Il voto turco: prime impressioni

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Anna Vanzan
 
Fin dal mattino, lunghe file di votanti si sono formate fuori dai seggi elettorali in Turchia, dove si votava per le elezioni amministrative 2014, una massiccia affluenza che conferma come questa tornata elettorale fosse particolarmente sentita e considerata come un test di prova del rapporto di fiducia tra la popolazione e il suo Premier Recep Tayyip Erdoğan.
 
Il partito turco della Giustizia e Sviluppo (AKP) si conferma primo e Erdoğan rimane in sella. Evidentemente, non è bastato che il partito al governo tradisse il suo nome (l’acronimo AK in turco significa “puro”) con una catena di conclamati scandali avvenuti negli ultimi mesi. A dispetto della corruzione conclamata della leadership turca, della svolta autoritaria del premier rivelatasi appieno con i fatti del Parco Gezi e confermata dal suo oscurare i social network proprio in occasione di questa tornata elettorale, i turchi hanno preferito la stabilità e premiato chi, fra l’altro, ha consentito che l’economia del Paese incrementasse del 230% in dieci anni (fra il 2002 e il 2012) e l’inflazione dal 29,8% del 2002 al 7,4% nel 2013.
 
Il secondo partito, Cumhuriyet Halk (CHP) di centro sinistra, si conferma forte nelle municipalità e nelle province che si affacciano sull’Egeo, soprattutto nella sua roccaforte, Izmir, erodendo voti al partito nazionalista, Milliyetçi Hareket (MHP) e dimostrando così come i turchi siano sempre più orientati verso il centro moderato.
 
L’AKP è riuscito a conquistare Istanbul, piazza importantissima, anche dopo la repressione dei manifestanti a parco Gezi. Probabilmente ha perso voti da parte dei giovani “laici”, ma la sua recente diatriba con il movimento islamista Güllen (un tempo alleato dell’AKP) che Erdoğan ha accusato di fomentare e manovrare gli scandali contro di lui, ha probabilmente fruttato qualche voto al partito di governo da parte di chi vede con sospetto l’azione di Fetullah Güllen, apparentemente solo filantropica, ma in realtà volta a creare un potere forte e più radicalmente islamista nel cuore della Turchia.
 
Ora Erdoğan pensa di concretizzare il suo progetto di costituire un sistema presidenziale attorno alla sua carismatica figura, ma alcune insidie potrebbero frapporsi alla sua smisurata ambizione. Innanzitutto, i problemi economici: anche se l’onda lunga della crisi economica questa volta non è arrivata alle urne, il governo turco deve prendere seri e immediati provvedimenti per evitare che il boom economico dell’ultima decade si trasformi in un baratro che inghiottirebbe non solo l’AKP ma l’intera nazione. Inoltre, l’immagine all’estero di Erdoğan è seriamente compromessa, a causa di scandali e autoritarismo; se in Europa, che non vede più Ankara come possibile serio e stabile mediatore per i problemi del Medio Oriente, il fronte contrario all’entrata della Turchia nell’Unione Europea sta aumentato, negli Stati Uniti, dove risiede Fetullah Güllen e la sua potente macchina di propaganda, Erdoğan è sempre più guardato con sospetto.
 
Il premier turco non ha molto tempo quindi per godersi la vittoria; gli servono presto altri risultati tangibili, anche perché le elezioni presidenziali sono alle porte.
 

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