L'ESILIO della METAFISICA Quando Corbin raccontava al caffè che l'Oriente è il centro dell'Occidente




Parigi, 1932. Seduto al tavolo del caffè d'Harcourt, all'angolo di place de la Sorbonne e boulevard Saint-Michel, Henry Corbin contempla l'affollarsi di angeli discesi apposta per accendere "occhi di fuoco" in lui. C'è un volto oltre la maschera. C'è un senso interiore nelle cose. La realtà non si esaurisce nell'esterioritàe Henry Corbin - seduto al tavolo con Raymond Quenau e Jacques Lacan, anche loro reduci dal seminario di Alexandre Kojève su Hegel - ha una natura particolare: è uomo solo a metà. Per l'altra metà, è angelo. Carne per la carne, cielo per il cielo. «Siamo esiliati rispetto al luogo di ogni luogo e alla conoscenza vera». Questo è ciò che Corbin dice ai due amici, con i quali coltiva un sodalizio simile al legame dello Stift, quello che a Tubinga aveva visto insieme Hegel, Hölderlin e Schelling.
Corbin è un ragazzo di Parigi.
Louis Massignon, il suo maestro all'università, gli ha dato da leggere Shihab al-Din Yahya Sohravardi. È un filosofo persiano del XII secolo, e lui ne è stato rapito.
È grazie alla numinosa filosofia persiana che Corbin, adesso, parla di angeli presenti tra i tavoli del caffè; e nessuno, nella città di Cartesio, scambia Corbin per uno scombiccherato. Conosce alla perfezione il sanscrito, il farsi, l'arabo. Agli occhi dei due amici (Kojève impegnato ad affrontare la Fenomenologia dello Spirito, Lacan in perenne corpo a corpo con Freud) quello di Corbin è un platonismo tradotto con i termini dell'angelologia zoroastriana. Studioso del mundus imaginalis, regione intermedia tra corpo e spirito, Corbin - che non dimenticherà le giornate di discussioni al caffè con Georges Bataille - descrive una dimensione terza tra res cogitans e res extensa, dove le ombre del mondo sensibile si trasformano in simboli evocativi. Le trame dell'immaginale sono inimmaginabili. In quel caffè, tra le nuvole di assenzio e anice, c'è il presagio di uno charme: l'ondeggiare dei veli, il troneggiare dei turbanti, il fruscio delle schiere angeliche. È un sovrapporsi di spazio e tempo, nel quale risulta, come in una vena segreta, il cuore remoto e però pulsante dell'Iran. La Persia è una fonte metafisica mai esaurita, in cui oggi Corbin (al quale è dedicata un'importante strada a Teheran, presso l'ambasciata francese) è considerato alla stregua dei santi sapienti. La sua opera, l'intero suo corpus filosofico e teologico, è fondante dell'identità iranica. «Ebbe come manto l'alta conoscenza», dicono di lui a Qom, la città degli studi.
Il polo, attualmente occulto, senza il quale il mondo non potrebbe esistere, è l'Oriente. L'Occidente, secondo Corbin, è solo un esilio per la metafisica. Progettiamo, in virtù di logos, edifici sontuosi «per poi vivere in catapecchie fatiscenti».
La presenza del sacro, in questa parte di mondo, è nella sua stessa assenza. "La clavis hermeneutica degli antichi pensatori orientali è in grado di dare una risposta alle vicissitudini dell'uomo contemporaneo talmente immerso nell'oscurità da non riuscire ad avvertire il proprio stato, l'esilio dell'esilio". Così si legge in Tempo ciclico e Gnosi ismailita, edito da Mimesis, a cura di Roberto Revello, introduzione di Bernardo Nante.
C'è un senso trans-storico nella vita. Il senso della profezia - l'avvento di Muhammad, l'ultimo dei profeti - non è legato alla contingenza ma ha sempre una sua prolungazione ciclica. Corbin è il filosofo che più di ogni altro, nell'epoca contemporanea, ha svelato agli stessi musulmani la necessità di distinguere un islam "legalitario", fondato sull'elencazione statica di regole, da un islam metafisico in cui la Shi'ia è "il santuario" tutto da venire. Ci sono un segno e una guida per ogni uomo e per ogni comunità futura: «Forse che una volta morti coloro a proposito dei quali era stato rivelato un certo versetto, questo versetto è anch'esso morto?».
Corbin introduce nella teologia un capovolgimento "copernicano", che però è realizzato a salvaguardia dell'essenza metafisica. Il tempo lineare - ieri, oggi, domani - è il tempo limitato; e Corbin, che scorge nell'Occidente la catastrofe metafisica dove resta dispersa l'origine del tempo e dello spazio, sventa la trappola storicista e "percorre la strada con l'angelo". Il cristianesimo ha soppresso il mondo di mezzo, l'altrove, per restare nell'al di qua e rinunciare così alla trascendenza. Di fronte all'annuncio di una Legge divina, una shari'at, Corbin - forte della dottrina dell'Imamato, cioè i successori, gli apostoli derivati da Muhammad - s'immerge nel Libro dove il senso spirituale postula un'iniziazione, «la perenne fluttuazione con i cicli e i periodi del mondo».
L'uomo deve reintegrare il pleroma, ossia la pienezza di Dio. E la presenza di Dio nell'uomo è immune da eventi catalogabili, documentabili e narrabili.
Il compito fondamentale della Shi'a è la salvaguardia del senso.
L'esoterico nel ministero sciita, per Corbin, è un'energia divina non soggetta al divenire. È «un luogo situativo più che situato».
Come il sole, nel fenomeno proprio del sorgere, rivela il mondo.
E l'immaginale non può che situare il sensibile e l'intelligibile.
La coerenza speculativa è una qualità superiore rispetto alla coerenza cronologica.
Una conoscenza che, conoscendo la realtà, la crea. «Henry non credeva solo in Dio, lo pregava anche», dirà Seyyed Hossein Nasr, il filosofo iraniano con cui Corbin animerà l'Ecole pratique des Hautes Etudes della Sorbonne e poi ancora a Teheran.
Metà europeo, metà persiano.
Così è Corbin: «Era contemporaneamente un pio sciita e un intellettuale parigino», spiegherà ancora Nasr. Nei pellegrinaggi nei santuari iraniani, Corbin, che pure avrà un funerale cristiano, si rivolge a Nasr con « nous shi'ites », "noi sciiti".
L'immaginazioneè più potente della logica, e Corbin, il primo ad applicare la fenomenologia all'orientalismo, non legge i trattati di Sohravardi come un filologo o come uno storico, piuttosto come un filosofo, dunque con "occhi di fuoco". Egli introduce la distinzione tra fantasia e immaginazione produttiva, e in questa designa il luogo della metafisica pura. Il suo dialogo con Allamah Sayyid Husayn Tabatabai, un sapiente della città di Qom, pubblicato in persiano, è considerato tra le massime prove di ermeneutica, pari alle vertigini linguistiche di Martin Heidegger, di cui Corbin, non a caso, sarà il traduttore in lingua francese; e non è appunto un caso, poiché proprio con l'autore di Essere e tempo, riconoscendogli il merito di una primogenitura, Corbin consuma non tanto una rottura quanto un oltrepassamento. In nome dell'agnosticismo scientifico, l'Occidente sì è privato dei presupposti metafisici sui quali, originariamente, ha fondato se stesso.
È l'essere presente dell'uomo a esprimere quel che per Corbin è la cognitio matutina: dunque non l'essere per la morte del dasein heideggeriano ma l'essere per l'al di là della morte. Nel Concilio di Nicea del 325 sorge la dottrina del Verbo unito alla carne. Il credo secondo cui il Cristo, dopo la resurrezione, soffia simbolicamente l'anima degli apostoli è marchiato nell'eresia. Il simbolo, invece, secondo Corbin- così come nella dottrina dell'Imamato - è il luogo dell'anima.
I corpi si spiritualizzano, gli spiriti si corporalizzano. Trovare il mundus imaginalis significa spogliarsi del cogito cartesiano, incamminarsi infine con l' anghelos che può disvelarsi solo a chi intensamente lo desidera accogliendo in sé il volto di Dio.
Spiega Corbin: «Face de Dieu, face de l'homme».
L'esistenza è una visione: tutto si svolge nell'anima; e l'ultimo Imam, l'occulto, il Mahdi atteso nel suo disvelamento, è il segreto dell'avvenire. Solo il caffè d'Harcourt non c'è più. In suo luogo, c'è un grande magazzino: l'unica forma di magistero ecclesiale concessa all'Occidente.
Post scriptum Il lettore italiano può trovare i libri di Corbin nei cataloghi di Boringhieri, Adelphi e Mimesis che, oltre l'interessante saggio di Glauco Giuliano L'immagine del tempo in Henry Corbin, ha già avviato la pubblicazione de Il Paradosso del monoteismo e del primo tomo di Nell'islam iranico.


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