Presentazione del testo “Uno gnostico sconosciuto del XX secolo. Formazione e opere dell’Imam Khomeynî”

 

Proponiamo questo articolo ripreso da http://www.tarsis.it/S03-Presentazione_Gnostico.html in occasione dell'anniversario della dipartita dell'Imam Khomeyni, avvenuta nel giugno del 1989.
 
- Introduzione alla concezione metafisica e spirituale dell’Imam Khomeynî –
di Y. Ch. Bonaud; Ed. “Il Cerchio”, 2010, a cura di Eugenio Tabano.
Relazione per l’incontro tenutosi il 20 maggio 2010 presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (IISF) di Napoli. 
 
 
 
 
Ruhollah Khomeyni: lo “spirito di Dio” nel XX secolo
 
 
 
Il testo che qui presentiamo è la traduzione italiana della prima parte dell’originale francese e tratta della formazione dell’Imam Khomeini alla hawza, scuola tradizionale di studi religiosi di Qom, e delle sue opere, specificatamente di quelle a carattere metafisico e spirituale. Esso può quindi fungere da veicolo necessario e anche compiuto in se stesso per avvicinarsi alla comprensione della sostanza più intima del pensiero che ha animato l’azione dell’Imam lungo tutto il corso della sua vita, ovvero la ricerca del Fine spirituale dell’uomo che è la Conoscenza di Dio, la quale viene messa in luce in modo esauriente nella seconda parte del testo originale. Quest’ultima è infatti una sorta di antologia tematica di testi dell’Imam, dalla quale traspare la sua visione del mondo permeata dalla conoscenza gnostica, i cui apporti tradizionali fanno confluire l’opera di Ibn ‘Arabî, quella di Mollâ Sadrâ e il corpus di Detti profetici riportati e trasmessi dagli Imam infallibili, in un insieme nel quale la vena interiore propria all’Imam Khomeini va ad estrarre la linfa d’un insegnamento vivo e profondo rivisto alla luce del suo intelletto e del suo cuore. La seconda parte dell’originale francese sarà, se Dio vorrà, tradotta in seguito a beneficio di coloro che, già introdotti al gusto delle cose spirituali e informati a sufficienza sul terreno culturale dal quale è alimentata l’opera dell’Imam, desiderassero approfondire i temi portanti dei suoi scritti e in essi e con essi il deposito sapienziale della Tradizione sciita.
Ricorderemo ora alcuni passaggi del testo che presentiamo e ci concentreremo poi, nel limite di questa breve comunicazione, su quello che secondo noi è l’insegnamento essenziale che l’Imam Khomeini ha voluto dare con le sue parole e la sua vita.
Il libro del Bonaud ci dice che sin dall’età di ventisette anni l’Imam Khomeini, commentando la preghiera “dell’alba” (du‘â’ i s-sahar) trasmessa dal quinto Imam Muhammad b. Ali al-Baqir – su di lui la Pace –, dava prova pur nella sua giovane età di acutezza spirituale e padronanza degli argomenti legati all’‘irfân (gnosi); due anni dopo compare la “Lanterna della guida verso la Luogotenenza (khilâfa) e l’Amicizia-Prossima (walâyah)”, alla quale seguiranno i “40 hadith” e il loro commento, prima opera in persiano dell’Imam – completata nel 1939 –, e poi due testi sulla Preghiera rituale scritti a distanza di tre anni l’uno dall’altro: “Sirr as-salât” che è un trattato sul simbolismo esoterico della Preghiera rituale e “Âdâb as-salât”, sulle regole spirituali della Preghiera, completato nel 1942, libro, quest’ultimo, che il Bonaud considera l’opera più matura ed equilibrata, profonda e nel contempo comprensibile che l’Imam abbia scritto. Nel 1944 arriviamo all’ultimo dei grandi scritti gnostici dell’Imam, il “Commento dell’hadith delle armate dell’Intelligenza e dell’Ignoranza” (considerate da un punto di vista cosmico più che meramente umano), quando ‘la penna gli si era disseccata’ nella mano ed egli era stato riportato al ‘dominio della molteplicità’ nel quale poi aveva operato come tutti sanno, nell’interesse del popolo iraniano e di tutta la comunità islamica. Ma il fatto che gli scritti a impronta speculativa fossero terminati non aveva comportato l’esaurimento della visione gnostica del cuore né il gusto gnostico che la animava e l’Imam, oltre a continuare a scrivere testi di ordine giuridico, darà poi prova nell’insegnamento, negli interventi pubblici, negli scritti minori e nei suoi versi di essere legato al canapo della Conoscenza di Dio che l’Altissimo elargisce ai suoi prediletti. A comprova di ciò suggeriamo la lettura di scritti quali le lettere, “La più grande lotta o guerra santa maggiore”, oltre al “Commento alla sura Aprente” (Fâtiha) – cinque letture settimanali date alla televisione dopo il suo ritorno in Iran, il 1° febbraio 1979, che sono datate tra il 17 dicembre dello stesso anno e l’11 gennaio 1980, e che si possono leggere integralmente in lingua inglese nel libro di H. Algar, “Islam and Revolution” –.
Nel libro da noi tradotto i vari testi qui citati sono sommariamente descritti nei loro contenuti con il riporto di alcuni passaggi significativi che servono sicuramente a farsi un’idea generale, ma nel contempo precisa, della produzione scritta dell’Imam Khomeini che tocca, a parer mio, una particolare vivezza nelle lettere (scritte negli anni ’80) e nei versi citati a fine libro, che danno, anche a chi li sente per la prima volta, un assaggio del gusto gnostico che ha irrorato la penna dell’Imam sino al suo ritorno a Dio, il 3 giugno 1989.
Ci fa piacere qui ricordare cosa disse in tale occasione un’altra personalità che tanto peso ha avuto nella storia del ventesimo secolo, ovvero Papa Giovanni Paolo II:
“Davanti alla morte dell’Ayatollah Khomeini, un leader politico e religioso del suo popolo, è necessario porsi in atteggiamento di grande rispetto e di profonda riflessione, su ciò che egli è stato e su ciò che egli ha fatto per il suo paese e per una parte considerevole del mondo”.
Parole sicuramente poco conosciute ma da tener presenti per chi s’accostasse, in queste latitudini, alla figura dell’Imam.
Ritornando alla parte sulla formazione, è di notevole interesse il poter vedere cosa e come si insegna alla hawza [1], istituzione tradizionale e religiosa che tanta presa ha avuto nell’ambiente circostante non mancando di determinare anche scelte sociali e politiche di non poco conto nella storia dell’Iran.
Nel capitolo sulle discipline intellettuali[2] incontreremo la figura di Mollâ Sadrâ e della sua scuola, dei ragguagli sulla sua opera principale, gli “Asfâr” (i “Quattro viaggi intellettuali” o “Quattro viaggi della realizzazione spirituale”), e lo “Sharh al-manzûma” di Sabzewârî, che si può considerare come un’autentica sintesi degli Asfâr.
Affrontando poi le discipline spirituali (‘irfân, gnosi), incontreremo l’introduzione di Qaysarî al suo “Commentario dei Fusûs al-Hikam” d’Ibn ‘Arabî, che è l’opera fondamentale per l’insegnamento dell’‘Irfân in Iran e che fu la base degli studi dell’Imam in questo dominio, e incontreremo anche la figura di M.H. Shâhâbâdî e vedremo il peso che quest’ultimo ebbe sulla formazione dell’Imam Khomeini e sulle sue idee come quella sulla Fitrah, per esempio, la natura innata dell’uomo.
D’importanza secondo me notevole è il capitolo sulla gnosi operativa e sulla differenza tra l’approccio sciita e quello più prettamente sufi, diversità che andrebbe ben approfondita perché in essa si cela il segreto della Walâyah (Amicizia Prossima).
Riportando la nostra attenzione all’inizio del libro, nella sua introduzione ci viene spiegato l’intento principale del testo, le difficoltà attraversate nella sua stesura e pubblicazione, gli studi insufficienti fatti dagli studiosi sull’Imam Khomeini e sono enumerati i temi principali della sua opera; quello sul quale si concentrerà il Bonaud, ovvero il fine della ricerca spirituale che è la conoscenza di Dio, ma anche gli altri che animano gli scritti dell’Imam, ovvero il pellegrino della Ricerca, la Via con le sue condizioni, i suoi ostacoli e il suo percorso, e infine il veicolo che permette di percorrere questa via, ovvero la Preghiera rituale, rito assiale dell’Islam che sintetizza con il suo simbolismo tutti i segreti metafisici e iniziatici. Nell’introduzione albeggia la lettera inviata dall’Imam a Gorbaciov che dà la misura di quanto la radice gnostica della visione dell’Imam s’inscrivesse nel mondo e nelle vicende del XX secolo. Essa dimostra, come dice Bonaud, che:
“Tutto l’interesse dell’Imam Khomeini era diretto alla metafisica e alla realizzazione spirituale. Perciò il “modernismo” non poteva aver alcun senso per lui, poiché la metafisica e la spiritualità non appartengono al mondo del cambiamento: c’è una verità eterna, parzialmente accessibile all’intelligenza attraverso la meditazione filosofica e soprattutto per mezzo della gnosi, una verità trascendente a cui chiama e conduce la Parola di Dio, una verità che si tratta di conoscere e di vivere attualmente, nel mondo d’oggi. Non vi è altro rapporto con la modernità. L’Imam fu in senso stretto un uomo della tradizione, della quale egli si riteneva testimone nel suo secolo, e non un uomo del secolo che avrebbe voluto modernizzare la tradizione.”
Rilevazione molto puntuale di Ch. Bonaud è inoltre - nell’introduzione - quella fatta sull’opera di M.A. Amir-Moezzi e su una certa modalità di affrontare l’impegno degli Imam infallibili nel mondo, nella storia e nella società, e le valenze politiche o meno del loro agire.
In effetti a parer nostro è da considerare - pur riconoscendo l’importanza dell’opera di Moezzi, “Le Guide Divin dans le Shî‘isme Originel”, [3] e di quanto in essa detto riguardo le radici dell’esoterismo all’interno dell’Islam - che, qualsiasi cosa uno studioso voglia mettere in luce riguardo l’insegnamento e la vita degli Imam immacolati, il suo giudizio non dovrebbe risentire oltre misura dei limiti propri alla sua capacità di visione ed egli non dovrebbe comunque racchiudere il proprio dovere d’oggettività intellettuale nei limiti angusti dei propri “pre-giudizi” colti, che arrivano magari a far corrispondere (in un altro testo e in un altro studio[4]) la concezione dell’Imam Khomeini - tornando al soggetto specifico del nostro testo - a quella dei Fratelli Mussulmani.
E questo ci richiama alla distinzione tra chi parla delle cose attinenti alla spiritualità con cognizione di causa, e chi invece ne tratta “dall’esterno”, senza avere colto l’essenziale attraverso quell’intuizione intellettuale che sola può far discriminare il vero dal falso, dando poi senso reale all’azione di chi la realizza, sia egli uno studioso, un religioso o un metafisico.
L’Imam Khomeini sapeva perfettamente che la sapienza acquisita con lo studio non supplisce in alcun modo alla mancanza della conoscenza sacra, ovvero quella derivata dalla “Visione del Suo Volto che non perisce” con tutto ciò che da essa consegue; egli sapeva che solo tale conoscenza rende la Parola veridica rendendola “prossima”, pur negli statuti diversi della funzione propria ad ognuno, a quella dei Profeti e degli Imam infallibili, senza che però ovviamente vi sia identità. Tale è il caso di ogni ‘arif (gnostico) compiuto, ovvero che abbia l’intelletto in atto, dal quale – come dice Ibn Bâbûyeh[5] – dipende la pienezza della realtà umana, e che non è realizzato che da un esiguo numero di uomini. Per l’approfondimento di questi concetti estremamente importanti che chiarificano il rapporto tra l’autologia (conoscenza di Sé) e l’imamologia (conoscenza dell’Imam) prendendo a riferimento l’opera di Mollâ Sadrâ, rimandiamo alle parole di Henry Corbin riportate in nota alla relazione[6].
Possiamo allora dire che la visione dell’Imam Khomeini nelle sue parole viveva perché era vissuto il suo occhio interiore di fronte al suo Signore, nei modi che solo la conoscenza di Dio conosce e il cui segreto è ben nascosto agli occhi dei curiosi e degli “esperti” di ogni tipo. Da ciò la ragion d’essere del titolo del libro del quale consigliamo la lettura a tutti e soprattutto a coloro che sono animati dalla necessità della Ricerca spirituale della Conoscenza di Sé.
Per introduzione ad essa mi si permetta di segnalarvi un altro testo – curato come quest’ultimo a Trieste, con la collaborazione del Centro studi Tarsis, che si occupa da molti anni di far conoscere i fondamenti metafisici e spirituali della concezione sciita dell’Imamato – ovvero “La Via spirituale”, edito nel 2002 dalla Semar, con il contributo dell’Istituto culturale dell’Ambasciata della R.I. dell’Iran, contenente due scritti: la ‘Lettera al figlio’ Ahmad, dell’Imam Khomeini e uno studio sull’‘irfân di M. Motahharî[7].
A completamento del nostro breve intervento, daremo solo alcuni estratti dal testo del Bonaud che ci sembrano fornire un buon viatico all’accostamento al cuore della visione gnostica dell’Imam Khomeini: due sono tratti da lettere inviate dall’Imam a sua nuora Fateme Tabatabai, moglie di suo figlio Ahmad, il terzo è invece un passaggio del colloquio spirituale del mese di sha’ban, spesso citato dall’Imam Khomeini, il solo a sua conoscenza del quale è detto che tutti gli Imam Infallibili lo recitavano.
Iniziamo con le lettere:
«Ora, sul pendio del Purgatorio (barzakh) o dell’Inferno, io sono alle prese con gli agenti di Sua Eccellenza l’Angelo della morte e domani mi sarà presentato il foglio nero delle mie opere e mi sarà chiesto conto della mia vita sprecata e io non ho risposta salvo la speranza nella misericordia di Colui la cui misericordia abbraccia tutte le cose [riferimento a Cor. 7.106] e che ha rivelato «non disperate della misericordia di Dio! In verità Dio perdona tutti i peccati» (Cor. 39.53) a colui che è «misericordia per i mondi» (Cor. 21.107) [cioè il Profeta Muhammad, che Dio preghi su di lui e la sua famiglia]. Anche a supporre che tali nobili versetti mi riguardino, che ne sarà dell’ascensione verso il dominio riservato della Gloria divina (harîm-e kebriyâ’), la salita verso la vicinanza dell’Amico e l’entrata nell’ospitalità di Dio, che devono essere raggiunte attraverso il suo proprio cammino? Nella mia giovinezza, quando avevo ardore e capacità, per le astuzie di Satana e del suo agente, l’anima che incita [al male] (nafs-e ammâre, vedere Cor. 12.53), io mi sono distratto e dilettato con concetti e termini tecnici pieni di orpelli dai quali non è risultata né tranquillità, né stato spirituale e mai io mi sono preparato ad acquisirne lo spirito e a ricondurre il loro essoterico al loro esoterico e il molk [della loro apparenza] al malakût [della loro realtà essenziale]:
Dei “si dice” ed “egli dice” dell’aula nulla è rimasto,
salvo, dopo tanto baccano, delle parole che spezzano il cuore.
Mi sono talmente impegnato nelle profondità dei termini e delle considerazioni e occupato ad accumulare libri piuttosto che togliere dei veli, che si sarebbe potuto dire che in tutto l’universo non vi fosse null’altro che un pugno di foglietti usati che, in nome delle scienze umane, delle conoscenze divine e delle realtà filosofiche, hanno allontanato dal fine e imprigionato nel più grande velo lo studioso plasmato dalla natura umana essenziale data da Dio (fitrah Allâh). I Quattro viaggi, in lungo e in largo, m’hanno distolto dal viaggio verso l’Amico; dalle Aperture [meccane] nessuna apertura mi è venuta e dai Castoni della saggezza nessuna saggezza, senza nemmeno parlare degli altri libri che hanno anche la loro triste storia.»[8] (Bâde-ye ‘eshq, p. 9-11; “La coppa dell’Amore”, 1988). (Pag. 157)
Continuiamo con il secondo:
«Figlia mia, sforzati per togliere i veli, non per raccogliere dei libri (dar raf‘-e hojob kûsh na dar jam‘-e kotob). Supponiamo che tu abbia trasportato dei libri filosofici e gnostici dal bazar alla casa o da un luogo a un altro, o ancora che tu abbia fatto di te stessa un deposito di parole e di termini tecnici, che tu faccia uscire tutto ciò che hai nel tuo sacco durante le riunioni e i ricevimenti, soggiogando i partecipanti con le tue conoscenze, e che per un’astuzia di Satana e dell’anima che incita [al male] (nafs-e ammâre, vedere Cor. 12.53), più ancora perversa di Satana, tu abbia [così] appesantito il tuo fardello e tu sia così divenuta per un gioco del Diavolo una bambola da salotto (majlesârâ) e che [allora], a Dio non piaccia, la vanità della scienza e della conoscenza ti possegga – ed essa lo farà –, con tale quantità di fardelli, avrai aggiunto o tolto dei veli? Dio ha rivelato il nobile versetto «coloro che abbiamo caricato della Torah [poiché non hanno assunto il loro carico sono come l’asino che porta dei libri]» (Cor. 62.5) per risvegliare i sapienti, alfine che essi sappiano che immagazzinare delle scienze – fossero anche quelle delle leggi divine e della dottrina dell’unità divina – non diminuisce i veli, ma li aumenta e fa passare da dei veli sottili a dei veli spessi. Io non ti dico di fuggire la scienza, la gnosi e la filosofia e di passare la tua vita nell’ignoranza, poiché sarebbe una deviazione, io ti dico di fare tutti i tuoi sforzi affinché il tuo movente sia divino, per l’Amico […]».
Quel che sia, i libri filosofici, in particolare quelli dei filosofi dell’Islam, e i libri dei mistici e degli gnostici (ahl-e hâl-o ‘erfân) hanno ognuno un effetto [proprio]: i primi fanno familiarizzare l’uomo con il dominio metafisico non fosse che mostrando un panorama; i secondi, particolarmente alcuni fra di essi come il Manâzel as-sâ’erîn e Mesbâh ash-sharî‘e
[9] – che è, sembra, di uno gnostico che l’ha scritto sotto forma di una trasmissione attribuita a [l’Imam] Sâdeq – preparano i cuori per giungere all’Amato. Ma ciò che tocca di più il cuore, sono i colloqui intimi e le preghiere degli Imam dei musulmani, che sono delle guide verso il fine, non degli indicatori: essi prendono la mano dell’uomo in ricerca della Realtà divina e lo portano verso di Essa [...]». (Pag. 94)
E concludiamo con l’invocazione che l’Imam Khomeini era solito recitare:
«O mio Dio! donami di potermi consacrare pienamente a Te e illumina gli sguardi dei nostri cuori con lo splendore d’uno sguardo verso di Te, alfine che gli sguardi dei cuori attraversino i veli di luce e pervengano alla sorgente dell’Immensità; che i nostri spiriti [allora] siano [infine] ricollegati all’onnipotenza della Tua santità. O mio Dio! fai di me qualcuno che Tu chiami e che risponde al Tuo richiamo, qualcuno che Tu guardi e che cada fulminato in ragione della Tua maestà, qualcuno che, nell’intimità, goda dei Tuoi colloqui e che, pubblicamente, non faccia che operare per Te.» (Pag. 108)
Di queste parole derivate dalla fonte sempreviva della Realtà essenziale della Famiglia del Profeta (Haqîqa muhammadiyya), l’Imam portò per tutta la sua vita testimonianza, richiamando gli uomini a ridiventare il loro Sé autentico conoscendo il loro Signore e perdendo così quel costante riferimento all’ “io”, quell’amore per l’“io”, che egli considerava il loro male peggiore e, come dice Rûmî, “la madre di tutti gli idoli”. (p.152-154)
* * *
(Le indicazioni delle pagine fra parentesi si riferiscono al testo presentato)
Note:
[1] È la scuola religiosa, corrispettiva in ambito sciita della madrasa sunnita.
[2] ma‘qûl, ovvero kalâm= logica, hikma= filosofia, ecc.
[3] Le Guide Divin dans le Shî‘isme Originel, M. A. Amir-Moezzi, Verdier, Parigi 1992.
[4]Qu’est-ce que le shi’isme? ” e “Le Scî’isme doctrinal et le fact politique ”. Si veda pag. 19 del testo qui presentato.
[5] Ibn Bâbûyeh (m. 991), detto Shaykh Sadûq, fu uno fra i più grandi teologi sciiti dell’epoca; scrisse più di trecento opere e compilò famose raccolte di tradizioni (hadith) sciite che raccolse da testimoni contemporanei del Dodicesimo Imam.
[6] Da “Les Penetrations Metaphysiques”, traduzione francese del Kitâb al-Mashâ’ir di Mollâ Sadrâ a cura di Henry Corbin, Verdier 1988, nota 122:
«Il ciclo dell’essere, cioè il ciclo del Mabda’ e del Ma’âd, composto dei due archi della discesa (nozûl) e della risalita (so’ûd), questo ciclo è compiuto ogni volta che un essere umano, sviluppando e radicando in sé stesso l’intelletto in atto, raggiunge il grado dell’Intelligenza agente cioè dello Spirito Santo. Ora il paragrafo 147 ci ha ancora ricordato che lo Spirito-Santo non è una creatura, che egli è l’‘âlam al-Amr, l’imperativo creatore, l’imperativo attivo o meglio: il ciclo del ritorno si compie in ogni individualità spirituale che raggiunge l’unione con l’Intelligenza che è lo Spirito-Santo. Il ciclo generale del ritorno risulta dal compimento del ritorno nell’individualità di ogni spirituale. Si trova altrove anche, nella gnosi sciita (nel commentario di Shamsoddîn Lâhîjî sul “Roseto del mistero” di Mahmûd Shabestarî) l’idea del ciclo della haqîqat che si compie in ogni ‘ârif, per il fatto che la haqîqat si trasmette da uno all’altro; questo compimento significa il passaggio, nel microcosmo individuale, dal ciclo della nobowwat (profezia) al ciclo della walâyat (iniziazione). Cf. “Trilogia ismailita” terzo trattato, [...] e pp.75-78 della parte francese.
Tentiamo di ricapitolare ciò che ci insegna l’insieme del nostro testo e dei testi ai quali abbiamo fatto richiamo nelle nostre note.
Mollâ Sadrâ ci ha ricordato precedentemente (§ 135) seguendo il testo di Ibn Bâbûyeh, che l’intelletto in atto, dal quale dipende la pienezza della realtà umana, non è realizzato che da una minoranza (un esiguo numero di uomini). Egli ci ha ricordato che questo intelletto in atto o intelletto acquisito, corrisponde, nel lessico della pneumatologia, allo Spirito della Fede (Rûh al-îmân), il quale è quello del credente fedele. Al di sopra di questo Rûh al-îmân c’è lo Spirito-Santo (Rûh al-Quds), il quale è impartito in proprio agli Awliya Allâh, gli Amici amati da Dio, cioè i Profeti, gli Imam e tutti coloro che, per l’adesione del loro cuore, partecipano della walâyat di questi ultimi. Ora, questo Spirito-Santo è l’altro nome dell’Intelligenza Agente; l’Angelo della Rivelazione è lo stesso Angelo della conoscenza. Se quindi la congiunzione con l’Intelligenza Agente è proposta all’‘ârif, allo gnostico, come il fine supremo attraverso il quale si compie il grande ritorno, il caso dell’‘ârif è in fondo, lo stesso di quello degli Awliyâ: la metafisica dell’essere trova il suo spogliamento nel tema per eccellenza della spiritualità sciita.
Tutta la dottrina di Mollâ Sadrâ disegna un cerchio perfetto. Bisogna che l’esistenza, l’atto d’esistere, abbia la preminenza sulla quiddità, perché si sviluppi una metafisica dell’essere, dall’atto d’esistere (wojûd) come presenza (hodûr). Senza l’intelletto in atto e l’identità del soggetto che intellige con la forma ch’egli intellige, non ci sarebbe tale presenza. Colui che realizza questa presenza, colui che è presente a, è il Testimone (shâhid e shahîd): egli è colui che Dio conosce e attraverso cui Dio conosce.
Tale fu per eccellenza, il caso dei dodici Imam. Comprendere l’imamologia sciita nei termini propri alla filosofia, è essere presente a questa testimonianza: l’Imam come Testimone di Dio è allora l’Imam interiore, l’Imam del tuo essere. Conoscere Se stessi è conoscere il proprio Imam, ed è conoscere il proprio Signore. E’ lo stato che è raggiunto dall’‘ârif nel momento della sua congiunzione con l’Intelligenza agente, lo Spirito Santo che non è più chiamato una creatura, poiché egli è l’Imperativo creatore stesso, l’Imperativo attivo»
[7] Mortazâ Motahharî (1920-1979) fu uno dei più grandi teorici dell’Islam sciita contemporaneo; allievo dell’Allamah Tabâtabâ’î e dell’Imam Khomeini, si dedicò con grande attenzione alla formazione culturale dei giovani che si trovavano ad affrontare le nuove problematiche nate dal confronto tra l’Islam e l’Occidente moderno.
[8] Il riferimento è agli Asfâr [I quattro viaggi intellettuali] di Mollâ Sadrâ, alle Futûhât al-Makkiyya [Le aperture meccane] e ai Fusûs al-hikam [I castoni della saggezza] di Ibn 'Arabî, che sono testi fondamentali per l’insegnamento dell’‘irfân.
[9] Manâzil as-sâ'irîn [Le tappe del pellegrino] di Khwâje ‘Abd Allâh Ansârî, opera che tratta delle diverse tappe e stati della via spirituale del ritorno a Dio; Misbâh ash-sharî‘a [La lampada della Legge], opera attribuita all’Imam Sâdiq che comprende numerose interpretazioni dei riti e delle pratiche dell’Islam così come delle regole di buona condotta spirituale da rispettare a loro riguardo. Si veda anche la nota 49 del “Libro dei penetrali”, traduzione italiana del Kitâb al-Mashâ’ir a cura di B. Pirone, ed. a cura dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, in collaborazione con l’Istituto Culturale della R.I. dell’Iran; nota 43 dell’ed. francese, opera già citata a cura di H. Corbin.

Commenti