Dalla Libia al Kazakhstan: chi impedisce l’export italiano

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C’era una volta l’Iran.
E l’Italia faceva ottimi affari con la fornitura di tecnologie, impianti civili, prodotti agroindustriali. Garantendo decine di migliaia di posti di lavoro nel nostro Paese. Poi sono arrivate le sanzioni internazionali e la fine delle commesse, per scelta italiana. Mentre gli alleati che imponevano le sanzioni all’Iran utilizzavano le triangolazioni, con Paesi terzi, per impadronirsi del mercato abbandonato dalle imprese italiane.
Poi è arrivata la Libia, con i francesi impegnati a scippare la leadership italiana nel Paese nordafricano. Ed ora, evidentemente, tocca al Kazakhstan.
Dove, e non è certo un caso, l’Italia è ormai presente da tempo, tanto da essere diventata il terzo partner commerciale di Astana. Ancora una volta l’Italia aveva individuato un mercato di sbocco ideale per le proprie tecnologie, per le proprie produzione di qualità. In vari settori, dall’ambito energetico (il Kazakhstan punta molto sulle fonti rinnovabili, nonostante abbia una delle maggiori riserve mondiali di gas e petrolio) alla robotica, dall’agroalimentare alla moda. Insomma, tutti i settori classici del made in Italy, sia come immagine sia come sostanza nell’ambito della robotica, dei macchinari industriali. Anche perché i primi due partner del Kazakhstan sono Russia e Cina, dunque Paesi che non possono competere con l’Italia sul fronte delle tecnologie e, tantomeno, sul “bello e ben fatto” che caratterizza moda, enogastronomia, gioielleria dell’Italia.
Ora, però, tutto viene rimesso in gioco a causa di un pesantissimo attacco mediatico. L’alibi, per tv e giornali italiani (con il sostegno di alcuni esponenti politici, anche a livello governativo), è rappresentato dall’espulsione della moglie e della figlia di un oligarca kazako fuggito prima da Astana e poi dalla Russia poiché accusato, in entrambi i Paesi, di aver rubato una somma miliardaria (in dollari). Peraltro con una condanna rimediata pure in Gran Bretagna. Ma è bastato questo per annullare un viaggio ad Astana di una missione governativa. Ignorando i problemi che questo atteggiamento comporterà per le Pmi italiane che, a causa delle dimensioni, hanno bisogno del supporto pubblico per iniziare le attività di esportazione verso il Paese Centroasiatico.
Ma potrebbe essere solo una prova in vista di un successivo attacco mediatico contro la Russia. Impegnata, difficile sia una coincidenza, con un processo contro un altro oligarca che si è arricchito sulle spalle del popolo russo. E che, ovviamente, viene presentato dai media italiani come un oppositore politico e non come un oligarca disonesto. L’importante, evidentemente, è distruggere i rapporti con i Paesi in cui l’Italia indirizza le proprie esportazioni e dove può incrementarle considerevolmente. Come se i media italiani rispondessero ad interessi economici stranieri.
Alessandro Grandi
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