Quattrocentomila barili al giorno in viaggio sull’asse Iran-Cina






IL DRAGONE È DIVENTATO CLIENTE PRIVILEGIATO DELLA REPUBBLICA ISLAMICA PER L’ACQUISTO DI PETROLIO ANCHE PER L’INASPRIMENTO DELLE SANZIONI INFLITTO A TEHERAN NEL 2012 DALLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE. IN EVOLUZIONE I RAPPORTI COMMERCIALI TRA I 2 PAESI

Pejman Abdolmohammadi*

Il consumo petrolifero quotidiano della Cina nel 2012 è stato circa dieci milioni di barili, una buona parte dei quali proviene dalle importazioni. Secondo gli ultimi dati divulgati dall’Istituto Nazionale di Statistica iraniana, la Repubblica Islamica esporta 420mila barili al giorno verso Pechino. D’altro canto, la Cina è diventata negli ultimi anni uno dei principali esportatori di beni e servizi verso l’Iran. La crescita esponenziale dell’economia cinese negli ultimi anni ha contribuito all’aumento delle sue esportazioni. La Cina infatti si è aggiudicata circa l’11% delle esportazioni mondiali, di cui una buona parte verso il Medio Oriente e quindi anche verso l’Iran. Pertanto i rapporti economico- commerciali tra Iran e Cina negli ultimi dieci anni si sono intensificati sensibilmente. L’avvicinamento tra i due paesi asiatici deriva dalla loro comune visione strategica nell’area mediorientale e soprattutto da un interesse economico reciproco. La Cina è il secondo più grande consumatore di petrolio al mondo dopo gli Stati Uniti d’America, mentre l’Iran, in quanto uno dei principali produttori ed esportatori del medesimo negli anni, è divenuto per la popolazione cinese uno dei maggiori fornitori di risorse energetiche. Infatti Pechino è il primo importatore di petrolio nel continente asiatico e l’Iran risulta, dopo Arabia Saudita e Angola, il terzo esportatore di petrolio verso la Cina. Le importazioni iraniane dalla Cina all’inizio del 1997, con l’ascesa al potere del governo riformista dell’ex presidente Seyyed Mohammad Khatami, pesavano per circa 396 milioni di dollari annui, mentre nel 2005, con la fine dei due mandati di Khatami erano salite, secondo il rapporto del gruppo di ricerca del Parlamento iraniano, a 2.2 miliardi di dollari all’anno. Insomma un’accelerata non di poco conto. Il vero boom commerciale tra i due paesi si è realizzato però durante i due governi dell’ormai ex presidente Mahmoud Ahmadinejad, dal 2005 al 2013, elevando fino alla cifra di circa 45 miliardi nel 2011 questo valore all’interno del quale ben 7 miliardi erano relativi all’importazione di beni e servizi. Va sottolineato, inoltre, che l’inasprimento delle sanzioni economiche nei confronti dell’Iran, deciso nel febbraio 2012 da una parte della comunità internazionale, ha favorito indirettamente, e in particolar modo sul piano economico, la Cina: dal momento in cui l’esportazione del petrolio verso i paesi occidentali ha subito un forte calo, è stata proprio la Cina a conseguire negli ultimi due anni una posizione di privilegio come partner commerciale iraniano. Così, da un lato la Cina ha avuto un accesso quasi monopolistico al petrolio iraniano. 







Dall’altro lato, invece, le limitazioni bancarie dovute alle sanzioni contro Teheran che rendono i trasferimenti di valuta, i pagamenti e altre operazioni finanziarie quasi impossibili, ha offerto la possibilità a Pechino di pagare una buona parte del petrolio importato dall’Iran con beni, servizi e investimenti. Pertanto sebbene l’ammontare del commercio tra i due paesi nel 2012, a seguito delle nuove sanzioni, sia calato dai 45 miliardi del 2011 ai 37 miliardi attuali, la Cina ha avuto comunque importanti vantaggi dalle sanzioni, andando a sostituire il denaro che avrebbe dovuto pagare per l’energia con l’esportazioni di beni — spesso di seconda o terza scelta — servizi o investimenti sul posto (per esempio nel settore degli impianti petroliferi, nelle costruzioni autostradali e nella costruzione di dighe, la Cina è intervenuta anche in qualità di investitore in Iran). D’altro canto i paesi europei, in particolare la Germania e l’Italia, che nel corso degli anni Ottanta, Novanta e Duemila, hanno avuto un ruolo importante sul piano commerciale verso l’Iran, ultimamente hanno perso diverse posizioni. Chiaramente il posizionamento anti-americano della Repubblica Islamica all’interno dello scenario strategico mondiale, la porta ad assumere una collocazione più vicina alla Cina, principale competitore economico di Washington. Per la Cina infatti un’alleanza politico-economica con Teheran, oltre all’enorme ricavo economico, permette di mantenere una certa influenza nell’area mediorientale e caucasica. 






La Cina, in questi ultimi tre anni, è riuscita infatti ad accedere a basso costo al petrolio iraniano, rendendo la propria macchina produttiva e industriale ancor più forte ed efficace, mentre il fronte europeo ha avuto un ulteriore indebolimento sotto il profilo economico-finanziario. Le nuove aperture del governo filo- moderato di Hassan Rohani in Iran verso il fronte occidentale potrebbero pertanto cambiare la geopolitica economica della regione. Un Iran meno ostile verso l’Europa e gli Stati Uniti potrebbe essere molto utile in questo momento di grave crisi economica, in particolare per l’Europa, alla quale offrirebbe un mercato ricco, giovane e prospero. Le imprese italiane potrebbero accrescere la propria presenza economica in Iran. Molto dipenderà nei prossimi mesi dall’esito delle trattative attualmente in corso sul nucleare: ci sarà una effettiva apertura tra Teheran e il fronte occidentale, oppure l’Iran continuerà a rimanere in stretta alleanza con i cinesi favorendo di fatto, come successo fino ad ora, Pechino nella nuova soft war contro Washington che si gioca in diverse zone del pianeta, a partire dall’Africa fino appunto all’intera area del Medio Oriente e all’Asia centrale? 

*Docente di Storia e Istituzioni del Medio Oriente presso l’Università di Genova 

Fonte: "La Repubblica" 

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