Iran, il “disgelo” non basta: «La gente aspetta ancora»

Di seguito una intervista sull'attualità iraniana. Ricordiamo a tutti gli interessati la conferenza del 27 febbraio a Brescia sull'anniversario della rivoluzione islamica dell'Iran, di cui si celebra l'anniversario in questi giorni; una occasione questa per parlare di Iran oltre la solita propaganda mediatica. L'evento è organizzato dal Centro Studi Dimore della Sapienza. Per ogni informazione sull'evento: alirezajalali1@yahoo.it  



Secondo la giornalista e docente Razie Amani l’apertura di Rohani piace, ma per sapere se funziona serve ancora tempo

Afp / Getty Images

4 Febbraio 2016 - 14:07
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Prezioso contro l’Isis, importante per il business. È il “nuovo Iran” guidato da Rohani che, all’improvviso, sembra piacere a tutti. Il passaggio in Europa del presidente è stato letto come l’inizio di una nuova stagione, almeno nei rapporti tra Paesi occidentali e Teheran. Tutto per affari e opportunismo, forse. E in più con qualche inciampo (ad esempio il mezzo scandalo dei nudi coperti a Roma, o il vino al tavolo in Francia) e molti dubbi. Di sicuro si è ripreso a comunicare. Come spiega la giornalista e docente iraniana Razie Amani, è un risultato della politica estera di Rohani. Se darà frutti, si vedrà.
Ma questo “disgelo” tra Iran e Occidente si può considerare almeno una buona notizia?
Ne ha tutte le caratteristiche, certo. Ma è ancora troppo presto per dire se avrà degli esiti positivi.

In che senso?
Vengono scongelati beni (in denaro) tenuti fermi nelle banche (in generale, banche americane), e questo è un bene. Gli accordi incideranno sulla grande industria, ma prima di capire se ci sarà un’eco nella popolazione occorre aspettare. È una situazione complessa, e i benefici arriveranno dopo.

Non c’è entusiasmo tra la popolazione, allora.
Gli iraniani sono abituati ad aspettare. Di fronte a queste notizie la reazione più diffusa è l’incredulità.

Perché?
Dalle scorse elezioni la situazione economica è peggiorata, soprattutto per quanto riguarda i prezzi. La crisi, secondo la lettura di Rohani, era causata dall’embargo e dall’isolamento del Paese. Per cui gli effetti del nuovo corso cominceranno a sentirsi – se la lettura è vera – tra qualche tempo, sempre che gli accordi siano rispettati. La popolazione non è entusiasta. Guarda ad altre cose: ai prezzi, alla qualità della vita. Piuttosto, sono i commercianti e il ceto industriale a essere contenti. C’è fervore, entusiasmo da parte loro.

Ha suscitato scalpore, durante il suo viaggio in Italia, il “caso” delle statue capitoline coperte. Come è stato vissuto lì?
Prima di tutto, occorre dire che la delegazione di Rohani, almeno secondo la versione ufficiale, non aveva dato indicazioni al riguardo. Si è trattato di un’iniziativa italiana.

Ma la popolazione ha apprezzato o si è indignata?
Entrambe le cose. In Iran esiste una componente religiosa molto forte che ha apprezzato il gesto, interpretandolo come segno di pudore, in linea con la sensibilità del Paese. Un’altra parte della società – quella più aperta verso l’Occidente – invece si è scandalizzata. Lo ha visto come un segno di chiusura, non adeguato all’evento e alla situazione.

Al centro ci sono anche questioni di carattere elettorale. Il 26 febbraio si vota per rinnovare il Parlamento.
Sì, e il clima è molto acceso. Il risultato avrà importanti ripercussioni nella politica del governo, per cui si tratta di elezioni vissute, con dibattiti molto forti.

Che previsioni si possono fare?
È difficile farne. Diciamo che l’ultimo risultato elettorale ha visto uscire vincitore il fronte progressista, con Rohani. È possibile che si ripeta. L’abolizione delle sanzioni, insieme all’accordo per il nucleare, erano le sue battaglie. E il tempismo è stato perfetto.

Questo per quanto riguarda la politica estera.
Sì, sul fronte interno c’è molta più difficoltà. Finora lascia a desiderare. La gente non è né convinta né contenta: si continua a dare speranza, parlando della caduta delle sanzioni. Ma ancora bisogna aspettare.

Nell’Assemblea è prevista una quota di seggi per le minoranze.
Vale per cristiani, zoroastriani, armeni ed ebrei. In Iran le altre religioni sono rispettate, ed è scritto anche nella Costituzione del 1979, all’articolo 12. C’è molta tolleranza, la libertà di culto è rispettata, per cristiani, ebrei, chiunque. L’unica etnia che si è trovata in difficoltà è quella dei curdi iracheni, ma ai tempi della guerra contro l’Iraq.

Con Israele: il “disgelo” di Rohani potrà portare un allentamento della tensione tra i due Paesi?
No. Fino a quando Israele avrà un’identità sionista sarà impossibile. È una condizione che non dipende dall’ebraismo, che è una religione, ma dal sionismo – ripeto – che è una visione politica. Parlando a livello oggettivo, non lo vedo possibile.

Chiaro. Insieme al Parlamento si vota per l’Assemblea degli esperti.
Sì, sono una Camera di 86 membri religiosi. Il loro compito principale è eleggere la Guida Suprema, nel caso dovesse venire a mancare. In questo modo, anche se in via indiretta, è il popolo che lo sceglie.

Come vengono valutati i candidati?
Sono raccolti in liste. Per essere ammessi devono dimostrare conoscenza della giurisprudenza islamica, del Corano. Viene valutata la preparazione teologica. E certo, conta anche l’orientamento politico.

Ma chi si presenta?
Sono poli religiosi che fanno capo ai grandi ayatollah del Paese. Poi ci sono organizzazioni specifiche, che fanno capo a istituzioni religiose.

In molti criticano l’apertura nei confronti dell’Iran perché ha avvantaggiato questioni economiche rispetto ai diritti. In Iran, si sottolinea, c’è la pena di morte con pubbliche esecuzioni.
Non è così. La pena di morte c’è, è prevista nella legge e viene applicata per reati gravi. L’80% delle condanne riguarda reati collegati alla droga. E non per motivazioni politiche – a meno che il condannato non abbia commesso reati gravi per ragioni politiche. Le esecuzioni, in ogni caso, non sono pubbliche, salvo reati gravissimi.

Ma esiste la lapidazione.
È prevista dalla legge, ma non viene mai applicata. È così dal 1981, lo ha deciso Khomeini due anni dopo la Rivoluzione.

La condizione della donna è un’altra delle questioni “calde”.
In Iran le donne sono libere. Possono studiare (il 62% dei laureati sono donne), possono lavorare, possono accedere ad alti livelli in ogni campo – anche in politica: in questo governo ci sono tre viceministri, in quello precedente di Ahmadinejad, che pure è un conservatore, c’era addirittura una ministra. La donna dell’Islam non è segregata: almeno in Iran, il velo non è un limite. In Arabia Saudita le donne adultere vengono condannate, anche quando non è vero: vale la testimonianza del marito. In Iran questo non potrebbe succedere: c’è una procedura complessa, che prevede almeno quattro testimoni, che devono deporre più volte. Nel caso mentissero, commetterebbero un reato. La questione femminile è uno strumento di pressione politica, ma l’Iran va visto con occhi diversi, senza pregiudizi.

Proviamoci. Dal punto di vista culturale, uno dei fenomeni più interessanti, ad esempio è la Fiera del libro di Teheran.
Sì, è importante, ma non tanto per la quantità di libri – che è comparabile a quella di altre fiere europee, come quella di Bologna, per fare un esempio. È notevole per l’afflusso delle persone. Sono tantissimi, e comprano tanto. In particolare gli studenti, che cercano libri di testo o sulle materie che studiano. Ma si trovano titoli di ogni tipo, in particolare in arabo – che è la lingua della scienza, per noi, e in inglese. Ma ci sono anche sezioni di libri in altre lingue.

Quali sono i titoli più venduti?
Va molto Paulo Coelho. Per gli italiani, la Divina Commedia.

Senza censure?
Sì, senza. Di titoli proibiti ci sono, ma non sono tanti. Ad esempio I versetti satanici di Salman Rushdie. I suoi contenuti sono offensivi nei confronti dell’Islam. Qui i libri, per essere pubblicati, hanno bisogno di un’autorizzazione.

C’è anche molta arte contemporanea.
Esatto. Oltre all’arte tradizionale dell’Iran, esistono gallerie, quadri, dipinti. L’Iran è un Paese dove, su queste cose, non c’è chiusura.

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