Iran, il mercato di domani?

 
 
A. Sacchetti
 
 
Accordo sì o no? Il terzo turno di colloqui tra Iran e gruppo 5+1 sulla questione nucleare tenutosi a Vienna l’8 e il 9 aprile, si è concluso in modo piuttosto interlocutorio. Le prospettive sono parecchio diverse a seconda delle analisi. Non ci sono risultati clamorosi da sbandierare, ma neanche passi indietro, a stare alle dichiarazioni dei protagonisti. Sono però trascorsi cinque mesi dallo storico accordo di novembre e ci si comincia a chiedere quando si vedrà davvero la fine di questa querelle.
 
Nucleare, nuovi colloqui il 13 maggio
 
Il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif, in un tweet, ha auspicato il “proseguimento del dialogo per raggiungere un accordo stabile, con un’assunzione finale di responsabilità collettiva” che sia “soprattutto, in linea con gli interessi di tutte le parti”.
 
Le parti si rivedranno a Vienna il 13 maggio. Zarif ha anche dichiarato che un accordo finale potrebbe essere raggiunto entro il 20 luglio (quando scade l’accordo ad interim di novembre), ma ha anche aggiunto che se fosse necessario altro tempo, non sarebbe “né un disastro né una sorpresa”.


 

L’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera Catherine Ashton ha detto che le due parti devono svolgere “un lavoro intenso” per colmare le distanze e raggiungere un accordo.
 
Il mercato iraniano
 
In questi ultimi mesi i dettagli tecnici della questione nucleare sono passati in secondo piano nelle cronache e nelle analisi. Si parla soprattutto di cosa potrebbe accadere dopo un eventuale accordo che riaprisse le relazioni economiche tra Stati Uniti e Iran.
 
Charlie Robertson, global chief economist di Renaissance Capital, ha recentemente visitato l’Iran e ha tracciato un quadro molto promettente dell’economia persiana:
 
“Gli investitori sono molto interessati a trovare il prossimo mercato . L’Iran è l’ultimo mercato del mondo che abbia già una considerevole economia e un mercato azionario nel quale si potrà investire una volta allentate le restrizioni finanziarie”.
Secondo Robertson, l’Iran di oggi è come “la Turchia di dieci anni fa, ma con enormi riserve energetiche”.
 
I punti di forza? Il 9% delle riserve mondiali di petrolio, salari in media più bassi di Turchia o Cina e paragonabili a quelli del Vietnam. Infrastrutture migliori rispetto a quelle dei Paesi emergenti. In più, una popolazione giovane e ben istruita.  In pratica, le generazioni del baby boom iraniano (anni Ottanta e Novanta) hanno studiato, si sono laureate e sono ora forza lavoro. E rappresentano un esercito enorme di consumatori. La Borsa dell’Iran ha una capitalizzazione di mercato di circa 170 miliardi dollari, simile a quella della Polonia. “Questo è un grande mercato per gli standard dei mercati emergenti“, sintetizza Robertson.
Pronti a partire
 
Gli investitori stranieri non possono ancora stipulare contratti formali, ma stanno comunque saggiando il terreno. Da novembre, moltissime imprese europee e americane stanno visitando il Paese per comprendere il contesto e valutare le possibilità di investimento. Se e quando le sanzioni saranno rimosse, vogliono tutti essere in prima fila.
 
Il primo passo
 
Per sbloccare la situazione, il primo basso dovrebbe essere la fine de dell’embargo petrolifero da parte dell’Unione europea. In questo modo, Teheran aumenterebbe l’export del greggio e rilancerebbe la produzione interna. Per una totale normalizzazione della situazione, sarebbe comunque indispensabile la fine delle sanzioni del Tesoro Usa e il reinserimento dell’Iran nei meccanismi bancari internazionali. I settori in cui investire? Sicuramente il petrolifero, il petrolchimico e il minerario, tanto per cominciare. Buone prospettive anche per l’agricoltura e l’industria automobilistica, settori già ben strutturati. Molto interessanti le prospettive per il settore delle telecomunicazioni e dell’industria alberghiera.
 
Oltre agli sviluppi internazionali, saranno comunque necessari cambiamenti interni, soprattutto per quanto riguarda il settore bancario e la forte ingerenza delle fondazioni legate ai Pasdaran nelle società di recente privatizzazione. Anche in questo ambito (o soprattutto in questo) si gioca la partita interna tra le anime della Repubblica islamica.
 

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