LO SPIRITO DI CARL SCHMITT E GLI ATTACCHI ALL’EUROPA. CONSIDERAZIONI OLTRE LA RETORICA

 

di Ali Reza Jalali

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Gli attacchi terroristici, probabilmente collegabili all’estremismo islamico dei militanti dell’ISIS, ovvero la forma più violenta e disumana di Islam mai apparsa sulla faccia della terra, almeno negli ultimi due secoli, contro uno dei Paesi più impegnati nel sostegno alla sovversione dei regimi arabi anti-fondamentalisti, come Libia e Siria, negli anni della cosiddetta primavera araba, ovvero la Francia prima di Sarkozy e ora di Hollande, porta nuovamente alla ribalta il problematico tema della convivenza tra musulmani e non musulmani sul suolo europeo, con tutte le problematiche annesse riguardanti gli equilibri geopolitici del bacino del Mediterraneo.
 
Ma qui vorrei concentrarmi su altro, ovvero l’impatto emozionale che un grave attentato provoca sui media e sulla gente del vecchio continente in generale. E’ normale, anzi normalissimo, che se un disastro succede in casa mia, il tutto mi colpisca maggiormente rispetto al fatto che la stessa situazione possa capitare a casa di un vicino o di uno sconosciuto. E’ una cosa talmente normale, che non ha bisogno di argomentazioni particolarmente approfondite. Se muore un mio stretto parente piango e mi dispero, se muore uno stretto parente di un mio amico mi dispiace, se muore uno sconosciuto non dico che sono felice, ma non è che la cosa mi turbi più di tanto. E’ un’ovvietà. Ma in una epoca caratterizzata dal trionfo di valori distorti e di falsità trionfanti, anche dire delle banalità potrebbe risultare scabroso.
 
Anche perché, essendo diventati cittadini del mondo, siccome siamo tutti fratelli e crediamo profondamente nel dogma libertà, fratellanza, uguaglianza, i confini sono spariti e quindi, almeno in linea teorica, dovremmo dispiacerci alla stessa maniera per la morte di un parente stretto, di un amico o di uno sconosciuto; è la logica conseguenza del concetto di uguaglianza, altrimenti saremmo ancora nell’epoca del trionfo della discriminazione, quando cioè era normale che gli uomini non fossero tutti uguali, che l’uomo e la donna fossero diversi ecc. Siccome però, proprio in Francia, quella di Robespierre e Marat, ci fu la Rivoluzione egualitarista per eccellenza, in teoria, se avessimo assorbito completamente i dogmi rivoluzionari, dinnanzi alla disgrazia capitata alla Francia, dovremmo comportarci esattamente come quando vediamo le immagini che provengono dalla Siria o dall’Iraq, dove ogni giorno l”ISIS compie crimini di gran lunga peggiori rispetto a quello che i fanatici hanno fatto oltre le Alpi. Ovvero dovremmo rimanere impassibili o quasi. E non dobbiamo vergognarci di dirlo: quando c’è un attentato dell’ISIS in Nigeria, in Iraq, in Siria o in Libia, certo, siamo dispiaciuti, ma non è nemmeno lontanamente paragonabile all’effetto che può farci dal punto di vista emozionale un attacco del fondamentalismo islamico in Europa. Insomma, gli stessi attentati, promossi dallo stesso gruppo di folli, in nome della stessa ideologia diabolica, il wahabismo, provocano in noi reazioni diverse, nonostante duecento anni di propaganda egualitarista. Perché? Per il semplice, ma scandaloso motivo, che in un caso a morire sono gli altri, degli sconosciuti, degli africani o degli asiatici, mentre nell’altro caso sono dei nostri, degli europei, dei bianchi, dei cristiani. L’impatto mediatico ed emozionale è completamente diverso. Il presidente siriano Assad commentando gli attacchi alla Francia ha detto che la tristezza che provano oggi i francesi e gli europei è la stessa che i siriani hanno provato lungo tutti questi anni, ma l’impatto mediatico è stato completamente diverso. In un caso, in Francia, nessuno ha tentennamenti a condannare i terroristi islamici, in Siria però, molti, ancora oggi, dinnanzi a certe barbarie, continuano a parlare di lotta per la democrazia e di ribelli moderati. Evidentemente l’epoca dell’uguaglianza non ha ancora vinto completamente e rimangono, nel profondo di tutti noi, tracce indelebili dei sentimenti pre-Rivoluzione francese, ovvero una era contrassegnata dalla normalità della discriminazione.
 
Il giurista tedesco Carl Schmitt, applicando tale ragionamento alle relazioni internazionali e al diritto internazionale, collegabili principalmente al diritto della guerra, indicava l’epoca del tramonto del diritto pubblico europeo, basato su una implicita suddivisione del mondo in due zone, l’Europa e il resto del mondo, come l’epoca del trionfo della discriminazione e della non-uguaglianza. Secondo Schmitt, in Europa si applicava il diritto, le nazioni si affrontavano in guerra, ma bisognava rispettare il popolo avverso, riconoscendogli dei diritti fondamentali che non potevano essere lesi. Il resto del mondo era solo un territorio che Dio aveva in qualche modo concesso agli europei, i quali, ad esempio al tempo delle scoperte geografiche, si spartivano le nuove lande senza tenere conto delle popolazioni indigene. Insomma, due fenomeni simili, la guerra, erano regolati in modo diverso a seconda del luogo geografico dove si concretizzavano. Poi, dal XIX-XX secolo in poi, grazie al declino delle potenze europee e all’emersione della potenza extraeuropea nordamericana, il sistema basato sul diritto pubblico europeo, sulla discriminazione formalmente regolamentata, dovette cedere il passo a quello che noi oggi conosciamo come diritto internazionale, basato essenzialmente sulla Società delle Nazioni prima e sull’ONU oggi. In teoria quindi, non vige più una bipartizione del mondo tra Europa e non-Europa, tra regno del diritto e regno della forza bruta, ma tutto il mondo, in modo eguale, e non discriminatorio, viene assoggettato ai canoni, su scala planetaria, dello Stato di diritto e sulla forza dei diritti fondamentali, uguali a tutte le latitudini e presso ogni popolo, a prescindere dalla razza e dalla religione. Ma questo atteggiamento emozionale diversificato per situazioni terroristiche simili, con da una lato commozione e condanna ferma, in Francia, e dall’altro indifferenza nel migliore dei casi, in Siria o in un altro luogo non-europeo, mi pone alla mente una considerazione: forse Schmitt aveva parzialmente torto, l’epoca del diritto pubblico europeo e della non-discriminazione non è completamente tramontata.
 
http://www.domus-europa.eu/?p=5242
 

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