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È ancora presto per dare un giudizio sul
risultato delle imminenti elezioni: l’unica cosa scontata è che i due
estremi del paese hanno già scelto per chi votare: i ceti medio-alti
della capitale, se andranno a votare, voteranno per Rohani.
I militanti della Rivoluzione islamica voteranno per Reisi, chierico
proveniente da Mashad ed ex membro del potere giudiziario iraniano. Ma
la maggioranza degli iraniani è ancora indecisa e quindi i giochi non
sono ancora fatti
Il 19 maggio si terranno le
presidenziali iraniane, che serviranno anche redarre un bilancio del
governo Rohani. La politica iraniana è sempre difficile da decifrare per
noi europei, così ne parliamo con Ali Reza Jalali, studioso e
conferenziere iraniano già intervistato altre volte dal nostro giornale.
1) Cosa ne pensa dell’esclusione
di Ahmadinejad dalle elezioni presidenziali imminenti? Può esservi
dietro la mano dell’occidente o, quanto meno, la volontà di appianare le
divergenze con gli USA e Israele?
L’esclusione di Ahmadinejad ha poco a che vedere con la politica estera, è una questione interna.
Da un lato vi è una lotta intestina ai
centri del potere politico ed economico di Teheran, alcuni di questi
nuclei hanno una pessima opinione di Ahmadinejad, giudicandolo un
pericoloso populista che mette in pericolo gli interessi economici di
alcuni ceti sociali egemoni.
D’altro canto vi sono alcune sincere
preoccupazioni, come quelle della Guida della Rivoluzione, l’Ayatollah
Khamenei, che mesi fa aveva avvertito pubblicamente Ahmadinejad circa la
sua presumibile esclusione dalla contesa elettorale, sotto forma di un
“consiglio” personale.
Il problema è che Ahmadinejad ha pochi
amici e tanti nemici nella politica iraniana, e un presidente da solo
non può governare, ma ha bisogno della collaborazione di altri organi,
come il parlamento.
Attualmente in Iran l’egemonia politica
appartiene o ai cosiddetti conservatori, o ai cosiddetti moderati;
nessuna di queste due fazioni vuole collaborare con Ahmadinejad. Di
fatto un governo Ahmadinejad porterebbe ad uno stallo istituzionale, un
danno che l’Iran non può permettersi.
2) Chi sono i candidati alle presidenziali e chi sono i favoriti?
La Corte costituzionale iraniana ha ammesso sei candidati, tra i quali spiccano tre nomi: Reisi, Qalibaf e Rohani.
Quest’ultimo, presidente in carica e
candidato di punta della fazione moderata della Repubblica Islamica
dell’Iran, secondo alcuni sondaggi sarebbe in testa con una maggioranza
relativa dei consensi.
Reisi e Qalibaf sono i principali avversari di Rohani, entrambi appartenenti alla fazione conservatrice.
A oggi non sappiamo con certezza se
entrambi si presenteranno effettivamente alla contesa del 19 maggio, uno
dei due potrebbe desistere favorendo una convergenza dell’elettorato
conservatore su un candidato unico.
Quello che però risulta dai sondaggi,
per quello che possono valere in un Paese caratterizzato da molta
emotività e da decisioni prese sul momento, è che sia Qalibaf che Reisi
dovranno in queste settimane rincorrere il presidente in carica, il
quale avrà buone probabilità di successo a Teheran e presso le grandi
città, mentre tradizionalmente nei piccoli centri i conservatori vanno
meglio.
3) Che aria tira nel vostro Paese? Le persone con che sentimenti si recheranno alle urne?
L’iraniano medio è emotivo, a oggi molti
si dicono delusi dalla politica e poco inclini a scegliere un
candidato. Ma a pochi giorni dal voto, improvvisamente, molti si
riscoprono patrioti e pronti a recarsi alle urne per decidere il futuro
della patria.
Ora è presto per dare un giudizio,
l’unica cosa scontata è che i due estremi del paese hanno già scelto per
chi votare: i ceti medio-alti della capitale, se andranno a votare,
voteranno per Rohani.
I militanti della Rivoluzione islamica,
che qui chiamiamo “hezbollahi”, ovvero “i militanti del partito di Dio”,
lo zoccolo duro del khomeinismo, voteranno per Reisi, chierico
proveniente da Mashad ed ex membro del potere giudiziario iraniano.
Ovviamente la maggioranza assoluta degli iraniani non fa parte di
nessuna di queste due categorie, il voto di questa maggioranza silente
deciderà la contesa, a oggi questa importante categoria è indecisa.
4) L’attuale governo e presidente hanno ben operato?
L’iraniano medio ritiene che questo
governo non abbia mantenuto le promesse, soprattutto in campo economico,
penso che oltre il 70 percento degli iraniani siano delusi da Rohani.
Siccome però il fattore dell’emotività è centrale per capire gli umori
del popolo, non posso escludere che, per via della campagna elettorale e
delle promesse che i candidati fanno, questo stesso popolo di delusi il
19 maggio possa contraddirsi e tornare a dare fiducia ai moderati.
In Iran tutto (e il contrario di tutto) è
possibile. Ahmadinejad e Rohani sono personaggi contraddittori, in
tutto e per tutto. Gli stessi che avevano votato per il primo nel 2005 e
nel 2009, hanno eletto Rohani nel 2013.
5) A chi sorriderà la vittoria, a
questa tornata elettorale? Ai riformisti o ai conservatori? E che
effetti avrà tutto ciò sui rapporti con l’occidente?
Nessuna persona sana di mente può
rispondere oggi a questa domanda in modo netto: Rohani ha dalla sua una
migliore reputazione tra i ceti abbienti, i quali, grazie al denaro,
possono influenzare con più facilità i media privati, abbondanti su
internet e sulla carta stampata.
I conservatori hanno più seguito tra gli
ambienti popolari e nei villaggi e nelle piccole città. La vittoria di
un candidato critico con l’Occidente, come Raisi, potrebbe
progressivamente deteriorare, per vari motivi, le relazioni con la UE,
mentre per le relazioni con gli USA, vista l’attitudine formale di
Trump, nessun governo iraniano potrà avere buoni rapporti con
Washington. D’altro canto, con i paesi non allineati le relazioni
continueranno ad essere amichevoli, a prescindere da chi vincerà le
elezioni.
6) Ora che è finita la
presidenza Obama e le elezioni iraniane sono ormai imminenti, si può
tracciare un bilancio riguardo gli accordi sul nucleare e la revoca
delle sanzioni. Tale bilancio per Lei è positivo o negativo? E perché?
La conseguenza simbolica degli accordi è
il miglioramento dei rapporti tra Iran e UE. Le conseguenze pratiche
sono essenzialmente la sospensione del programma nucleare iraniano e il
ritorno del petrolio iraniano sui mercati internazionali.
Oltre a questo non è cambiato nulla in
meglio in Iran. L’impatto principale sullo sviluppo delle transazioni
internazionali doveva esprimersi attraverso la disponibilità delle
banche straniere a lavorare con le aziende iraniane, cosa che fino a
oggi non si è materializzata.
L’economia iraniana è ferma, la
produzione industriale è ai minimi rispetto all’ultimo decennio, la
disoccupazione giovanile ai massimi e i livelli di tassazione sono alle
stelle rispetto agli ultimi vent’anni.
Il bilancio complessivo per il popolo,
per i ceti medio bassi, e cioè almeno la metà degli iraniani, è
negativo. Gli accordi dovevano rilanciare l’economia e creare posti di
lavoro. Nulla di tutto ciò è accaduto, anzi: grandi aziende sono fallite
lasciando a casa gli operai. Gli investimenti stranieri non si sono
concretizzati. Sono migliorate le relazioni diplomatiche con la UE, non
le relazioni economiche, almeno se analizziamo i grandi numeri, quelli
che, nel complesso, per un paese di 80 milioni di abitanti, fanno la
differenza.
Il motivo della non adeguatezza del
risultato degli accordi risiede nel fatto che la parte occidentale non
desidera rafforzare economicamente l’Iran. Che senso avrebbe promuovere
un accordo finalizzato alla ripresa dell’economia di un paese definito
come una delle più importanti minacce alla sicurezza del Medio Oriente
(parola dell’ambasciatore USA all’ONU, pochi giorni fa)?
Gli accordi sul nucleare iraniano sono
serviti solo all’Occidente per fermare il programma atomico di Teheran:
di risultati concreti, soprattutto nell’economia, in Iran non se ne vede
l’ombra.
Massimiliano Greco, http://www.opinione-pubblica.com/
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