Alla radice delle ossessioni arabo-saudite

di Federico Petroni
Casa Sa‘ûd poggia su fondamenta da sempre incerte e contestate. Il peso dell’islam puritano e gli usi della rendita energetica. La manipolazione dei clienti, andata e ritorno. La svolta del 1979 e l’interminabile scontro con l’Iran.

Carta di Francesca La Barbera
«Quel che conquistammo con la spada, lo conserveremo con la spada». Nelle parole del principe Nāyif ibn ‘Abd al-‘Azīz, sino al 2012 e per trent’anni ministro dell’Interno saudita, sta una delle chiavi per leggere la storia di casa Sa‘ûd.




Forse la più interessante per ricostruire le geopolitiche trascorse e attuali della famiglia che, all’alba del secolo scorso, iniziò a unire gran parte dello spazio arabico a fil di sciabola e Corano. E oggi veglia sulla più ricca manna petrolifera al mondo, oltre che sulle due sante moschee di Mecca e Medina.
 
Eppure si percepisce debole, forziere prigioniero di se stesso, non controllando gli stretti che lo connettono al mondo - Suez, Hormuz, Bāb al-Mandab. Per di più ancorato in uno spazio mediorientale spazzato dalle guerre di successione dell’impero ottomano, fra primavere mai sbocciate, colpi di Stato continui, jihād in via di recrudescenza e alleanze scritte sulla stessa sabbia di cui sono fatti i confini.
 
La sopravvivenza è la preoccupazione costante dei Sa‘ûd, la precarietà la cifra della loro mentalità. Al punto da inscrivere quelle stesse spade nello stemma nazionale (familiare?), sotto al simbolo della prosperità, la palma da dattero (figura). L’ossessione saudita per la sicurezza deriva da tre consapevolezze.
 
In primo luogo, il regno - più che lo Stato - è fragile. Confederazione di clan e segmenti sociali di cui è necessario comprare l’obbedienza, l’Arabia Saudita si confronta con le spinte centrifughe di regioni diverse tra loro - e prima di oggi unite solo a sprazzi nel VII e nel XIX secolo - con una forza lavoro straniera per il 90% e con gli equilibrismi imposti dalle inconciliabili opposizioni del riformismo e del puritanesimo islamico.
 
In seconda battuta, le dispute familiari possono portare all’estinzione del regno. L’incubo è comprensibile, vista la storia dei precedenti reami e la prolificità degli attuali reali - oggi si contano circa 5 mila principi - tanto da spingere, sul letto di morte, il fondatore ‘Abd al-‘Azīz a farsi giurare dai prediletti Sa‘ûd e Fayâal che avrebbero appianato privatamente i loro dissidi.
 
Infine, le grandi potenze hanno un’influenza decisiva sulle sorti saudite, avendone causato la fine (gli ottomani nel XIX secolo), delimitato i confini (i britannici), protetto il suolo dagli assedi altrui (gli americani con Saddam) o prospettato lo smembramento (esercizio sempre in voga tra gli scenaristi d’Oltreoceano).
 
Fonte: "LIMES"

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