Riportiamo una vecchia intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport da Julio Velasco, famoso allenatore di pallavolo italo-argentino, nonché ex dirigente sportivo, da qualche anno in Iran per dirigere la nazionale iraniana di volley.
MILANO, 9 marzo 2011 - Adesso è tutto a posto, tutto
confermato. C’è anche la firma: Julio Velasco è il nuovo commissario tecnico
dell’Iran. I dirigenti hanno scelto lui, dopo un ballottaggio con un altro
italiano, Silvano Prandi. Ora e fino a Londra 2012, l’uomo che più di tutti ha
cambiato la storia delle nostre schiacciate proverà a fare altrettanto nel
Paese degli Ayatollah. E dice: "Sarà una grande avventura, professionale e
culturale".
Stupito?
"Sono stupito dello stupore che credo di aver generato.
Mi stupisco che tanta gente creda sia il caso di andare solo in posti
conosciuti e di poter affrontare solo realtà collaudate".
Questa scelta è radicale quanto lo fu quella di venire in
Italia 28 anni fa?
"No, lo è molto meno. Allora avevo 31 anni e portavo
mia moglie e due bimbe piccole dall’altra parte del mondo per 6000 dollari
l’anno (in A-2 a Jesi, ndr). Adesso vado a 5 ore di volo da dove vivo, in un
mondo globalizzato, con internet, con i cellulari. E poi ormai i vari Paesi si
assomigliano tutti molto più di quanto pensino quelli che non vanno mai da
nessuna parte. L’Iran è molto meno diverso da noi di quanto molti
credano".
Dubbi?
"Di tipo sociale o culturale assolutamente no. Casomai
sul fronte tecnico, ma fa parte del lavoro. So che dovrò cercare giocatori per
fare quel salto di qualità che mi chiedono. Il livello è buono, ma dobbiamo
migliorare. Non ha alcuna riserva invece sull’impegno della federazione.
Vogliono la qualificazione Olimpica, e sognano la World League. Ci
proveremo".
Nel suo soggiorno a Teheran che idea si è fatto?
"In soli tre giorni ho visto un paio di partite e ho
pensato che il mondo considera poco l’Iran a torto esattamente come avveniva 30
anni fa con l’Argentina. Il fatto è che si tende a confondere il livello di
professionalità con il movimento. Certo, non è la serie A italiana, ma di
giocatori ce ne sono, e tanti. C’è un campionato professionistico con 16
squadre, una A-2, le nazionali giovanili hanno fatto risultati importanti. C’è
pubblico e interesse. E non solo l’Iran è così: lo stesso vale per esempio per
l’Egitto. Io sono come un agente di cambio: devo modificare i valori,
possibilmente migliorandoli".
Cosa che si diceva avrebbe potuto fare anche in Italia. Si
era parlato di lei come del possibile d.t. delle nazionali.
"Se ne è parlato, ma una vera offerta concreta non c’è
mai stata. E questo non significa che non mi piacerebbe continuare a lavorare
in Italia o in Argentina, anzi è la cosa che più desidererei. Ma ora va
così".
Ha definito anche culturale questa avventura in Iran.
"Certo: parliamo dell’antica Persia, una delle culture
più importanti dell’umanità. Sono molto contento anche di poter conoscere
meglio l’Islam: non credo ci sia un tema più attuale in questo momento".
Sulla tuta avrà la bandiera di un Paese spesso accusato di
finanziare il terrorismo, di attuare la repressione del dissenso, di
discriminare le donne, per non dire degli omosessuali.
"Non ho mai mischiato la politica alla pallavolo. La
nazionale rappresenta il Paese, non il governo. Forse che a Berruto qualcuno
chiede conto delle vicende di Berlusconi? E poi basterà dire che ai Mondiali
del 1982 ero con la nazionale argentina, e non si può certo dire che stessi
dalla parte dei generali. La panchina di c.t. non è un posto nel governo. Io
vado perché ho un obiettivo per tutti gli iraniani: portare la nazionale di volley
all’Olimpiade".
Gazzetta dello Sport
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