L’influenza della Rivoluzione Islamica iraniana sulle teorie politiche delle relazioni internazionali, in particolare riguardo alla definizione di “Islam politico”
La vittoria della
Rivoluzione islamica iraniana nel 1979 è considerata una delle più importanti rivoluzioni
politiche internazionali degli ultimi tempi. Gli effetti sulla comunità
islamica mondiale, la posizione strategica a livello internazionale dell’Iran e
l’importanza del Golfo Persico e del Medio Oriente nello scacchiere mondiale
hanno fatto sì che la Rivoluzione islamica fosse un fenomeno, un evento che non
ha riguardato solo il popolo iraniano, ma ha avuto, e ha tutt’oggi, una
influenza e una portata internazionali. Per questo motivo lo studio e l’analisi
delle cause e delle motivazioni che stavano alla base della Rivoluzione
islamica, del suo andamento e dei suoi risultati a livello di teoria e pratica
politica nel campo delle relazioni internazionali, non sono solo importanti ma
anche necessari, in particolare nel quadro degli effetti della Rivoluzione
sulle teorie internazionali. A distanza di 36 anni dalla vittoria della
Rivoluzione questo aspetto non sembra, infatti, essere stato ancora adeguatamente
esplorato.
Probabilmente la
ragione di una tale carenza di studi e ricerche su questo specifico aspetto risiede
nell’incompatibilità dei principi della Rivoluzione e dei fattori che l’hanno
portata al successo con le categorie interpretative del pensiero politico
moderno, che non riescono a spiegare in maniera esaustiva e convincente tale
evento, oppure nel rifiuto di impegnarsi in tal senso basato su una aperta ed
esplicita opposizione, nel campo delle relazioni internazionali, nei confronti
della Rivoluzione islamica stessa.
Una corrente di
studiosi e intellettuali ritiene che la Rivoluzione islamica sia priva di ogni
genere d’influenza effettiva nel campo delle relazioni internazionali, mentre
un'altra non solo afferma che questa influenza ci sia stata, ma che è stata anche
notevole. Una terza corrente è quella che ha, da una parte, approcciato la Rivoluzione
islamica attraverso la presentazione dei principi, delle dottrine spirituali,
delle norme etiche che ne stanno alla base, e solo in ultimo del suo
ordinamento politico e sociale, e dall’altra ha illustrato in che modo la
visione politica dell’Islam, il “risveglio” islamico e il rafforzamento dei
movimenti islamici hanno avuto un ruolo fondamentale nell’indebolire le stesse radici
culturali e filosofiche e le basi teoriche del pensiero politico moderno nel
campo delle relazioni internazionali e far rifiorire e rafforzare, di contro,
una visione spirituale e religiosa dell’esistenza e quindi anche della politica
stessa.
Bisogna considerare che
i legami tra le teorie delle relazioni internazionali e la Rivoluzione islamica
iraniana non sono solo diretti, bensì le idee, i pensieri e gli obiettivi della
Rivoluzione hanno prodotto dei mutamenti che hanno influenzato le relazioni
internazionali anche in modo indiretto.
Lo sviluppo degli ideali della Rivoluzione nelle relazioni
internazionali e l’Islam politico
La Rivoluzione islamica
non ha solo avuto un’influenza sulle analisi tradizionali incentrate
sull’andamento e lo sviluppo delle rivoluzioni, bensì ha anche rafforzato gli
studi sull’influenza delle rivoluzioni sulle politiche estere e le relazioni
internazionali.
Questo nuovo approccio
si è focalizzato su due aspetti della Rivoluzione islamica.
Il primo è incentrato sulla
modalità dell’influenza della Rivoluzione islamica sulla politica estera
avente come attore un “governo rivoluzionario”. Ad esempio, Fred Halliday,
attraverso l’analisi delle politiche estere dei paesi rivoluzionari, ha
studiato il ruolo delle grandi rivoluzioni nelle relazioni internazionali,
sottolineando come la più grande particolarità delle politiche estere dei paesi
rivoluzionari come la Repubblica Islamica dell’Iran è la loro internazionalità,
ossia il perseguimento di obiettivi che vanno oltre i meri interessi nazionali.
I paesi rivoluzionari, in altre parole, cercano di modificare e riformare
l’ordine internazionale vigente. Halliday pensa che la Rivoluzione islamica presenti
un aspetto di internazionalità addirittura maggiore di quello di altre
rivoluzioni come quella Russa e Francese, per cui gli obiettivi ideologici relativi
all’ordine mondiale hanno una posizione particolare nella politica estera della
Repubblica Islamica dell’Iran (cfr. F. Halliday, Revolution and world politics, Basingstoke, Palgrave, 1999).
Il secondo aspetto
studiato è la modalità dell’esportazione della Rivoluzione in altre
società e contesti culturali. Diversi studiosi hanno cercato di analizzare
l’influenza della Rivoluzione islamica, e questa letture teoriche si sono sviluppate
soprattutto intorno all’esportazione della Rivoluzione islamica e dei suoi
ideali negli altri paesi musulmani, e sono diverse le visioni e le ipotesi
analizzate e presentate relativi all’identità, al significato, al concetto, alla
politica e ai mezzi per la diffusione e l’esportazione della Rivoluzione
islamica stessa. Per chi volesse approfondire questo aspetto, ricordiamo il
libro curato da John L. Esposito e R.K. Ramazani, intitolato Iran at the
crossroads (Palgrave Macmillan, 2000), nel quale alcuni studiosi ed esperti
iraniani, europei ed americani analizzano le conseguenze e l’evoluzione della
Rivoluzione Islamica. (Cfr. Ramazani, Revolutionary
Iran: Challenge and Response in the Middle East, 1987; Esposito, The
Iranian Revolution: Its Global Impact, 1990)
Dopo la vittoria della Rivoluzione islamica, il ruolo dell’Islam
come “attore” politico che può influenzare la politica estera e le relazioni
internazionali ha subìto una forte valenza e ha causato forti “tensioni” nelle
visioni ormai consolidate che regolano le relazioni internazionali. Vediamo
quindi alcune interpretazioni e analisi del fenomeno “Islam politico”.
Secondo alcuni, l’Islam
politico si svilupperebbe dall’incapacità delle visioni principali di gestire le
relazioni internazionali, per cui esso viene considerato solamente come una
reazione meramente politica nei confronti dell’innovazione culturale e della
modernità, una ridefinizione secondaria degli interessi materiali e un
tentativo di ravvivare tradizioni ormai anacronistiche (Cfr. Elizabeth Shakman
Hurd, “Political Islam and International Relations”, American Political Science
Association, Philadelphia, September 2006).
Su questa scia lo
studioso e accademico Fred Halliday considera la nascita e l’ascesa dell’Islam
politico come un effetto del rifiuto della modernità unito a un nazionalismo politico
estremista (Cfr. F. Halliday, The
Middle East in International Relations. Power, Politics and Ideology. Cambridge: Cambridge University Press,
2005; ed. it.: Il Medio Oriente – potenza, politica e ideologia,
Vita e Pensiero 2007), e lo
scienziato politico Bassam Tibi considera l’Islam politico come una reazione all’ordine
secolare liberale dell’Occidente in un quadro di ribellione generale contro i
“valori” politici e culturali occidentali al fine di istituire un ordine
islamico internazionale (Cfr. B. Tibi, "Post-Bipolar Order in Crisis: The
Challenge of Politicised Islam." Millennium 29, no. 3 (2000): 843-860).
John L. Esposito,
invece, considera la sconfitta di ideologie secolari quali il nazionalismo e l’arabismo
come la causa principale per il ravvivamento dell’Islam politico, che tende a
presentare l’Islam come il simbolo, l’esempio, il punto di riferimento nelle questioni
riguardanti le relazioni internazionali.
Infine, lo storico Roger
Owen considera l’Islam politico come una reazione alla sconfitta delle
ideologie e delle soluzioni ambiziose del secolarismo che alcuni regimi in via
di sviluppo del mondo islamico hanno utilizzato per legittimarsi (R. Owen, State, Power and
Politics in the Making of the Modern Middle East, Routledge 2004).
In breve, elemento
comune di queste analisi è che l’Islam politico nascerebbe dalla reazione dei
paesi e delle società islamiche alla modernità e alla loro precaria situazione
politica ed economica, considerata profondamente ingiusta. Certo, è innegabile
il ruolo di questi fattori nella nascita dell’Islam politico, però non possono
essere considerati come gli unici fattori. Secondo Elisabeth Shakman Hurd, l’Islam
politico è un tentativo moderno di dialettica politica che finisce per
scontrarsi con le teorie principali presentate dal liberalismo e dal
secolarismo, che relegano la fede e il governo al di fuori dell’ontologia e
dell’epistemologia (Shakman Hurd, cit.). L’Islam però è un qualcosa di molto
più ampio, variegato e complesso che non può certamente essere così delimitato,
che può fornire dei modelli validi anche nel campo delle relazioni internazionali.
La nascita dell’Islam
politico come fattore determinante nelle relazioni internazionali mina le basi
e le visioni principali di tutte le dottrine di natura laica e secolare riguardanti
le relazioni internazionali, che in qualche modo negano l’influenza della
religione negli sviluppi e nei rapporti internazionali, anche perché nessuno di
queste visioni riconosce il ruolo fondamentale della religione nella politica
internazionale. Il paradigma “realista” classico e strutturale in generale nega
il ruolo, che a noi appare però evidente, degli elementi e delle strutture non
materiali, delle idee e delle visioni di natura religiosa e spirituale nella
politica estera e nelle relazioni internazionali. I paesi “liberi” da
influenze, valori e condizionamenti di tale natura cercano di perseguire i
propri interessi di natura meramente umana e materiale, quindi è inevitabile
che l’Islam finisca per essere considerato come un impedimento, un fastidioso
ostacolo davanti al perseguimento dei propri interessi nell’ordine
internazionale ormai scivolato nell’anarchia.
I seguaci del pensiero
liberale e del neoliberalismo istituzionale difendono valori come la “pace” e
la “democrazia” e riconoscono il ruolo indipendente dei valori nelle relazioni internazionali,
però insistono esclusivamente sui valori liberali come fattori stabilizzanti
del sistema internazionale.
La scuola di pensiero
britannica delle teorie delle relazioni internazionali, che può essere
considerata una via di mezzo tra il liberalismo e il realismo, cerca di mettere
insieme i principi e le teorie di questi due paradigmi, ma si trova comunque in
difficoltà nell’identificare e definire il ruolo dell’Islam politico. Al
contrario delle pretese e delle aspettative suscitate da questo pensiero, la
società internazionale basata sui valori comuni si trova di fatto davanti alla
sfida dell’Islam politico che si fonda su
principi e valori differenti (cfr. T. Dunne, Inventing
International Society: A History of the English School, Basingstoke, Macmillan, 1998).
Di fronte a questo
stato di cose, la presenza di diverse forme di Islam politico come fattori
importanti nella politica internazionale costituisce l’occasione buona per rivedere
e riformare i principi e le ipotesi su cui si basano le visioni politiche secolari
relative alle relazioni internazionali, affinché questa visione predominante
possa ridefinire il concetto stesso di “politica” nel dialogo con civiltà,
culture e soggetti politici non occidentale e non secolari. Il pensiero predominante
nelle relazioni internazionali basato sul laicismo e il secolarismo riconosce
solamente se stesso e si autoassegna qualità di “correttezza” e “neutralità”, mentre
altri pensieri e visioni che non sono in conformità con questo pensiero sono considerati
“errati”. Ma è proprio questo l’ostacolo più importante che impedisce la
comprensione e soprattutto l’accettazione di altri pensieri e visioni del mondo.
Osservazioni sul ruolo dei movimenti islamici nelle relazioni
internazionali.
Lo sviluppo, l’espansione
e il rafforzamento dei movimenti islamici causati dalla vittoria della Rivoluzione
islamica hanno, da una parte, creato una grande sfida teorica per il pensiero dominante
nelle relazioni internazionali, e dall’altra parte hanno offerto l’occasione migliore
per riformare queste stesse teorie e adeguarle allo stato reale delle cose e ai
nuovi equilibri sorti nelle relazioni internazionali.
Questa sfida ha raggiunto
un livello ancora più alto dopo la tragedia dell’11 settembre, la salita al
potere di Hamas in Palestina, la guerra dei 33 giorni in Libano e la guerra dei
22 giorni a Gaza, soprattutto perché in tutti questi casi i movimenti islamici
si ponevano al centro delle relazioni internazionali.
Alcuni pensatori
credono che, così come la fine della Guerra Fredda abbia innescato delle
riforme negli assetti teorici e pratici esistenti, così il ruolo dei movimenti
islamici in ambito internazionale garantirà necessariamente la riformulazione
delle dottrine e il sorgere di nuove teorie al riguardo.
Vi sono tre caratteristiche
dei movimenti islamici che, a livello internazionale e regionale, hanno avuto
un riflesso considerevole nelle opinioni e nella letteratura teorica delle
relazioni internazionali:
1.
questi movimenti sono “attori” non governativi,
2.
la religione e i principi di ordine spirituale hanno un ruolo
determinante nella definizione, nell’espansione e nello sviluppo del loro
obiettivi
3.
rilevanti sono il fattore educativo e le motivazione etiche
di questi movimenti nel perseguire obiettivi di natura non materiali.
Le diverse concezioni della Religione
Indubbiamente, uno dei
più importanti risultati, possiamo dire il messaggio centrale della Rivoluzione
islamica, è stato quello di conferire un ruolo importante, anzi fondamentale,
alla religione nelle relazioni internazionali. Ciò in quanto la Rivoluzione
islamica ha portato alla fondazione di una Repubblica Islamica che è basata
sugli insegnamenti religiosi e spirituali, e grazie alla Rivoluzione islamica i
movimenti islamici sono stati rafforzati e intervengono in modo determinante
nelle relazioni internazionali. Alla fine questi sviluppi hanno fatto sì che
l’Islam divenisse, nell’ambito delle relazioni internazionali, una forza attiva
e l’alternativa principale, se non il punto di riferimento imprescindibile, per
una parte consistente del mondo.
Il ritorno della
religione come fattore decisivo e determinante nelle relazioni internazionali
ha dunque lanciato una sfida alla teoria delle relazioni internazionali, dato
che, come abbiamo visto, le basi e i valori di riferimento delle teorie e delle
visioni nel campo delle relazioni internazionali si rifanno al laicismo e al
secolarismo.
Le diverse teorie che
trattano le relazioni internazionali nell’analizzare e nel giustificare la presenza
della religione nei rapporti e negli sviluppi delle relazioni internazionali,
hanno assegnato alla religione una posizione diversa in base alle diverse
interpretazioni della “religione” stessa. Vediamone quindi alcune di queste
interpretazioni:
1.
secondo una prima concezione di religione, vi sono
“esperienze” che non solo generano la fede in Dio, ma la giustificano allo
stesso modo in cui le intuizioni auto-evidenti giustificano i principi
scientifici. La religione comprenderebbe dunque i credi concernenti l’esistenza
che non è condizionata dal creato, credi basati sulla presenza di un Creatore, di
forze soprannaturali e metafisiche che gestiscono o influenzano alcuni aspetti
della vita dell’uomo che lui non riesce a gestire. (cfr. R. Clouser, Knowing with the Heart: Religious Experience and Belief
in God, 2007).
2.
la religione viene definita come l’insieme dei comportamenti
dei fedeli uniti attorno a un credo, per cui la fede viene descritta così come
si manifesta nella società e non come un fattore trascendente, ideologico e immateriale.
3.
la religione viene spiegata nel quadro di concetti come “civiltà”,
“cultura” e “identità”.
4.
la religione viene considerata come una “dialettica politica”
che comprende una serie di concetti logicamente collegati, proprio come un
sistema che dà senso ai fenomeni sociali e fornisce loro la possibilità di
realizzarsi.
5.
la religione viene considerata come una “struttura
analitica” per evidenziare i credi e i comportamenti nelle relazioni
internazionali. (cfr. Scott M. Thomas, The global Resurgence of
Religion and the Transformation of International Relations, Palgrave
Macmillan 2005).
Le teorie presentate che trattano la religione, per quanto
riguarda le relazioni internazionali, vengono inserite in cinque collegamenti
logici tra la “religione” e le “relazioni internazionali”:
1- religione come una “minaccia
per la sicurezza”
2- religione come “parte
culturale” delle relazioni internazionali
3- religione come “base”
delle relazioni internazionali
4- religione come “dialettica”,
“sistema” che governa le relazioni internazionali
5- religione inserita nel
quadro “teologico” politico internazionale.
Conclusione
La Rivoluzione islamica dell’Iran è stata una rivoluzione internazionale
che ha avuto notevoli riflessi teorici e pratici nelle relazioni
internazionali. Negli ultimi decenni è stata analizzata e discussa l’influenza “pratica”
della Rivoluzione islamica dell’Iran, però i riflessi “teorici” non sono stati ancora
considerati o esplorati in maniera adeguata, anche se l’influenza diretta o
indiretta della Rivoluzione nel campo delle teorie delle relazioni
internazionali è innegabile. Probabilmente non vi sono relazioni “dirette” tra
la Rivoluzione islamica e gli sviluppi teorici delle relazioni internazionali,
però molti studiosi confermano quantomeno una influenza indiretta.
I riflessi teorici della Rivoluzione islamica dell’Iran, in particolare
attraverso la presentazione dell’Islam politico, hanno rafforzato il progresso
dei movimenti islamici e il loro ritorno nel campo della politica
internazionale, fattori che hanno lanciato anche sfide per le teorie correnti
nell’ambito delle relazioni internazionali. Queste influenze teoriche si
possono riassumere così:
1.
riconoscimento del ruolo attivo di enti non governativi e delle
loro idee come motivazioni decisive e fattori determinanti nella gestione delle
relazioni internazionali;
2.
il ruolo della religione come base su cui fondare le strutture
internazionali;
3.
La maggiore attenzione da riporre al ruolo dei “valori
religiosi” e dei “principi spirituali” nell’instaurazione, nell’evoluzione e
nell’integrazione delle relazioni internazionale e sociali.
L’influenza teorica più importante della Rivoluzione islamica è stata
quella di smascherare la carenza e l’insufficienza del dialettica secolare
nelle relazioni internazionali, anche perché gli effetti e gli influssi della
Rivoluzione sfidano, come detto, i principi stessi della teoria del dialogo
secolare.
Il secolarismo garantisce la distinzione della religione dalla politica.
La netta e chiara separazione della religione dalla politica è una delle caratteristiche
più importanti del secolarismo. Il secolarismo nelle relazioni internazionali
significa non considerare il ruolo della religione come un fattore importante
nella gestione degli affari internazionali. Basare le relazioni internazionali
sul secolarismo vuol dire raggiungere obiettivi come potere, sicurezza, ricchezza,
pace e stabilità privi di moventi e connotazioni religiosi, e impedire che la
religione diventi un fattore importante (Cfr. Shakman Hurd, The Political
Authority of Secularism in international relations, Princeton 2008; Ashis Nandy, “The Politics of Secularism and The
Recovery of Religious Tolerance” in Secularism and Its Critics, ed. Rajeev Bhargava, Delhi : Oxford University
Press: 1998; John L. Esposito. “Islam and Secularism in the
Twenty-First Century” in Islam and Secularism in the Middle East, eds.
Azzam Tamimi and John L. Esposito, New York: New York University Press, 2000). Uno dei principi più importanti del
secolarismo nelle relazioni internazionali è quello di considerare lo stato laico
come avente il potere esclusivo di governare un paese, quindi dopo che il
secolarismo diviene il fattore fondante del potere in un paese lo stato laico diventa
l’unica struttura che governa ufficialmente il paese. La vittoria del
secolarismo vuol dire la sconfitta della politica basata sulla religione e i
suoi principi. In questo caso le autorità del paese evitano l’intervento della
religione negli affari politici e rinunciano agli obiettivi che la religione persegue,
come la promozione dei valori religiosi e dei principi spirituali all’interno
del paese, e alla fine, con la scusa della libertà e del pluralismo religioso,
impediscono o tendono a limitare per quanto possibile l’intervento
dell’autorità religiosa negli affari politici del paese.
L’istituzione e la stabilizzazione della Repubblica Islamica dell’Iran e
il rafforzamento dell’Islam politico, che cerca di istituire un governo islamico
anche in altre società islamiche, sfida seriamente la dialettica secolare e i
suoi principi, perchè il governo islamico è costituito dalla sovranità politica
fondata sui principi eterni e universali della religione. Il governo islamico,
oltre a seguire i suoi interessi nazionali, cerca di espandersi al fuori dei
suoi confini geografici e culturali. Il ruolo dell’autorità religiosa è
fondamentale negli affari politici del paese e alla fine, nel quadro
dell’ordine politico sociale islamico, il fattore più importante per i musulmani
è l’identità e la fedeltà della politica all’Islam. Inoltre, la conservazione dell’identità
islamica e del benessere spirituale oltre che materiale del popolo diventano
l’interesse principale dello stato, e le frontiere geografiche e culturali non
possono limitare la politica estera: solamente il credo e la dottrina che si
seguono definiscono il confine, e lo stato islamico ha il dovere di perseguire
gli interessi di tutti musulmani.
Pourmarjan Ghorban Ali
Direttore dell’Istituto Culturale dell’Ambasciata
della Repubblica Islamica dell’Iran- Roma
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