Il Presidente Trump ha deciso di non certificare al Congresso americano il rispetto iraniano dell’accordo sul Joint Comprehensive Plan of Action
(JCPOA) siglato nel luglio del 2015 con gli altri paesi negoziatori
dell’E3/EU+3 (Cina, Francia, Germania, Regno Unito, Russia, Stati Uniti e
l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la
Politica di Sicurezza). Il pronunciamento circa la certificazione del
JCPOA deriva da quanto stabilito dall’Iran Nuclear Agreement Review Act
del 2015 (INARA) che fornisce al Congresso americano la possibilità di
reintrodurre le sanzioni nei confronti di Teheran, in caso di parere
negativo espresso dal Presidente in carica. Tale parere deve essere
formulato in base a tre criteri “tecnici” – la trasparente, verificata e
completa implementazione dell’accordo; l’assenza di violazioni
sostanziali e, in loro presenza, la mancanza di azioni finalizzate a
porvi rimedio; e l’assenza di attività nucleari clandestine – in
aggiunta a un criterio di natura più “politica”, ovvero che il rispetto
degli obblighi derivanti dal JCPOA sia vitale per la sicurezza nazionale
degli Stati Uniti.
Nell’aprile e nel luglio 2017 il Presidente Trump aveva certificato il rispetto iraniano del JCPOA.
Invece, nelle dichiarazioni rilasciate il 13 ottobre scorso, a margine
di una completa revisione della strategia americana nei confronti
dell’Iran, Trump ha giustificato la mancata certificazione del JCPOA
sulla base di aspetti tecnici e politici inerenti “molteplici
violazioni” e più genericamente il mancato rispetto dello spirito
dell’accordo da parte di Teheran. Per quanto riguarda le violazioni di
natura tecnica sono tre gli aspetti sottolineati dal presidente Trump.
Il primo riguarda il superamento dello stock di acqua pesante
(130 tonnellate) a disposizione dell’Iran individuato dal JCPOA quale
livello coerente, in questa fase, con i fabbisogni del paese. Ai sensi
del JCPOA la quota eccedente tale soglia deve essere “resa disponibile
per la vendita” sul mercato internazionale. Nel febbraio e nel novembre
del 2016 l’Iran ha ecceduto tale soglia rispettivamente di 900 e 100 kg,
giustificando l’accaduto con l’assenza di potenziali acquirenti
internazionali, secondo un’interpretazione dell’accordo finalizzata a
testarne i limiti. La pronta rilevazione dello sforamento da parte
dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA) e la convergenza
degli altri membri del JCPOA su un’interpretazione restrittiva dello
stock di acqua pesante a disposizione di Teheran ha contribuito a
chiarire la questione e a riportare tale stock al di sotto delle 130
tonnellate, a seguito della decisione iraniana di esportare le quote
eccedenti in Oman, successivamente verificata dall’AIEA. Tenendo
presente i margini interpretativi nel testo, il temporaneo sforamento
dello stock di acqua pesante può essere al massimo considerato
un’infrazione tecnica di “secondaria” rilevanza, dato che, in questo
caso, l’aspetto cruciale per escludere la produzione di plutonio per
scopi militari deriva dall’avere neutralizzato il reattore ad acqua
pesante dell’impianto di Arak (IR-40), in aggiunta all’obbligo di non
costruire in Iran reattori simili per altri 15 anni (fino al 2031). Il
fatto che l’Iran abbia comunque cercato di porre rimedio allo
sforamento, può ricondurre l’accaduto nel novero delle fattispecie di
conformità definite dall’INARA per la certificazione del JCPOA, anche se
l’effettiva formalizzazione della vendita dell’acqua pesante stoccata
in Oman, sarebbe più che mai opportuna per depotenziare qualsiasi
speculazione a riguardo.
Il secondo aspetto sollevato da Trump è più fumoso, ovvero
l’aver “mancato alle aspettative sull’operatività delle centrifughe
iraniane più avanzate”. Il JCPOA individua numerose limitazioni sulle
attività di arricchimento dell’Iran inerenti: lo stock di uranio
leggermente arricchito detenuto in forma gassosa (massimo 300 kg per 15
anni, pari al 5% del valore pre-accordo); il numero delle storiche
centrifughe IR-1 operative e installate (5.060 per 10 anni, -45% e -70%
dei valori pre-accordo); il livello di arricchimento (inferiore al 3,67%
per 15 anni); la concentrazione delle attività di arricchimento nel
solo impianto di Natanz (15 anni). Il pieno rispetto di queste
importanti limitazioni da parte iraniana è stato verificato dall’AIEA,
fin dell’entrata in vigore del JCPOA, risalente al 16 gennaio 2016.
L’AIEA ha anche verificato la conformità delle attività di ricerca e
sviluppo (R&D) sulle centrifughe avanzate (IR-2m, IR-4, IR-5, IR-6,
IR-6s, IR-7, IR-8) in base a quanto definito dal JCPOA e dal piano di
arricchimento e ricerca di lungo periodo previsto dall’accordo stesso,
che è stato inviato da Teheran all’AIEA. Piano che, pur non essendo
pubblico, è stato in larga parte pubblicato da The Associated Press nel luglio del 2016.
In mancanza di ulteriori specificazioni, le dichiarazioni di Trump in quest’ambito dovrebbero riferirsi a quanto affermato da alcuni “falchi” repubblicani e da David Albright, presidente dell’Institute for Science and International Security (ISIS), in diversi report e durante la sua testimonianza di fronte all’House Committee on Foreign Affairs
degli Stati Uniti. Secondo l’esperto statunitense l’Iran ha testato
centrifughe IR-6 in una cascata formata da 13 centrifughe, mentre il
piano di arricchimento previsto nel quadro del JCPOA definisce un limite
di “circa dieci” unità. Al fine di ridurre ogni eventuale aspetto di
discrezionalità, gli altri membri del JCPOA sembrano d’accordo su un
livello di tolleranza minimo, con il margine di una centrifuga
aggiuntiva rispetto alle dieci previste nel piano di arricchimento.
Anche in questo caso, la questione delle IR-6 risulta difficilmente
riconducibile a una “violazione” effettiva del JCPOA, quanto a
un’inevitabile prova dei margini più discrezionali da parte dell’Iran
che, pur in disaccordo, si è in seguito adeguato all’interpretazione
restrittiva fornita dagli altri membri del JCPOA.
Il terzo aspetto “tecnico” riguarda presunte restrizioni imposte agli ispettori internazionali,
in particolare per l’accesso a siti militari. La questione è stata già
sollevata in passato, anche durante la negoziazione del JCPOA, a seguito
delle difficoltà incontrate dall’AIEA ad aver accesso ad alcuni siti
militari, su tutti quello di Parchin, che è stato ispezionato
dall’Agenzia nel settembre 2015, a più di tre anni dalla seconda
richiesta formale di accesso seguita all’ispezione del gennaio 2005. Nel
quadro del JCPOA la verifica e il monitoraggio delle attività nucleari
dell’Iran da parte dell’AIEA si poggia non solo su quanto pattuito nel Comprehensive Safeguards Agreement,
che garantisce all’Agenzia accesso a materiali e informazioni sulle
attività nucleari del paese, ma anche dall’applicazione temporanea da
parte iraniana del Protocollo Aggiuntivo, che incrementa le capacità
intrusive dell’AIEA grazie a strumenti supplementari per individuare
potenziali attività non dichiarate. Il JCPOA, inoltre, contiene misure
aggiuntive di trasparenza con durata superiore ai dieci anni relative a
differenti aspetti del fuel cycle iraniano. Misure che rendono
estremamente bassa la possibilità che l’Iran possa sviluppare un
programma nucleare militare non dichiarato e/o dirottare attività
dichiarate a tal fine. L’insieme di questi strumenti normativi non
preclude in alcun modo all’AIEA la possibilità di ispezionare siti
militari, come peraltro avvenuto in passato, anche sfruttando un
meccanismo supplementare di accesso rapido a siti non dichiarati con
tempistiche massime definite (24 giorni), per risolvere questioni
inerenti il rispetto del JCPOA tramite un’apposita commissione (Joint
Commission). La specificazione che tali richieste di accesso non siano
finalizzate a interferire con il comparto militare iraniano o altre
attività di sicurezza nazionale è stata inserita nell’accordo a seguito
di pressioni iraniane solo a garanzia di eventuali strumentalizzazioni,
non costituendo in alcun modo una preclusione effettiva. Semplicemente,
nei primi 22 mesi di attuazione del JCPOA l’AIEA non ha avuto bisogno di
richiedere ulteriore accesso a siti non dichiarati, anche perché
l’Agenzia ha confermato la piena cooperazione dell’Iran sulle altre
misure di verifica e trasparenza.
L’ultimo aspetto, più rilevante da un punto di vista politico-strategico,
riguarda il mancato rispetto dello spirito del JCPOA da parte iraniana.
Secondo il Presidente Trump mentre il JCPOA avrebbe dovuto contribuire
alla “pace e sicurezza a livello regionale e internazionale”, come
indicato nelle premesse dell’accordo, l’Iran ha continuato ad alimentare
“conflitti, terrore e disordini” nel Medio Oriente e non
solo. Solamente per quanto riguarda le attività di arricchimento, senza
l’accordo sul JCPOA l’Iran potrebbe ora disporre di circa 17.000 kg di
uranio arricchito al 3,67% in forma gassosa, prodotto da più di 15.000
centrifughe, incluse le più avanzate IR-2m, abbassando così la soglia di
breakout per la possibile diversione di materiale fissile per scopi
militari a circa tre mesi. La differenza tra queste proiezioni e gli
attuali livelli verificati dall’AIEA – stock di uranio leggermente
arricchito pari a 300 kg con 5.000 centrifughe IR-1 in attività e una
soglia di breakout superiore all’anno – costituisce di per sé un
elemento significativo per ridurre le molteplici tensioni regionali. Pur
non volendo considerare l’importanza di questo risultato, il rispetto o
meno dello spirito dell’accordo risulta un concetto troppo vago e
scarsamente operativo per costituire un elemento decisivo nella mancata
certificazione del JCPOA. Nonostante questo, la sua importanza è
tutt’altro che marginale in quanto emblematica di un potenziale cambio
di paradigma che potrebbe mettere in discussione le fondamenta del
JCPOA. Un cambiamento derivante dalla minor rilevanza del rispetto di
parametri tecnici di contenimento del programma nucleare a vantaggio di
altri elementi di natura politico-strategica relativi al quadro
regionale, ben rispecchiata dalla scelta di inserire la mancata
certificazione dell’accordo sul JCPOA nel quadro di una completa
revisione della strategia americana nei confronti di Teheran.
Un’impostazione che, fino a quando è rimasta sul tavolo negoziale dal
2003 al 2009 e in parte fino al 2013, ha impedito il raggiungimento di
qualsiasi intesa strutturata con Teheran, anche di breve periodo. Benché
idealmente perfettibile da tutte le parti in gioco, il JCPOA è riuscito
a farsi strada nel complicato quadro di ostilità e diffidenze storiche
che hanno segnato la rivalità tra Teheran e Washington, grazie al
contributo di tutti i rappresentanti dell’E3/EU+3 e grazie a un sapiente
lavoro diplomatico fondato sull’oggettività delle misure tecniche a
sostegno del negoziato. Quest’accordo multilaterale, frutto di un
allineamento di condizioni politiche estremamente positive, rappresenta
un’opportunità unica per garantire il contenimento più che decennale del
programma nucleare dell’Iran. Pertanto deve essere preservato con ogni
mezzo da tutta la comunità internazionale.
Michele Gaietta, PhD, autore di The Trajectoryof Iran's Nuclear Program, Palgrave, 2015
http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/le-questioni-poste-da-trump-sullaccordo-nucleare-con-liran-18158
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