La vittoria di Niida Tounes e la transizione infinita in Tunisia

 
 
 
di Simone Olmati
 
 
Nonostante i timori suscitati da alcuni episodi di violenza, il voto in Tunisia si è svolto in modo ordinato e con un'affluenza che ha superato la soglia del 60% degli aventi diritto secondo i dati diffusi dal presidente dell'Instance supérieure independante pour les élections (Isie), l'organismo indipendente incaricato di organizzare le elezioni.




Considerando che uno dei maggiori timori alla vigilia del turno elettorale era proprio l'astensionismo, il dato non risulta essere così negativo, sebbene in calo rispetto alle elezioni del 2011. L'Isie non aveva ancora ufficializzato la vittoria di Nidaa Tounes, quando alcune agenzie hanno dato in testa la formazione laica già dalle prime ore di lunedì con circa il 38% dei voti e un totale di 84 seggi su 217. Staccato di circa 9 punti percentuali Ennahda, principale sfidante della coalizione laica uscita vincitrice dal verdetto delle urne.

Più che nel risultato, la vera novità è stata la capacità di concertazione tra le due principali forze politiche che ha portato ad approvare la Costituzione, a garantire un voto democratico e infine a permettere l'alternanza al potere per via elettorale.
 

Chi vince e chi perde

Non si può certo dire che il trionfo di Nidaa Tounes fosse atteso prima del voto. Molti sondaggi davano infatti in testa il partito islamista Ennahda che si era presentato alle elezioni con una veste rinnovata nei volti e nella comunicazione. Nonostante il sostanziale fallimento delle sue politiche e l'abbandono forzato dell'esperienza di governo nel corso del 2013, Ennahda ha provato a conquistare l'Assemblea puntando su nuove candidature e su un linguaggio moderato.

Tuttavia, i risultati ottenuti negli oltre due anni al governo (da novembre 2011 a gennaio 2014) non hanno certo giovato al buon esito elettorale di Ennahda. L'economia versa in serie difficoltà, con un tasso di disoccupazione elevato e scarse opportunità per i giovani. Difficile per gli islamisti scrollarsi di dosso le responsabilità di una simile situazione. Inoltre, è ben viva nella società civile la memoria degli omicidi politici di Chokri Belaid e Mohammed Brahmi, avvenuti nel corso del 2013, sotto il governo guidato proprio da Ennahda, accusato di troppa indulgenza verso i movimenti salafiti.

La sconfitta degli islamisti moderati eclissa lo straordinario risultato ottenuto soltanto tre anni fa, dopo la rivoluzione dei gelsomini che aveva portato alla destituzione dell'ex presidente Ben Ali. Ennahda non è riuscita in questi anni a capitalizzare il 40% dei consensi conquistato nel 2011, sprecando un vantaggio che le avrebbe consentito di essere un punto di riferimento per l'Islam politico nordafricano, evidentemente sofferente alla prova del potere.

Sull'altro versante, i vincitori. Nidaa Tounes, partito fondato nel 2012 dall'ottuagenario prossimo candidato alle presidenziali Béji Caïd Essebsi, si è imposto come la formazione del tanto desiderato cambiamento. Oltre a sicurezza ed economia, l'attenzione a temi quali i diritti civili, la parità di genere e l'istruzione laica di “bourghibiana” memoria hanno convinto molti tunisini ad accordare fiducia al partito di Essebsi, in grado di incarnare allo stesso tempo l'attesa fiduciosa del futuro e l'orgoglio di un passato ormai lontano. La “Chiamata della Tunisia” - questo significa Nidaa Tounes in arabo - è stata dunque nient'altro che l'appello rivolto alla formazione laica affinché raccogliesse nuovamente le istanze scaturite dalla rivoluzione del 2011.

Impegno del governo contro la disoccupazione e la povertà, parità di genere, lotta alla corruzione e ampliamento dei diritti civili e sociali, negati durante i 23 anni del precedente regime di Ben Ali, sono i temi principali nell'agenda di Nidaa Tounes.
 

Cosa succede ora?

Nonostante i 9 punti percentuali di distacco tra Nidaa Tounes ed Ennahda, il sistema proporzionale non ha prodotto una maggioranza parlamentare. I vincitori saranno dunque costretti a cercare una convergenza con altre forze politiche. Molte di queste si sono pronunciate prima del voto a favore di un'alleanza di governo insieme al partito che avesse vinto la competizione elettorale.

Gli scenari potrebbero essere tre: la prima opzione è un governo di unità nazionale con Ennahda, il cui leader Rached Gannouchi aveva aperto alla possibilità di larghe intese con i laici se la situazione post-elettorale lo avesse richiesto. La seconda opzione è l'alleanza di Niida Tounes con il Fronte Popolare di Hamma Hammami (sinistra, ha ottenuto il 5% dei consensi stando agli ultimi dati) o con l'Union Patriotique Libre (Upl, liberali) del ricco uomo d'affari Slim Rihai, sebbene questa convergenza potrebbe non bastare a formare una maggioranza parlamentare sufficiente.

Non è esclusa, a questo punto, una terza possibilità: un nuovo incarico al primo ministro uscente Mehdi Jomaa che ha guidato la transizione fino alle elezioni di domenica scorsa e potrebbe continuare a farlo in attesa delle presidenziali del 23 novembre, per le quali Essebsi è dato come favorito. La prima mossa spetta ora al presidente Moncef Marzouki, che entro una settimana dovrà indicare il premier incaricato.

Senza dubbio il processo elettorale si è svolto nel rispetto del multipartitismo e delle regole democratiche e la Costituzione tunisina è riconosciuta come una delle più progressiste del mondo arabo.

La prudenza, tuttavia, è d'obbligo. Più di una volta le categorie occidentali si sono rivelate tanto manichee quanto inadeguate, in particolare nelle analisi delle cosiddette primavere arabe. Sostenere che l'islamismo in Tunisia sia stato democraticamente messo all'uscio potrebbe essere un azzardo che non tiene conto di molti fattori, a partire dalle mille sfaccettature dello stesso mondo islamico tunisino.

A questo proposito basti considerare due contraddizioni che dovrebbero mettere in guardia da conclusioni affrettate. La prima è che Niida Tounes, oltre a costituire la novità laica sul panorama politico tunisino, rappresenta il ritorno per via elettorale di alcuni dei cosiddetti "benalistes", vicini all'ex raìs. È il caso di Kamel Morjane e Abderrahim Zouari, entrambi ministri durante il passato regime. La seconda è che la democrazia più avanzata del mondo arabo è allo stesso tempo il paese da cui circa 4 mila giovani sono partiti per unirsi ai combattenti dello Stato Islamico, il numero più elevato dell'intero mondo arabo.




Il nuovo governo dovrà tenere conto (più di quanto non abbiano fatto finora le cancellerie occidentali) di queste contraddizioni e delle istanze del paese più profondo per portare a compimento in modo sostanziale - e non soltanto formale - le aspirazioni della rivoluzione dei gelsomini.
 
 
 

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