Kurdistan sì, Kurdistan no

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Focalizziamo quest'oggi una complessa realtà socio-politica del Medio Oriente. Il prossimo 25 settembre, infatti,. le autorità della Regione autonoma del Kurdistan iracheno hanno indetto un referendum finalizzato a chiedere il parere dell'elettorato locale sulla secessione dell'entità amministrativa dal Governo centrale di Baghdad, affinché possa nascere a tutti gli effetti un nuovo Stato nel cuore del martoriato Medio Oriente, il Kurdistan autonomo. Seguono alcune riflessioni di Ali Reza Jalali. Dottore di ricerca in diritto costituzionale, Jalali insegna diritto pubblico presso l'Università di Semnan (Iran). Collabora con alcuni siti e riviste italiane di politica internazionale e affari mediorientali. Ha pubblicato diversi saggi e libri, tra i quali La Repubblica Islamica dell'Iran tra ordinamento interno e politica internazionale (Irfan Edizioni, Cosenza, 2013).

Il contesto costituzionale ed istituzionale

Il modello costituzionale ed istituzionale iracheno nato dall'invasione americana del 2003 non può essere definito del tutto come un sistema federale, anche se di fatto nel Testo fondamentale iracheno ci sono più articoli che, tra concessioni e tendenze al centralismo, sembrano voler far traghettare il paese arabo verso una democrazia decentrata (per una disamina completa del modello iracheno vedi il nostro L'incerto federalismo iracheno, "Eurasia, 1-2015, https://www.eurasia-rivista.com/negozio/xxxvii-leurasia-aggredita-piu-fronti/). Tale impostazione ha favorito nel complesso le tendenze centrifughe, soprattutto tra la componente etnicamente eterogenea del paese, ovvero tra i curdi, la principale minoranza non araba dell'Iraq. Il separatismo curdo quindi, represso durante gli anni di Saddam, ha trovato una notevole spinta dal 2003, vista l'assenza di un governo centrale autoritario e centralizzatore. Le fazioni curde più attive nel nord dell'Iraq sono due, più che due partiti due clan, guidati dai due padri padroni del Kurdistan iracheno, la famiglia Talabani e la famiglia Barazani. Entrambe le fazioni, impregnate di un vago nazionalismo curdo laico, hanno cercato con vari mezzi e varie allenza di portare avanti il progetto del Kurdistan autonomo, senza però disdegnare la collaborazione istituzionale con Baghdad, attraverso una dota di decine di parlamentari, ministri e sottosegretari, con il sigillo della Presidenza della Repubblica, incarico che tradizionalmente il Parlamento iracheno affida ad un'autorità curda. Sfruttando però una cornice istituzionale ibrida, a metà strada tra un sistema centralista e un modello federalista, approfittando della debolezza del governo centrale e dello sgretolarsi dello Stato iracheno sotto la pressione del conflitto settario e dell'avanzata dello Stato Islamico, i curdi di tutte le fazioni si sono uniti per portare a termine la secessione da Baghdad, questione che potrebbe concretizzarsi il prossimo 25 settembre, se i cittadini iracheni che vivono nel nord del paese (i confini del futuro Stato sono d'altronde tutt'altro che definiti) vorranno dire basta a poco meno di cento anni di Iraq unito.

Il ruolo dei soggetti politici non curdi: sciiti e sunniti alla prova del secessionismo curdo
 
Storicamente l'Iraq, un paese giovane nato dopo la prima guerra mondiale, ha visto un dominio politico sunnita, anche se nella veste dell'ideologia nazionalista araba, in un contesto dove gli arabi sciiti del sud sono sempre stati maggioritari. La contesa per Baghdad ha visto protagonisti questi due gruppi, mentre i curdi del nord non hanno mai avuto interesse per il potere centrale, rivendicando da sempre l'autonomia. Dopo la fine dell'egemonia di Saddam, coincidente con la fine dell'egemonia sunnita sul paese, l'ascesa degli sciiti, di fatto alleati dei curdi in Iraq in nome del principio il nemico del mio nemico è mio amico, ha aperto la strada al rafforzamento del Kurdistan iracheno, da subito diventato uno Stato nello Stato, con una propria legislazione, un proprio esercito, una propria rete diplomatica, spesso in conflitto col governo centrale ormai in mano agli sciiti. Basta ricordare come i curdi iracheni avevano deciso di vendere il proprio petrolio alla Turchia senza il consenso del governo di Baghdad (vedi http://www.cronacheinternazionali.com/loro-del-kurdistan-la-variabile-petrolifera-nello-scenario-nord-iracheno-8223). Insomma, una volta che gli sciiti avevano sostituito i sunniti a Baghdad, ora tra curdi e sciiti iniziava una nuova lotta per da un lato far nascere un Kurdistan autonomo, dall'altro tenere in piedi ciò che rimaneva della Repubblica d'Iraq. Viste le nuove tensioni tra curdi e sciiti, e visto il malcontento dei sunniti ormai ai margini della politica irachena, questi ultimi, sempre in nome del principio menzionato in precedenza, si alleavano coi curdi in funzione anti-sciita. Erano gli anni della lista di Allawi, sciita ma uomo di punta della coalizione nazionale sunnita, che per poco non riusciva a defenestrare gli sciiti da Baghdad, anche grazie alla convergenza parziale dei curdi sulla neonata lista elettorale impregnata di ex militanti del partito di Saddam. Per motivi vari, tra i quali anche la litigiosità interna del fronte sunnita e poi grazie alla micidiale avanzata dell'ISIS, che in poco tempo aveva fagocitato le zone sunnite, conquistando anche alcuni avamposti curdi e minacciando anche la capitale Baghdad, l'alleanza tra sunniti e curdi veniva meno, ricomponendo l'asse sciiti-curdi, contro il nemico comune, ovvero Abu Bakr Al Baghdadi, il quale, formalmente dichiaratosi difensore della causa sunnita, riusciva a mettere momentaneamente pace tra i vecchi oppositori di Saddam. Ora però che la spada di Damocle del Califfato sembra essere venuta meno nel nord dell'Iraq grazie alla liberazione di Mosul, venuto nuovamente a mancare il nemico comune, curdi e sciiti sono ai ferri corti. In questo caso sembra esserci una unione di intenti tra sunniti e sciiti, alleati per salvaguardare ciò che resta della sovranità irachena, referendum del 25 settembre permettendo.

L'Iraq tra Impero ottomano e Impero safavide: Turchia e Iran non vogliono un Kurdistan autonomo

Il Kurdistan ideale, quello che non esiste sulle cartine e che è auspicato dai nazionalisti curdi, si estende ben oltre i confini dell'Iraq settentrionale, abbracciando la Siria, la Turchia, l'Iran e altri Stati dell'area. Storicamente l'Iraq è una zona dove gli attriti tra gli antenati della Repubblica di Turchia e della Repubblica Islamica dell'Iran, ovvero l'Impero ottomano e quello safavide, raggiungevano momenti topici. Fino al Seicento l'Iraq passava di mano tra ottomani e safavidi, e solo dal Settecento divenne una regione ottomana stabile. E' normale quindi che questi paesi ancora oggi non rimangano indifferenti rispetto alle questioni interne dell'Iraq, soprattutto nel caso curdo, visto che milioni di curdi vivono tra Ankara e Teheran, e quindi l'indipendentismo curdo in Iraq vuol dire anche irredentismo curdo in Turchia e Iran. Erdogan e Rohani si sono espressi nettamente contrari al referendum del 25 settembre, vedendo in esso l'inizio di un terremoto che potrebbe cambiare il volto dei confini regionali, in modo ancora più netto del fallito tentativo dell'ISIS. Senza entrare in modo minuzioso nella disamina del ruolo turco e iraniano in Iraq (vedi il nostro Geopolitica dell'Islam sciita, "Eurasia" 3-2014, https://www.eurasia-rivista.com/negozio/xxxv-la-geopolitica-delle-religioni/#1477759624769-226c40fa-3582), basta dire che dopo il 2003, senza la presenza di un governo forte, le ingerenze regionali, soprattutto di Iran e Turchia, in Iraq, sono aumentate e anche qui in base alle esigenze i paesi dell'area hanno deciso di osteggiare o di assecondare i curdi. In una prima fase l'Iran ha appoggiato i curdi iracheni in funzione anti-Saddam, dando ospitalità ai maggiori esponenti dell'opposizione curda, poi, dopo la tensione innescata tra curdi e sciiti, la Turchia ha deciso di avvicinarsi ai curdi d'Iraq, innescando a sua volta una dura crisi tra Baghdad e Ankara, accusata quest'ultima dal governo sciita di ingerenza negli affari interni di un paese sovrano.

Ma l'avanzata dell'ISIS, sospettata da più parti di avere relazioni amichevoli con Ankara, ha costretto i curdi, onde evitare di soccombere nelle battaglie del 2014 e del 2015 nel nord dell'Iraq contro il Califfato del terrore, ad accettare l'intervento iraniano. Ma la decisione delle autorità di Erbil di indire il referendum sull'autonomia sembra aver ricomposto, almeno momentaneamente, l'asse Teheran-Ankara, contrari all'indipendenza curda in nome della stabilità regionale e nazionale.

Commenti

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