LA MOSCHEA MOLINARI A LAGHOUAT


:::: Claudio Mutti :::: 
LA MOSCHEA MOLINARI A LAGHOUAT
Nella conquista francese dell’Algeria, la città di Laghouat (al-Aghwât) rappresentava un punto strategico, poiché, in quanto “porta del Sahara”, doveva servire come base per un’ulteriore espansione verso sud. Laghouat venne espugnata nel 1852, dopo aspri combattimenti. Il generale Du Barail, comandante della piazza, ripulì subito la città dalle macerie e, senza nemmeno attendere le disposizioni del governatore generale dell’Algeria, ordinò che si fabbricassero mattoni e pietre per costruire le installazioni necessarie all’esercito e all’amministrazione.
Nella ricostruzione della città si inquadra anche l’edificazione della grande moschea di el-Saffeh, che ebbe inizio nel 1853; in quell’anno arrivarono dal Lombardo-Veneto a Laghouat sette muratori italiani, uno dei quali avrebbe legato il proprio nome al luogo di culto, che oggi viene chiamato anche masgid Muninar, “la moschea di Mouninar”.
“Mouninar” era Giacomo Molinari. Quando arrivò a Laghouat aveva trentanove anni, poiché era nato il 28 agosto 1814 a Cavagnano (oggi provincia di Varese) da Giovanni Molinari e Maria Giuseppa Bianchi, i quali lo avevano fatto battezzare col nome di Giacomo Antonio nella chiesa parrocchiale di Sant’Ambrogio di Cuasso al Monte (1).
Terminata la costruzione della moschea, il gruppo dei muratori italiani ripartì da Laghouat. Giacomo Molinari invece rimase nella città algerina ed abbracciò l’Islam, se non vi era già entrato nel periodo in cui lavorava coi suoi compagni all’edificazione della moschea. Non ci è dato di conoscere le circostanze precise in cui ebbe luogo la conversione di Giacomo Molinari, che assunse il nome islamico di Ahmed. Forse una qualche luce sulla vicenda potrebbe provenire da una documentazione che si dice esista alla sottoprefettura di Laghouat, dove sembra sia custodita anche una fotografia in cui Molinari (evidentemente non ancora diventato Ahmed) è ritratto con un vistoso crocifisso sul petto.
Fatto sta che Ahmed Molinari si integrò perfettamente nell’ambiente musulmano: sposò una donna della tribù di Sidi Bouzid, nei dintorni di Aflou, e ne ebbe quattro figli: un maschio di nome Mohammed e tre femmine. Di Mohammed Mouninar si dice che fosse un mutaçawwif d’un certo rango; da lui nacque Bašîr, padre a sua volta di ‘Abd el-Qâder e nonno di ‘Izz ed-dîn.
L’ultima traccia lasciata da Ahmed Molinari consiste nel suo testamento, che egli dettò il 28 luglio 1908 al cancelliere notarile francese Paul Curel nella propria abitazione, “nel cortile di una casa sita all’angolo della rue Millot e della rue de Blidah” (2), essendo probabilmente impossibilitato a muoversi per via della veneranda età (novantaquattro anni) e delle condizioni di salute (“malade de corps, mais sain d’esprit”, ce lo descrive monsieur Curel).
L’atto notarile venne dunque redatto, in francese e in arabo, alla presenza di un interprete giudiziario e di quattro testimoni, “tous les quatre citoyens français”, residenti in città e in grado di comprendere la lingua araba. Ciò era reso necessario dal fatto che il testatore conosceva male la lingua dei colonizzatori francesi, ma in compenso si esprimeva alla perfezione in arabo, “à la mode indigène”, ormai del tutto dimentico della propria lingua materna (3).
Ascoltiamo le dichiarazioni del novantaquattrenne Molinari: “Non posseggo nulla. Avevo un orto, che ho venduto oggi stesso, ricavandone la somma di milleduecento franchi, la quale mi è servita per pagare una somma di eguale entità di cui ero debitore al signor Isaac ben Lalou” (4). Il creditore di Ahmed Molinari, un ebreo del luogo che in virtù del Decreto Crémieux del 1870 era diventato cittadino francese, figura d’altronde fra i quattro testimoni ed è indicato nel documento notarile come “propriétaire et négociant”. Il testatore, infine, conclude così: “Desidero essere inumato, dopo la mia morte, nel cimitero musulmano di Sidi-Yanès” (5).
L’ultima volontà di Ahmed Molinari venne regolarmente eseguita. Chi visiti oggi il cimitero di Sidi-Yanès vi può trovare la tomba del muratore italiano che lavorò alla costruzione della grande moschea di Laghouat.
 
  1. Atto sottoscritto dal curato C. Menefoglio, nell’archivio parrocchiale di Cuasso al Monte (Varese). Nell’archivio  non esiste nessun altro documento (né di matrimonio né tanto meno di morte) riguardante Giacomo Molinari.
  2. « … dans la cour d’une maison sise à l’angle des rues Millot et de Blidah ». Testament de Jacques Molinari (quattro cartelle con testo francese dattiloscritto dal notaio Adnot Henri e testo arabo redatto a mano da M. Ernest Abribat, “Interprète Judiciaire pour la langue arabe, Près la Justice de Paix de Laghouat”), Laghouat, 28 Juillet 1908.
  3. « … habitant Laghouat, depuis de longues années, y vivant à la mode indigène, ayant complètement oublié sa langue maternelle, ne connaissant qu’imparfaitement la langue française, mais s’exprimant au contraire parfaitement et habituellement en langue arabe… ».
  4. « Je ne possède rien. J’avais un jardin que j’ai vendu aujourd’hui même, moyennant le prix de douze cents francs, somme qui m’a servi à payer une dette de pareille somme, que je devais à M. Isaac ben Lalou ».
  5. « Je désire être inhumé, après ma mort, dans le cimetière musulman de Sidi-Yanès ».


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