Breccia dell’Iran nel puzzle sunnita

Breccia dell’Iran nel puzzle sunnita

L’articolo Breccia dell’Iran nel puzzle sunnita è stato originariamente pubblicato dalla rivista multimediale AffarInternazionali, l’8 luglio 2013.
Hassan Rouhani press conference
di Andrea Fais
Sfruttando la rottura degli equilibri tra i principali protagonisti dell’Islam politico sunnita, l’Iran di Hassan Rouhani tenta ora di affermarsi come unico referente credibile per tutti i musulmani.
Nel farlo, mette al centro la questione palestinese, servendosi della giornata mondiale di Al-Quds, la tradizionale ventiquattrore di solidarietà dedicata a Gerusalemme che si svolge l’ultimo venerdì di Ramadan, caduto quest’anno il 2 agosto.
In questa occasione Rouhani ha tenuto un discorso che ha avuto una grande eco internazionale. Avrebbe definito Israele “una ferita da estirpare nel cuore del mondo musulmano”. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha immediatamente denunciato la continuità tra la linea politica del presidente uscente Mahmoud Ahmadinejad e quella del suo successore, puntando nuovamente il dito contro il programma nucleare di Tehran.
Dai microfoni di Press TV, il canale in inglese dell’emittente statale iraniana, Rouhani ha subito precisato che le sue parole sono state riportate in modo improprio. Il presidente avrebbe in realtà sostenuto che non Israele in quanto tale, ma l’“occupazione sionista”, è la “vera piaga” che il mondo islamico dovrebbe “cancellare”.
Nessuna minaccia all’orizzonte
Dopo l’annuncio della vittoria elettorale di Rouhani, Europa e Stati Uniti hanno inviato segnali di apertura verso Tehran. Il presidente Barack Obama si è detto pronto al dialogo con il nuovo esecutivo, prospettando l’avvio di un partenariato, basato sul rispetto degli accordi sul nucleare. Rouhani, che vanta una lunga esperienza nei campi politico, economico e militare, è visto come esponente dell’ala riformista e dialogante del regime iraniano.
Le parole su Israele hanno avuto l’effetto di una doccia fredda in Occidente. Un attacco nucleare contro Israele è però molto improbabile. Non solo colpirebbe la popolazione palestinese, ma rischierebbe di contaminare il sistema idrografico del Giordano che irrora anche Libano e Siria, importanti alleati.
Altrettanto improbabile è un attacco missilistico convenzionale, che potrebbe essere neutralizzato dall’Iron Dome, l’avanzato sistema difensivo antimissile israeliano. In generale, un attacco potrebbe scatenare la reazione immediata di Israele che, secondo fonti militari britanniche, già nel 2010 disponeva di un numero di testate nucleari compreso tra 100 e 300, nonché di diversi Jericho-3, missili capace di colpire qualsiasi parte del territorio iraniano.
Questione palestinese come collante
L’Iran, paese a maggioranza sciita, ha scarsa presa sulle comunità sunnite, dove le frange più estremiste continuano a considerarlo “tempio dell’eresia”.
L’unica questione capace di unire sunniti e sciiti è quella palestinese. Nel 2010, durante il blitz della marina israeliana a bordo della nave umanitaria pro-Gaza Freedom Flotilla, il primo ministro turco Raceep Tayypp Erdoğan aveva riservato parole di fuoco a Tel Aviv.
Tuttavia il fallimento della “profondità strategica” messa in campo negli ultimi anni e la spaccatura con la potente rete islamista di Fetullah Gülen hanno nuovamente allontanato il partito turco di ispirazione islamica, Akp, da quell’Islam politico che aveva trionfato in Egitto e in Tunisia dopo le primavere arabe.
Nell’estate 2012 è stato piuttosto il Qatar a penetrare in Palestina, guadagnandosi le simpatie del movimento islamista palestinese Hamas con ingenti finanziamenti, ai danni della Siria di Bashar al-Asad dal quale il movimento palestinese ha preso le distanze. Lo scorso novembre, l’operazione israeliana contro la Striscia di Gaza ha però decimato il gruppo dirigente di Hamas, rimettendone in discussione le alleanze.
Dopo il golpe con il quale, il 3 luglio scorso, i militari egiziani hanno destituito il presidente egiziano Mohammed Mursi, anche il ruolo del Cairo nelle dinamiche inter-palestinesi e nel conflitto con Israele potrebbero cambiare. Intanto sono saltate le trattative tra Egitto e Hamas per l’apertura del valico di Rafah e i rifornimenti verso Gaza.
Il colpo di stato egiziano ha inoltre acuito le differenze tra gli interessi del Qatar (vicino ai Fratelli Musulmani) e quelli dell’Arabia Saudita (ostile ai Fratelli Musulmani), coincidenti in Siria, ma agli antipodi in Egitto.



Andrea Fais, giornalista e saggista, è collaboratore del quotidiano cinese “Global Times” e della rivista multimediale “Equilibri”, autore de “L’Aquila della Steppa. Volti e Prospettive del Kazakistan” (Parma, 2012) e coautore de “Il Risveglio del Drago. Politica e Strategie della Rinascita Cinese” (Parma, 2011) e “La Grande Muraglia. Pensiero Politico, Territorio e Strategia della Cina Popolare” (Cavriago, 2012).

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