Geopolitica e Islam



Venjamin Popov, Jurij Mikhailov (Russia) 2 ottobre 2013 Regnum – Oriental Review
rabbani20121217055721300I cambiamenti geopolitici che hanno avuto luogo all’inizio del 21° secolo nelle nazioni del mondo islamico, e che sembrerebbero essere il culmine di molti fattori spontanei sono, infatti, una manifestazione di un complesso cambiamento qualitativo nell’equilibrio globale del potere. Per alcuni analisti politici, tutto questo può essere attribuito soltanto ai miopi giochi politici della nazione più potente del mondo, gli Stati Uniti, un retaggio delle loro apparenti carenze intellettuali e miopia strategica. Naturalmente gli statunitensi riescono a mettere mano in quasi tutto ciò che avviene nel mondo di oggi. E, a loro credito, sono abili nel difendere i propri interessi nazionali. Ma al fine di individuare le vere origini dei disordini attuali, bisogna guardare oltre i meri eventi degli ultimi anni, assumendo la visione più ampia della prospettiva storica.
Gli Stati Uniti sono pienamente consapevoli che il Medio Oriente, per tutto il XX.mo secolo, ha marciato sotto la bandiera della rinascita intellettuale islamica. Ma che è stato sentito dagli statunitensi ancor più acutamente durante la rivoluzione islamica in Iran, nel 1979, e in seguito,  all’alba del nuovo millennio, durante gli sconvolgimenti causati dai tragici eventi dell’11 settembre 2001. Dopo secoli di stagnazione, gli intellettuali islamici del tardo 19.mo – inizio 20.mo secolo, tra cui riformatori islamici, educatori e feroci oppositori del colonialismo come Jamal ad-Din al-Afghani, Abd al-Rahman al-Qawaqibi, Sayed Ahmad Qan, Muhammad Abduh e Rashid Rida, così come i rappresentanti del Movimento di Rinascita Tartara (Jadidismo), segnarono l’inizio di questa rinascita intellettuale. Si prefissero di cercare di dare un senso al ruolo che i musulmani avrebbero giocato nel nuovo mondo futuro e, soprattutto, nel fare i conti con l’essenza sociale della dottrina islamica e designare il ruolo dello Stato nello sviluppo e modernizzazione della società contemporanea. Tra le idee di questi riformatori, il filo conduttore era l’idea che l’Islam dovesse essere in prima linea nello sviluppo umano, e che il mondo musulmano era tenuto a garantire il benessere non solo dei suoi fedeli sudditi, ma anche di coloro delle altri fedi, una disposizione che era stata la caratteristica del Califfato bella sua età d’oro.
Alla metà del 20.mo secolo queste idee furono più chiaramente manifestate negli insegnamenti di Ali Shariati, che diede un contributo significativo allo sviluppo della dottrina sociale dell’Islam. Il rigoroso sistema di gerarchia sciita contribuì a diffondere le idee di Shariati tra i religiosi iraniani. Il frutto di questi insegnamenti fu la rivoluzione islamica del 1979, sotto la direzione del suo leader carismatico ayatollah Khomeini. In passato, l’obiettivo primario era l’arretratezza di questo Stato semi-coloniale, ma ora la Repubblica islamica dell’Iran da oltre trenta anni è divenuta una potenza leader regionale che ha fatto passi da gigante intellettuale. (Per esempio, nel 2013 l’Iran era salito al 17° posto nella classifica accademica globale, e il ritmo dei suoi progressi scientifici ha superato quello di quasi tutti i principali Paesi, compresa la Cina. Lo Stato prevede di aumentare la spesa pubblica per la ricerca, dall’attuale 1% del PIL al 4% nel 2029, ed entro il 2019 gli iraniani hanno intenzione di inviare un uomo nello spazio a bordo di un loro missile). Tutto ciò dimostra il reale potenziale del vero Islam politico. L’esempio dell’Iran, così come la prospettiva che gli abitanti del Medio Oriente possano improvvisamente decidere di incanalare la loro ricchezza e il loro potenziale combinato perseguendo gli obiettivi del proprio sviluppo, ha reso gli statunitensi ancor più nervosi.
L’invecchiamento e l’indebolimento dell’occidente ha trovato un rivale nel risorgente Oriente islamico. Nel mondo reale, l’islam sciita ha dimostrato una potente capacità di mobilitazione, oltre alla possibilità di difendere i propri interessi (anche se in realtà, gli sciiti costituiscono solo il 15% dei 1,6 miliardi di musulmani in tutto il mondo). Se l’Islam sunnita fosse parimenti in grado di mostrare un tale successo, gli analisti statunitensi prevedono che le conseguenze potrebbero rappresentare una seria sfida agli Stati Uniti. Non è un caso che molti politici statunitensi sono stati chiari sul fatto che più le nazioni islamiche sono scosse da guerre e lotte interne, più facile sarà per gli Stati Uniti assicurare la propria egemonia. Così l’obiettivo primario degli Stati Uniti in questa fase è dividere il mondo islamico e arabo, per quanto possibile, e sfruttare tutti i mezzi necessari per promuovere la nascita di nuovi focolai di tensione, compreso l’uso della provocazione con le armi di distruzione di massa. Ciò comporta il desiderio di creare regimi docili, indipendentemente dal fatto che siano religiosi o laici, repubbliche o monarchie. Il ragionamento degli statunitensi è semplice: se il Medio Oriente viene lasciato indisturbato anche per un decennio, ne emergerebbe un attore globale pericoloso e praticamente incontrollabile che potrebbe scegliere come avvalersi delle proprie risorse energetiche disponibili, oltre a ritirare potenzialmente tutte le sue attività dalle banche straniere, causando una crisi senza precedenti per l’economia occidentale. Per evitare ciò, conflitti inter-statali e intrastatali regionali vengono regolarmente attivati, e bombe a orologeria sono sistematicamente piazzate nella regione. I promotori di queste azioni non rifuggono da qualsiasi forma di incitamento delle crisi internazionali, interreligiose o interetniche, o dagli interventi militari diretti. Tutto sommato, gli statunitensi sono assai consapevoli di ciò che fanno e del perché.
L’analisi delle notizie apparse sulla stampa occidentale dalle ultime settimane, mostra la prevalenza dell’idea della futilità delle aspirazioni politiche dell’Islam sunnita, come dimostra il fallito tentativo dei Fratelli musulmani di governare lo Stato. C’è il concetto pervasivo che sunniti e sciiti saranno sempre in uno stato di eterno conflitto, un punto di vista che potrebbe avere un solo risultato realistico, un periodo di crescente tensione che culmina nell’annientamento reciproco. Di tanto in tanto, ci sembra vi sia un’eruzione accidentale nei media globali delle voci di coloro che ritengono che gli sciiti non solo non siano musulmani, ma eretici totali, settari amorali e fanatici consumati che non meritano di vivere. Una deliberata campagna viene condotta per emarginare l’islam, diffondere affermazioni che l’Islam non sia in grado di sviluppare una propria agenda positiva e che l’Islam predichi sempre violenza, sangue, vandalismo e distruzione della società tradizionale. Questa propaganda è abbastanza abilmente diffusa sia a livello accademico che dai mass media. L’attuale realtà geopolitica è tale che il declino della civiltà occidentale costringe la sua élite a cercare sempre nuove fonti di “ringiovanimento.” Gli Stati Uniti non sono tanto preoccupati dal salvataggio dei loro alleati tra il dispiegarsi della crisi economica e della civiltà globale, ma di come  assicurarsi la sopravvivenza preservando la propria egemonia anche a spese dell’Europa. Da qui il  desiderio di attirare gli europei nei conflitti in Medio Oriente, mentre allo stesso tempo salvaguardano la propria sicurezza nazionale. Nonostante le dichiarazioni dei funzionari di Washington, le azioni degli Stati Uniti suggeriscono che essenzialmente favoriscono la crescita del radicalismo islamico, utilizzato come efficace meccanismo per minare la posizione di ogni potenziale concorrente. È letteralmente un artificio volto a generare focolai di estremismo e  terrorismo in Siria, Iraq, Libia e molti altri Paesi, in cui le fiamme di ogni animosità vengono accese. Calcolando che una lotta interna si diffonderebbe esaurendo ed indebolendo la regione, debilitando assolutamente potenziali rivali o concorrenti. Sembra che Washington ritenga che la potenza militare ed economica degli Stati Uniti, così come la loro posizione geografica, gli consentano di mantenersi al di fuori dello scontro, conservando così un ruolo centrale nella politica internazionale. Ma in realtà, il sogno di tutti questi schemi non è privo di pericoli, perché, come l’episodio dei fratelli Tsarnaev e il processo del maggiore Nidal Hasan dimostrano, una tale politica, nonostante calcoli accurati che sembrano esserne alla base, finiranno per ritorcersi su gli stessi Stati Uniti. Inoltre, “sfidanti del regime” possono emergere nel sistema, e già assistiamo ai primi semi di questo fenomeno dopo le azioni del caporale Bradley Manning e dell’ex-dipendente della NSA Edward Snowden.
Molte norme medievali islamiche non sono solo in evidente conflitto con le realtà del ventunesimo secolo, ma fomentano tensioni nelle società. E il problema qui non si trova nella religione, ma nella mancanza di un approccio costruttivo creativo per la comprensione di come gli insegnamenti del Profeta dovrebbero essere osservati in una prospettiva moderna. La mancanza di un reale progresso nello sviluppo creativo degli insegnamenti sociali dell’Islam, e in alcuni casi, questi processi sono stati volutamente ostacolati, anche affermando che ciò era stato fatto a beneficio della società, difatti apre la strada a nuovi gruppi radicali. Un circolo vizioso si forma. La situazione arriva al punto in cui giovani musulmani si orientamento verso le idee espresse dagli ulema conservatori che sostengono che questo conflitto, tra sistema medievale di valori e sfide della modernità, può essere eliminato solo con la forza, compresi violenze e terrore contro gli intrattabili “infedeli”. Queste sono le circostanze in cui la Russia ha un rapporto sempre più ampio con il mondo islamico, screditando i piani dell’occidente (dannosi per tutti i  popoli) per manipolare Paesi e popoli, l’informazione e l’opinione pubblica. A differenza dell’occidente, la Russia non è interessata a frantumare o rimodellare il mondo islamico, ma si dimostra una coerente e ferma sostenitrice dell’unità e dell’integrità della regione. La Russia non è interessata ad alcun pregiudizio, verso l’occidente o l’Oriente. Vuole stabilità e prosperità in occidente e in Oriente, ma non a scapito del benessere di uno sull’altro. Non ha bisogno di un vicino di casa la cui “casa sia in fiamme.” Nell’attuale clima inquieto, la Russia invita l’occidente a “Smetterla di cercare di dividere il mondo islamico“, esortando il mondo islamico, in nome del Corano e degli insegnamenti del profeta Muhammad, “Non siate nemici l’uno dell’altro!”
tumblr_mhcbanIA2e1qze0z6o1_1280Venjamin Popov, direttore del Centro per il partenariato delle Civiltà presso la MGIMO (Scuola del Ministero degli Affari Esteri russo)
Jurij Mikhailov, caporedattore a Ladomir, editore accademico
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
http://aurorasito.wordpress.com/2013/10/04/geopolitica-e-islam/

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