuna pretesa di esaustività, alcuni assi di 
interpretazione e di discussione:
1. Sul piano filosofico e storico-filosofico si pone il problema dell’attuale valore di 
alcune tradizionali categorie occidentali come progresso e razionalità. Cosa rimane 
dell’ideale del progresso se il mondo contemporaneo vede un recedere del sistema 
occidentale controbilanciato dall’emersione di quadri di riferimento etichettati come 
non-occidentali? Analogamente, cosa rimane dell’ideale tipicamente occidentale della 
razionalità una volta che questo è posto a contatto con forme di razionalità alternativa? 
(cfr. Latouche 2000; Jullien 1997) È possibile parlare di “Occidente” e di “occidentale”
come se fossero categorie (storiche, culturali, filosofiche, epistemologiche, politiche, 
ecc.) monolitiche e universali? O piuttosto le cosiddette “tradizionali categorie 
occidentali”, di “progresso”, di “razionalità”, ecc., si presentano come “tipicamente 
occidentali” solo grazie a una particolare operazione che potremmo definire di “autoorientalizzazione” dell’Occidente, cioè un processo di auto-essenzializzazione 
dell’Occidente di fronte a un Oriente (o a più “orienti”) anch’esso essenzializzato in 
funzione di una presunta supremazia (autonomia, sovranità, ecc.) occidentale? 
Certamente, la modernità è caratterizzata dall’imporsi di una tradizione sulle altre. Ma 
da cosa è dipeso il successo di tale tradizione? Dai suoi meriti intrinseci (da cui la sua 
universale validità)? Da altri fattori? E, se di “meriti” di tratta, sono questi che ora (nel 
“tramonto dell’Occidente”) vengono presentati come i suoi principali demeriti (si pensi 
alle critiche all’Illuminismo, al Liberalismo, e in generale alla cosiddetta Modernità)? 
Sia come sia, non possiamo dimenticare che la cultura occidentale è una cultura 
(qualcuno ha insinuato l’unica cultura) che ha costantemente elaborato la propria critica. 
O è stata anche questa critica parte dell’ “auto-orientalizzazione” dell’Occidente?
2. Sul piano politologico ed economico-politico si può analizzare il declino dei 
grandi attori geopolitici occidentali soppiantati dalle nuove potenze globali Cina e India. 
Si può discutere se questa supremazia non si verifichi al prezzo di una 
occidentalizzazione dei codici giuridici, economici e politici e di una perdita di 
“autenticità” delle culture non-occidentali (contra Breidenbach e Zukrigl 2000), 
sopraffatte dall’immaginario e dal “sistema” connesso all’industria occidentale della 
cultura di massa e dello spettacolo (Marramao 2009). Questa dimensione si presta ad 
essere analizzata attraverso la categoria, introdotta da Edward Said, di “orientalismo”
(Said 1978), ovvero il processo di costruzione di un’alterità orientale modellata sul 
negativo dell’immagine dell’Occidente che, di volta in volta, si assume. Ora, come Said 
ben sapeva, il fenomeno dell’orientalismo non è esclusivo della nostra epoca ma 
percorre tutta la vicissitudine delle interazioni fra Occidente e Oriente. Autori come 
Boccaccio, Mozart, Lessing hanno fornito rappresentazioni dell’Oriente funzionali a 
essere contrapposte – in positivo – alla loro immagine dell’Occidente.
3. La scomparsa dei riferimenti geografici che fondavano l’opposizione tra 
Occidente e Oriente a causa della crescente interconnessione fisica e mediatica tra le 
diverse regioni del globo. La globalizzazione dei media, dei mezzi di trasporto, dei 
mercati, delle culture, ecc. sopprime l’opposizione tra Occidente e non-Occidente, da 
qui un primo senso in cui si può parlare di “tramonto dell’Occidente”. (Galli 2001) 
Questa trasformazione proietta un riflesso immediato sull’istituto della cittadinanza 
come dispositivo di inclusione/esclusione caratteristico della modernità occidentale. Da 
un lato, si può teorizzare lo svuotamento del binomio cittadinanza-appartenenza. Non 
vi è dubbio che la categoria dell’appartenenza “nazionale”, così come teorizzata in 
Occidente, sia sempre più sottoposta alle “mutazioni” che numerosi attori (i migranti, in 
primo luogo) impongono o rivendicano di continuo, tanto che essa sembra 
inesorabilmente destinata a “tramontare” a vantaggio di altre forme più efficaci di 
inclusione e di riconoscimento. Dall’altro, è pur vero che al di fuori dell’Occidente gli 
istituti politici occidentali incontrano, in molti casi, un successo nuovo che nei paesi di 
esportazione sono ormai incapaci di riscuotere. Si pone pertanto il problema di 
analizzare la tensione esistente fra le diverse problematiche e le diverse soluzioni al 
problema della definizione dell’appartenenza politica, presso gli Stati occidentali e al di 
fuori di essi.
4. Il ruolo del diritto “occidentale” nello scenario globale contemporaneo e in 
particolare dei diritti umani. (Habermas 1992, 1998). Il diritto conserva anche dopo il 
“tramonto dell’occidente” un potere di mediazione dei conflitti e di ripartizione delle 
risorse? Questo interrogativo si presta a essere tematizzato anche in connessione con il 
problema delle trasformazioni che l’estensione al dominio transnazionale impone al 
diritto (Ferrarese 2000, 2006). Infatti, se in generale è possibile sostenere che l’idea di 
Occidente è stata definita a partire dalla prima modernità attraverso due paradigmi 
costitutivi, la democrazia, e, appunto, il diritto, a partire dagli anni venti del Novecento 
diviene sempre più evidente l’inizio del declino del diritto per come è stato inteso per 
almeno un millennio: un declino che appare sempre più ineluttabile se si considera la 
scarsa attitudine del diritto nel confrontarsi con i problemi che negli ultimi decenni gli 
stanno sottoponendo la tecnica, l’economia, la biopolitica, e la globalizzazione in 
generale. Contemporaneamente, si pone il problema del modo in cui sistemi giuridici 
“altri” stanno reagendo a queste sfide, modificando le proprie fisionomie in risposta al
confronto con il diritto “occidentale”.

http://www.juragentium.org/Centro_Jura_Gentium/la_Rivista_files/JG_2012_monografico.pdf

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