Avicenna, padre della medicina moderna

 
 
 
Massimiliano Manzotti
 
Oggi tutta la letteratura medica si avvale di una metodologia basata sulle evidenze. Cioè tutte le ricerche e gli studi pubblicati nel mondo devono rispondere a canoni rigorosamente scientifici sulla base, per intenderci, del “metodo galileiano”. Secondo la dizione anglosassone si parla di “evidence based medicine” (EBM), termine di origine recente, siamo agli inizi degli anni ’90, tuttavia le sue radici si sono svilupatte in tempi remoti. Alcuni epistemologi sostengono che già nell’11° secolo Avicenna aveva formulato un approccio molto simile ai principi moderni a cui oggi si ispira la pratica clinica. Ibn Sinā, alias ‘Abū Alī al-Ḥusayn ibn ‘Abd Allāh ibn Sīnā o Pur-Sina, più noto in occidente come Avicenna (Balkh 980 – Hamadan 1037), è stato un medico, filosofo, matematico e fisico persiano. Scrisse circa 250 opere su molti argomenti, alcune di queste sono estese enciclopedie di tutto il sapere incluso nella filosofia, o di quello medico nel caso del Qānūn. Fu una delle figure più note nel mondo islamico della sua epoca.
 
In Europa Avicenna diventò un’importante figura medica dal 1200 grazie alla Scuola Madica Salernitana. Ai nostri giorni la medicina basata sull’evidenza è intesa come “applicazione delle migliori evidenze disponibili nella cura dei singoli pazienti, utilizzando stime matematiche di probabilità e di rischio-beneficio”. Ciò vuol dire che per scegliere le terapie, valutare la qualità delle cure e l’attendibilità degli esami per ottenere una diagnosi e la cura conseguente debba essere, in linea di principio, compatibile con il metodo scientifico. I punti cardine su cui si fonda l’EBM sono essenzialmente cinque e partono dalla formulazione di un quesito clinico, cercando la migliore evidenza disponibile, con un atteggiamento critico dell’evidenza, applicando e valutando di volta in volta efficacia ed efficienza dell’azione svolta. Tutto questo può sembrare complicato, ma tale sequenza era già ben presente ad Avicenna che nel suo “Canone della Medicina” adottò, di fatto, i test di efficacia. Le regole contenute nel Canone creavano appunto le condizioni per un uso sperimentale dei farmaci, attraverso la promozione di studi controllati e la scoperta e valutazione delle prove di efficacia delle singole sostanze terapeutiche utilizzate nella pratica clinica. Avicenna aveva infatti stabilito sette regole per una corretta valutazione dei farmaci impiegati:
 
1) il farmaco deve essere esente da effetti collaterali del tutto accidentali
 
2) esso deve essere utilizzato in malattie semplici, non complesse
 
3) il farmaco deve essere testato in due differenti patologie, in quanto è possibile che sia utile nella cura di una malattia per le sue qualità intrinseche, ma anche di un’altra malattia per proprietà del tutto accidentali
 
4) le caratteristiche del farmaco devono essere corrispondenti alla gravità della malattia curata
 
5) occorre valutare il tempo di inizio della azione in modo da non confondere tra loro proprietà intrinseche e/o accidentali
 
6) l’effetto del farmaco va confermato in casi molto numerosi, se non addirittura costantemente
 
7) la sperimentazione va effettuata nell’uomo (“testare un farmaco in un leone o in un cavallo non prova nulla circa il suo effetto sull’uomo”).
 
Si ritiene che queste sette regole costituiscano le basi della moderna farmacologia e dell’approccio investigativo utilizzato oggi nella pratica clinica. Ma l’eredità di Avicenna è ancor più estesa, avendo il suo pensiero influenzato l’evoluzione del ragionamento clinico attraverso alcuni riferimenti chiave:
 
il “consenso unanime”’ (contenuto nella dottrina Ijma)
 
la logica ipotetica e la teoria dei segni (proposte originariamente dalla scuola stoica)
 
il ragionamento induttivo.
 
È per questi motivi che dobbiamo essere grati a questo grande pensatore, così come ci viene proposto da un recente articolo pubblicato su una importante rivista cardiologica. (Shoja MM et al. Legacy of Avicenna and evidence-based medicine. Int J Cardiol 2011; 150: 243-246)
 
 

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