Siria, caccia iraniani in azione in appoggio alle truppe governative

SIRIA
 
 
N.B. L'autore dell'articolo non riporta la fonte della notizia usata come titolo.
 
 
A. Purgatori
 
Nella complessa partita che l’Occidente sta giocando in Irak e Siria per arginare l’avanzata dell’Isis, si è ormai stabilmente inserita anche la Repubblica islamica dell’Iran con le sue forze armate. E non è chiaro quali sono e soprattutto saranno le dimensioni di questo coinvolgimento, né fino a che punto Washington lo abbia concordato oppure subito. Sta di fatto che, nelle ultime settimane, l’aviazione da guerra iraniana avrebbe effettuato diversi bombardamenti sul territorio siriano, non contro il Califfato ma in appoggio alle truppe governative. E per il momento l’amministrazione Obama si è astenuta dal denunciare l’intrusione a sostegno del regime di Assad, per non perdere la possibilità di chiedere nuovamente a Teheran di impegnare le proprie forze armate in Kurdistan in caso di crisi, come già accaduto a giugno.
 
Se la scorsa estate la città curda di Erbil non è caduta nelle mani del Califfato, lo si deve infatti ad un’operazione segreta che ha portato sul campo i reparti d’élite della potente Quds Force a fianco dei peshmerga. Primo esperimento, riuscito, di collaborazione militare tra forze armate della Repubblica islamica, forze speciali britanniche (Sas), forze speciali e consiglieri militari americani, per impedire all’Isis di impossessarsi di quell’area strategica dove sono concentrati i più importanti giacimenti petroliferi del Kurdistan iracheno.
 
Non ci sono evidentemente conferme ufficiali né dati precisi sulle dimensioni dell’operazione, ma le indiscrezioni parlano di due battaglioni (almeno duemila uomini) inviati in territorio iracheno agli ordini del generale Qassem Soleimani che comanda la Quds Force. Un’unità creata e addestrata per compiere missioni anche fuori dai confini iraniani, che è la punta di diamante dell’IRGC, l’esercito dei Guardiani della rivoluzione, gerarchicamente alle dirette dipendenze della Guida suprema della Repubblica islamica, l’ayatollah Ali Khamenei.
 
Ufficialmente, Teheran nega e continua a ripetere che non ci sono ancora le condizioni politiche per un proprio intervento militare in territorio iracheno. Ma è ovvio che l’espansione del Califfato a cavallo tra Siria e Irak venga considerata dagli ayatollah come una minaccia per tutta la popolazione sciita irachena e per la stessa Repubblica islamica. Ed è ovvio anche che il cambio di tattica sul terreno dell’Isis – niente più divise nere individuabili dai ricognitori aerei, frazionamento in piccole squadre dei miliziani, utilizzazione dei siti civili come nascondigli – stia rendendo complicatissima, quasi al limite dell’inefficacia, la strategia dei bombardamenti dal cielo. Il che, in caso di peggioramento della situazione, renderebbe inevitabile un’altra richiesta d’aiuto all’Iran.
 
In questa prospettiva, non è affatto da escludere che questa sorta di “golden share” abbia avuto il suo peso nel negoziato infinito sul nucleare tra l’Iran e il gruppo dei 5+1 (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania) e nella concessione di un ulteriore rinvio dell’accordo al giugno del prossimo anno.
 
 

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