A 61 anni dal golpe contro Mosaddeq

Mohammad Mosaddeq, premier iraniano fino all'agosto del '53
 
 
 
 
Ali Reza Jalali
I nordamericani sono storicamente ossessionati da un eventuale avvicinamento tra Mosca e Tehran; al riguardo Eisenhower, negli anni ’50, quando in Iran era primo ministro Mosaddeq, che aveva nazionalizzato il petrolio iraniano, disse chiaramente: “Se Mosca e Tehran dovessero avvicinarsi, non vi sarebbe più un solo posto sicuro sulla faccia della terra per i paesi occidentali”. Il crollo dell’URSS non ha modificato l’obiettivo vero degli USA nel continente eurasiatico, ovvero l’accerchiamento geopolitico della Russia. In un contesto del genere l’Iran ha un ruolo importante, in quanto se la Repubblica Islamica si alleasse con la Russia, gli USA non riuscirebbero a completare l’accerchiamento di Mosca da sud, in Medio Oriente, dopo che il crollo del blocco socialista nel vecchio continente ha proiettato la NATO a ovest dei confini russi.
 
A 61 anni dal golpe che destituì il governo Mosaddeq (agosto 1953) quindi, la situazione rimane sempre la stessa: l’Iran, come conferma anche Zbigniew Brzezinski nel suo celebre saggio del 1997 The Grand Chessboard è un pivot geopolitico, ovvero uno spazio geografico e statuale non importante per la sua potenza economica o militare, ma fondamentale per arginare l’espansione di una grande potenza, in questo caso la Russia. Alcuni strateghi nordamericani, quelli meno legati ai gruppi di pressione vicini a Tel Aviv, hanno spesso messo in guardia i dirigenti politici di Washington riguardo a non esasperare le relazioni con Tehran, soprattutto dopo il 1979 e la caduta dello Shah. Senza un Iran filoamericano la Russia non potrà mai essere estromessa dallo scacchiere vicinorientale. Il ruolo dell’Iran in ciò è molto simile a quello di un altro pivot geopolitico, ovvero l’Ucraina; allontanare Kiev da Mosca vuol dire, sempre secondo Brzezinski, estromettere la Russia dall’Europa, relegando o per meglio dire degradando il paese che fu degli Zar da impero eurasiatico a impero asiatico, coinvolgendo la Russia in un processo tipico delle potenze orientali, ovvero instabilità, guerre civili e tensioni etnico-confessionali.
 
 
Dwight D. Eisenhower, presidente USA durante il colpo di Stato in Iran
Nel 1953 il colpo di Stato finanziato e sostenuto dalla CIA contro Mosaddeq, premier iraniano che poteva forse rendere più indipendente la nazione persiana dalle potenze occidentali, ha ritardato di circa 25 anni gli eventi del febbraio del ’79, quando gli USA e l’Occidente dovettero dire definitivamente addio alla loro egemonia politica su Tehran. Quel golpe fu la realizzazione dei piani americani riguardo all’Iran, ovvero sfruttare la posizione geografica del paese per ostacolare l’espansionismo sovietico in Medio Oriente. D’altronde non possiamo nemmeno negare che anche il partito comunista iraniano, filosovietico, nella fase finale del governo di Mosaddeq, decise di abbandonare il leader nazionalista, cosa che fecero anche gli esponenti della fazione religiosa, guidata dall’Ayatollah Kashani. Mosaddeq prima del golpe, era orami stato abbandonato da tutti i suoi alleati, sia a destra che a sinistra, e anche questo favorì l’azione di una parte dell’esercito fedele allo Shah e vicina agli occidentali. Sul perché di questo isolamento finale di Mosaddeq gli storici e gli studiosi iraniani si interrogano ancora oggi, alcuni dando la colpa allo stesso Mosaddeq, altri invece contestando i suoi alleati, soprattutto i religiosi.
Ad esempio Pirouz Mojtahedzadeh, uno dei principali geopolitici iraniani, con una importante carriera accademica nel mondo anglosassone, ritiene che la colpa principale di tutto sia da attribuire a Mosaddeq, incapace di gestire un governo di unità nazionale e in realtà nemmeno tanto interessato alla nazionalizzazione del petrolio, motivo fondante delle tensioni tra Iran e Occidente durante il suo governo. Infatti, nonostante la formale nazionalizzazione del petrolio, ancora per tanti anni i maggiori guadagni andavano in tasca alla multinazionali e non al governo di Tehran, dimostrando nei fatti un processo di nazionalizzazione più formale che reale.
Ayatollah Kashani, deputato e principale leader politico-religioso iraniano negli anni '50 
 
 
 
Di parere diverso Abdolreza Davari, esperto di economia e consulente dell’ex presidente iraniano Ahmadinejad, il quale ritiene che furono i religiosi guidati da Kashani ad aprire la strada al golpe e non gli errori di Mosaddeq. Secondo Davari i religiosi avevano avuto paura dell’eccessivo potenziamento nel paese della figura di Mosaddeq dopo la nazionalizzazione del petrolio, che aumentò l’apprezzamento popolare per il premier nazionalista. La fuga momentanea dello Shah poi, un breve esilio a Roma, poteva aprire la strada all’istaurazione della repubblica e all’abolizione della monarchia; in ciò Kashani avrebbe riscontrato un tentativo di promuovere un modello istituzionale laico, visto che in ogni caso il sovrano era, anche per costituzione, legittimato dal potere religioso prima e dal popolo poi. I religiosi iraniani di allora vedevano la repubblica come un modello di importazione occidentale, laico, massonico e blasfemo, in contrapposizione alla monarchia tradizionale e legittimata da Dio.
Inoltre Mosaddeq si rivelava molto indifferente ai richiami della casta religiosa, soprattutto per via del suo credo nazionalista, che gli imponeva di essere prima iraniano e poi musulmano. Si narra che Kashani fu particolarmente infastidito dall’indifferenza di Mosaddeq nei confronti dei richiami a contenere e perseguitare i bahai, setta ritenuta ereticale da parte dei sapienti musulmani. Sembra che in un colloquio privato Mosaddeq avesse detto a Kashani di non preoccuparsi della religione di appartenenza degli iraniani, in quanto un leder nazionale è al servizio di tutti i cittadini, a prescindere dal credo spirituale di ciascuno.
 
 
Tutto ciò portò i religiosi a considerare in ogni caso il ritorno dello Shah, nonostante non mancassero argomenti di critica anche nei confronti della monarchia, come un male minore rispetto alle mire repubblicane e laiche di Mosaddeq. Addirittura Kashani in una delle prime sedute del parlamento iraniano dopo il golpe e il ritorno dello Shah, disse apertamente di apprezzare la caduta di Mosaddeq, così come il ripristino del ruolo del monarca a guida del paese.
Mohammad Reza Pahlavi, sovrano iraniano dagli anni '40 al 1979
Il contesto interno quindi si sovrapponeva al contesto internazionale, creando le condizioni affinché la Persia tornasse a giocare un ruolo di contenimento rispetto all’espansionismo russo e al comunismo internazionale, nemici comuni di Washington e dei religiosi guidati da Kashani. In tutto ciò rimangono molte ombre per ciò che concerne anche i comunisti e i nazionalisti di sinistra iraniani: essi, esattamente come i religiosi, inizialmente supportarono la battaglia per la nazionalizzazione del petrolio guidata da Mosaddeq, ma poi non si opposero al golpe. Alcuni studiosi ritengono che ciò sia dovuto al fatto che gli USA e l’URSS avessero tutto sommato trovato un accordo riguardo alla spartizione del potere in Iran. Non a caso, nonostante il colpo di Stato e la forte propaganda anticomunista del governo iraniano dopo il ’53, l’URSS in poco tempo diventerà un ottimo partner commerciale dell’Iran, fondando, ad esempio, l’industria pesante iraniana: le acciaierie di Isfahan infatti, operative ancora oggi (rappresentano il secondo polo siderurgico del Vicino Oriente dopo la Turchia), furono istituite dai sovietici negli anni ’60.  

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